Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8183 del 02/04/2010

Cassazione civile sez. I, 02/04/2010, (ud. 21/01/2010, dep. 02/04/2010), n.8183

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.A. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CHISIMAIO 42, presso l’avvocato FERRARA

ALESSANDRO, rappresentato e difeso dall’avvocato FERRARA SILVIO,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

19/11/2007; n. 1168/07 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

21/01/2010 dal Consigliere Dott. GIANCOLA Maria Cristina;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 20.04.2007, A.A. adiva la Corte di appello di Napoli chiedendo che il Ministero dell’Economia e delle Finanze fosse condannato a corrispondergli l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’art. 6, sul “Diritto ad un processo equo”, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848.

Con decreto del 26.10 – 19.11.2007, l’adita Corte di appello, nel contraddittorio delle parti, respingeva la domanda dell’ A., condannandolo al pagamento delle spese processuali in favore dell’Amministrazione.

La Corte osservava e riteneva, tra l’altro:

– che l’ A. aveva chiesto l’equa riparazione del danno non patrimoniale subito per effetto dell’irragionevole durata del processo amministrativo, da lui introdotto (insieme ad altre 103 parti) nei confronti dell’Ospedale civile di (OMISSIS), dinanzi al TAR Campania, con ricorso depositato il 20.03.1997, ed ancora pendente in primo grado.

– che con il suddetto processo amministrativo era stata chiesta la declaratoria dell’illegittimita’ della riduzione del 15% che era stata apportata all’indennita’ di tempo pieno, in ragione dell’esercizio di attivita’ libero – professionale.

– che nel costituirsi in detto giudizio l’azienda ospedaliera aveva eccepito l’inammissibilita’ e, comunque, l’infondatezza del ricorso dell’ A. (e degli altri sanitari), in quanto la trattenuta era imposta dalla legge e dai Contratti collettivi ed era stata anche autorizzata ad operarla.

– che nel processo amministrativo l’ A. non aveva contestato la fondatezza dei contrari rilievi della controparte ne’ assunto iniziative volte alla sua sollecita definizione.

– che il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo, costituito dai riflessi psicologici negativi solitamente subiti dalla parte per il perdurare dell’incertezza sull’assetto delle posizioni coinvolte nel dibattito processuale, era conseguenza normale ma non necessaria ed automatica della violazione del termine ragionevole di durata del processo.

– che in relazione ai concreti profili della fattispecie, e segnatamente con riguardo alla questione dibattuta, alle ragioni che l’azienda ospedaliera aveva sostenuto a sostegno dell’infondatezza della pretesa esperita, alle aspettative del ricorrente ed al fatto che, dopo che, il 9.04.1997, era stata motivatamente respinta l’istanza di sospensione dell’esecutivita’ del provvedimento impugnato, non aveva assunto iniziative sollecitatorie per il cospicuo lasso di tempo di dieci anni, inerzia da valutare anche alla luce dell’onere di attivazione poi introdotto dalla L. n. 205 del 2000, art. 9, comma 2 doveva presumersi che, nonostante la durata del processo presupposto, non ricorresse il presupposto essenziale per la configurazione dello stato di disagio psicologico costituito dalla condizione soggettiva d’incertezza circa l’esito della lite.

– che in particolare, si era in presenza di un comportamento di tale obiettiva rilevanza e di si’ agevole percezione, da consentire di ritenere – pur sempre con il metro di valutazione sufficiente a sorreggere il convincimento necessariamente affidato a criteri di natura presuntiva – che l’ A. (al pari degli agli altri sanitari che con lui avevano agito) era originariamente consapevole dell’insuccesso dell’iniziativa assunta e della sua inconsistenza, siccome in radice preclusa dal chiaro tenore della normativa vigente e da consolidati orientamenti giurisprudenziali.

Avverso questo decreto l’ A. ha proposto ricorso per Cassazione, notificato il 2.05.2008, affidato a due motivi ed illustrato da memoria. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso l’ A. denunzia, con conclusiva formulazione di quesiti di diritto in ossequio al disposto dell’art. 366 bis c.p.c.:

1. “Violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2. Contestuale violazione e mancata applicazione L. n. 848 del 1955 (art. 6, par. 1, 13, 19 e 53 della Convenzione ratificata) e art. 24 e 111 Cost., nonche’ L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 23 e R.D. 17 agosto 1907, artt. 51 e 53, nonche’ della L. n. 205 del 2000, art. 9, comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione art. 360 c.p.c., n. 5”.

2. “Violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2. Contestuale violazione e mancata applicazione della L. n. 848 del 1955 (art. 6, par. 1, artt. 13, 19 e 53 della Convenzione ratificata) e art. 24 e 111 Cost., nonche’ L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 23 e R.D. 17 agosto 1907, artt. 51 e 53, nonche’ della L. n. 205 del 2000, art. 9, comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione art. 360 c.p.c., n. 5”.

Con i due motivi di gravame, che essendo strettamente connessi consentono esame unitario, il ricorrente si duole che i giudici di merito abbiano escluso la sussistenza del diritto all’equa riparazione del danno non patrimoniale da lui subito, sostenendo in sintesi che le ragioni esposte a sostegno non legittimavano l’avversata conclusione ma semmai avrebbero potuto influire sulla quantificazione del dovuto indennizzo. Le censure meritano favorevole apprezzamento.

La Corte d’appello ha disatteso la domanda di equo indennizzo dell’ A. non escludendo la durata irragionevole del processo da lui (con numerose altre parti) intrapreso dinanzi al giudice amministrativo, ma presumendo l’assenza di sofferenze psicologiche connesse al ritardo di definizione. A tale riguardo non ha negato il principio (ormai consolidato) secondo il quale tale specie di danno e’ da ritenersi conseguenza normale, ancorche’ non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, sicche’ – pur dovendo escludersi la configurabilita’ di un danno non patrimoniale in re ipsa – il giudice, una volta accertata e determinata la violazione relativa alla durata ragionevole del processo, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente (in questo senso Cass., sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1339). Ha ritenuto, invece, che nel caso specifico detta presunzione di danno dovesse ritenersi superata, attesa l’originaria consapevolezza da parte dell’istante dell’insuccesso della sua iniziativa giudiziaria, desunta dal chiaro tenore della normativa vigente, dalla giurisprudenza contraria e dal prolungato contegno inerte quanto ad istanze di prelievo.

Come noto, l’esito sfavorevole della lite non elide il diritto alla ragionevole durata del processo e conseguentemente all’equa riparazione del danno causato dal ritardo di definizione, salvo che la parte si sia resa responsabile – e ne sia data la prova – di lite temeraria o, comunque, di un vero e proprio abuso del processo.

Tuttavia, qualora, come nella specie, nel processo affetto da durata irragionevole non sia stata adottata alcuna pronuncia conclusiva sfavorevole alla parte che agisca per conseguire l’indennizzo previsto dalla L. n. 89 del 2001, il diritto a tale beneficio puo’ essere escluso non in ragione della mera prevedibilita’ della pronuncia negativa, ricondotta al concetto di temerarieta’ della lite (art. 96 c.p.c.), restando altrimenti violato il divieto di presumptio de presunto, ma da diversa tipologia di abuso del processo, quale anche l’adozione, sia pure in detta consapevole prospettiva, di una tattica dilatoria, volontariamente intesa a conseguire vantaggi dalla pendenza, evenienza questa non contemplata nel decreto impugnato (in tema, cfr Cass. 200824269). Accolta, dunque, la censura in questione ben puo’ procedersi sulle esposte premesse, alla cassazione dell’impugnato decreto ed alla decisione nel merito del ricorso, ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

Considerando che sino al deposito ricorso per equa riparazione il processo amministrativo era pendente da circa 10 anni (dal 20.03.1997 al 20.04.2007) mentre, invece, anche in linea con i parametri cronologici sovranazionali, avrebbe dovuto essere definito nel tempo ragionevole di tre anni, il periodo d’irragionevole durata puo’ determinarsi in circa 7 anni. Quanto alla misura dell’indennizzo, considerati gli standards CEDU, recepite le ragioni che la Corte distrettuale ha posto a fondamento della sua pronuncia sfavorevole, segnatamente l’inerzia manifestata dall’istante ed i connotati della sua aspettativa, e conseguentemente individuato nella somma di Euro 750,00 ad anno per il primo triennio ed in Euro 1.000,00 ad anno per il periodo successivo, il parametro indennitario per la riparazione del danno non patrimoniale, devesi riconoscere all’istante l’indennizzo complessivo di Euro 6.250,00 oltre agli interessi legali con decorrenza dalla domanda (Cass. 200608712). Quanto alla regolamentazione delle spese, a carico dell’Amministrazione soccombente va posto il pagamento delle spese sia del giudizio di merito, liquidate come in dispositivo, adottando la tariffa per processo svoltosi innanzi alla Corte di appello, che del giudizio di cassazione, anch’esse liquidate come in dispositivo. Spese distratte.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso dell’ A., cassa il decreto impugnato e decidendo nel merito condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 6.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda nonche’ al pagamento delle spese del giudizio di merito, liquidate in complessivi Euro 1.500,00 (di cui Euro 850,00, per onorari ed Euro 50,00 per esborsi), oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, nonche’ al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in complessivi Euro 1.100,00, di cui Euro 100,00, per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, spese da distrarsi in favore dell’Avv.to Silvio Ferrara antistatario.

Cosi’ deciso in Roma, il 21 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2010

 

 

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