Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8183 del 22/03/2019

Cassazione civile sez. trib., 22/03/2019, (ud. 26/02/2019, dep. 22/03/2019), n.8183

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24225/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, rappresentata e difesa dall’avv. Roberto

Maggiore, elettivamente domiciliato in Roma, via Paolo Emilio n. 57,

presso lo studio dell’avv. Marco Serra.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria centrale di Roma,

collegio n. 20, n. 4438/2011, pronunciata il 7/07/2011, depositata

il 21/07/2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 febbraio

2019 dal Consigliere Dott. Guida Riccardo.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La (OMISSIS) Srl impugnò innanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Latina l’avviso di rettifica, relativo all’anno d’imposta 1988, recante, tra gli altri, per quanto ancora interessa, il rilievo n. 3, di omesse fatturazioni, per complessive Lire 2.206.042.000, ed il rilievo n. 5, di indebita annotazione di fatture (passive) per operazioni inesistenti; la CT di primo grado, con sentenza n. 443/1992, annullò il rilievo n. 5 e confermò la legittimità del rilievo n. 3;

2. ciascuna parte propose appello avverso il capo di sentenza a sè sfavorevole e la CT di secondo grado di Latina, con sentenza n. 601/1996, respinse l’appello dell’Agenzia delle entrate ed accolse quello (incidentale) della società;

3. l’Ufficio ha impugnato tale decisione e la CTC di Roma, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato il gravame, affermando – quanto al rilievo n. 3 – di non condividere la tesi erariale, secondo cui la cessione, da parte della contribuente, di carne fresca senza l’emissione di fatture sarebbe stata desumibile dal dato documentale consistente nel rinvenimento di un “brogliaccio”, in assenza di altri elementi presuntivi di riscontro (indagini bancarie e documentali), che consentissero di dedurre, in modo incontestabile, l’omessa fatturazione;

quanto al rilievo n. 5, la Commissione centrale ha escluso la contestazione di fatturazione per operazioni inesistenti, così argomentando: “Nella circostanza il contribuente ha dimostrato che le fatture contestate della Di.al Srl si riferiscono a lavori e servizi effettivamente resi, peraltro confermati dagli stessi verbalizzanti nel processo verbale, si deve concludere che i lavori sono stati posti in essere e l’Ufficio, nella specie, non ha replicato con prove di segno opposto a tale circostanza.” (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata);

4. l’Agenzia ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza della CTC, mentre la Curatela del fallimento della società contribuente (dichiarata fallita nelle more del giudizio) resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso (relativo al rilievo n. 3), denunciando la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54,comma 2, artt. 2697,2709,2729 c.c., la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere erroneamente negato la valenza probatoria della “contabilità in nero”, discostandosi dai principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, tralasciando che la Guardia di Finanza aveva: a) reperito due contabilità informali; b) riscontrato la corrispondenza tra tali contabilità; c) constatato che le contabilità informali erano state redatte con la stessa metodologia della contabilità ufficiale; d) puntualmente ricostruito il meccanismo di contabilità ed analiticamente spiegato le ragioni per le quali tale contabilità costituiva una prova evidente delle contestate cessioni “in nero”;

1.1. il motivo è fondato;

è il caso di richiamare il fermo indirizzo di questa Corte – recentemente espresso in materia di accertamento delle imposte dirette, ma riferibile anche alla rettifica delle dichiarazioni IVA – per il quale: “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la “contabilità in nero”, costituita da appunti personali e da informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, prescritti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, perchè nella nozione di scritture contabili, disciplinate dagli artt. 2709 c.c. e s.s., devono ricomprendersi tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, spettando poi al contribuente l’onere di fornire adeguata prova contraria.” (Cass. 30/10/2018, n. 27622);

nel caso in esame, la CTC, discostandosi da questa regola di diritto, ha negato contra legem che l’omessa fatturazione delle cessioni di merce (carne fresca), da parte della contribuente, potesse desumersi dalla “contabilità parallela” (integrativa di quella ufficiale) riprodotta nel brogliaccio reperito, come si esprime il PVC (riprodotto in parte qua nel ricorso): “nei domicili privati delle persone interessate ed in qualche modo collegate alla (OMISSIS)”, ed ha erroneamente affermato che tale elemento indiziario dovesse essere supportato da ulteriori riscontri, della cui allegazione e dimostrazione era onerata l’Amministrazione finanziaria;

2. con il secondo motivo di ricorso (anch’esso relativo al rilievo n. 3), denunciando, in subordine, l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio, consistente nello stabilire se la ripresa a tassazione si fondasse o meno su valide presunzioni e, in caso affermativo, se la società avesse o meno fornito la prova contraria, la ricorrente censura il vizio di motivazione della sentenza impugnata che, nell’affermare che i “brogliacci” rinvenuti dalla GdF erano privi di valenza probatoria e che necessitavano di ulteriori elementi presuntivi: per un verso, non si era confrontata con i puntuali rilievi contenuti nel PVC (richiamati nel primo motivo di ricorso); per altro verso, aveva rilevato, in termini apodittici, senza spiegare le ragioni del proprio convincimento, che le presunzioni offerte dall’Ufficio erano state “demolite” dalla difesa della società che, in realtà, nel corso del giudizio di secondo grado, si era limitata a sostenere che la contabilità informale non aveva alcun rapporto: “con la realtà aziendale, essendo l’estrapolazione di conti economici di previsione e che da solo non può condurre inequivocabilmente dal fatto noto al fatto ignoto”;

2.1. il motivo è assorbito per effetto dell’accoglimento del primo motivo;

3. con il terzo motivo di ricorso (relativo al rilievo n. 5), denunciando insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio, la ricorrente assume che la GdF aveva: a) accertato che la società DI.AL. Srl, emittente le fatture, non aveva tenuto o aveva occultato la contabilità ed era priva di organizzazione aziendale; b) reperito, presso la sede della DI.AL. Srl, fatture in bianco perfettamente corrispondenti con quelle emesse nei confronti della società verificata; c) constatato che il pagamento di tutte le numerose fatture (eccetto una) era avvenuto in contanti; d) ipotizzato che gli impianti effettivamente rinvenuti (coincidenti con quelli indicati nelle fatture emesse dalla DI.AL. Srl), o erano stati realizzati direttamente da (OMISSIS) Srl, e in questo caso erano state emesse fatture per “operazioni oggettivamente inesistenti”, o erano stati forniti da imprese terze, e in questo caso erano state emesse a fronte di “operazioni soggettivamente inesistenti”;

ciò posto, l’Agenzia censura la sentenza della CTC per avere: a) omesso di apprezzare gli elementi addotti dall’Ufficio a sostegno della natura fittizia delle operazioni; b) travisato il significato dell’affermazione dei verbalizzanti che, rinvenendo gli impianti descritti nelle fatture, non avevano certo asserito che le corrispondenti prestazioni erano state realizzate dalla società DI.AL. Srl, ma avevano ipotizzato che, stante la carenza organizzativa di questa società, le prestazioni fossero state eseguite da (OMISSIS) o da soggetti terzi; c) affermato, genericamente, che la contribuente aveva dimostrato l’effettività delle operazioni;

3.1. il motivo è fondato;

preliminarmente è il caso di ricordare che questa Corte, anche di recente, ha delineato i criteri di ripartizione dell’onere della prova a seconda che l’Amministrazione finanziaria contesti l’emissione di fatture per operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti;

ricorrendo la prima ipotesi (operazioni oggettivamente inesistenti), si è affermato che: “In tema di IVA, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.” (Cass. 5/07/2018, n. 17619);

ricorrendo la seconda ipotesi (operazioni soggettivamente inesistenti), si è affermato che: “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.” (Cass. 30/10/2018, n. 27566);

ciò precisato sul piano dei princìpi di diritto, nel caso di specie l’Organo di controllo fiscale aveva addotto alcuni elementi fattuali dai quali, univocamente, si poteva evincere il carattere fittizio delle prestazioni descritte nelle fatture emesse da DI.AL. Srl che, in sostanza, per essere completamente inattiva e priva di un apparato organizzativo, altro non era che una “società fantasma” o una “cartiera”;

sulla scorta di questi consistenti elementi di fatto, l’Amministrazione finanziaria aveva contestato la fittizietà delle prestazioni e, appurata l’esistenza delle opere edili indicate nelle medesime fatture, aveva ipotizzato che si trattasse, alternativamente, di “operazioni oggettivamente inesistenti” – ove quelle opere fossero state eseguite direttamente dalla committente (OMISSIS) -, o di “operazioni soggettivamente inesistenti”, ove le stesse opere fossero state eseguite da soggetti terzi;

la CTC è incorsa nel vizio di motivazione in quanto ha trascurato il tenore effettivo della contestazione fiscale e, senza dare conto delle ragioni del proprio convincimento e del procedimento logico seguito per giungere a una simile conclusione, si è limitata a negare, con espressioni assertive e generiche, la natura fittizia delle operazioni;

a tale fine, il giudice d’appello ha valorizzato il dato – obiettivamente pacifico, ma non dirimente rispetto al rilievo erariale – che i lavori descritti nelle dette fatture erano stati effettivamente eseguiti; il che, tuttavia, alla stregua delle precedenti considerazioni, non valeva certo ad escludere il carattere oggettivamente o soggettivamente inesistente delle operazioni;

4. in definitiva: accolto il primo ed il terzo motivo del ricorso, e assorbito il secondo, la sentenza è cassata, con rinvio alla CTR del Lazio, cui è demandato di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

la Corte accoglie il primo e il terzo motivo del ricorso, dichiara assorbito il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata, rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2019

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