Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8182 del 24/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/03/2021, (ud. 20/10/2020, dep. 24/03/2021), n.8182

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12420/2013 R.G. proposto da:

DS Sm. Holding Italia.p.a., in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale del 16

aprile 2013 a rogito del Notaio G.G., dall’Avv. Andrea

Russo, elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma,

Viale Castro Pretorio n. 122;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello

Stato e presso i cui uffici domicilia in Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 1/24/2013, depositata il 29 gennaio 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 ottobre

2020 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.In data 21-10-2010 veniva notificata alla DS Sm. Holding Italia s.p.a. una comunicazione di irregolarità, emessa a seguito di controllo automatico della dichiarazione relativa al consolidato fiscale (Modello CNM) ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis con riferimento all’anno 2007. In data 20-5-2011 veniva notificata alla contribuente una cartella di pagamento relativa solo a sanzioni ed interessi, per il ritenuto carente versamento della seconda rata di acconto Ires consolidata per il 2007, pari ad Euro 418.456,80. Si chiedeva, dunque, il pagamento della somma di Euro 137.942,42, di cui Euro 125.537,04 a titolo di sanzioni ed Euro 6.270,45 per interessi.

2.Proponeva ricorso la società evidenziando che l’importo del secondo acconto Ires era stato determinato dall’applicazione della deducibilità dei costi auto di cui al D.L. n. 81 del 2007, art. 15 bis portati alla misura del 90% (in precedenza per il D.L. n. 262 del 2006 il 65%) per le auto aziendali assegnate ad uso promiscuo ai dipendenti e per il 40% per i veicoli non assegnati ai dipendenti (in precedenza il 20%). Tale norma era di applicazione retroattiva e, quindi, si applicava anche all’anno 2006, mediante una maggiore deduzione da applicare nel Modello Unico 2008, esercizio 2007, e ciò indipendentemente dall’esercizio di una opzione da parte del contribuente. Pertanto, la società, in sede di calcolo della seconda rata di acconto per il 2007, aveva rideterminato l’imposta dovuta di competenza dell’esercizio 2006, da assumersi quale base di calcolo per l’acconto dovuto per il 2007, utilizzando il metodo “storico”. Il primo acconto per il 2007 è stato rideterminato tenendo conto delle disposizioni della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 401, 402 e 403 che aveva modificato i limiti di deducibilità delle spese per telefonia. Il reddito fiscale del consolidato pari ad 14.012.938,00 era stato portato ad Euro 14.092.221,00, con una imposta netta che da Euro 4.619.974 era stata determinata in Euro 4.645.637,00, con versamento della prima rata di acconto, che da Euro 1.847.789,60 era passata ad Euro 1.858.254,80. In sede di versamento della seconda rata di acconto, che è quella in esame, la società ha nuovamente ricalcolato l’Ires del consolidato, tenendo conto delle nuove percentuali di deducibilità dei costi auto per il 2006 ed il 2007. Il reddito del consolidato è così diminuito ad Euro 12.824.168,00, cui corrispondeva una imposta di Euro 4.227.180,00, da versare con Euro 1.690.872,00 quale prima rata di acconto ed Euro 2.536.308,00 quale seconda rata di acconto. Dopo aver detratto la prima rata di Euro 1.858.254,80, la società aveva versato la somma residua di Euro 2.368.925,20 (Euro 4.227.180 – 1.858.254,80). Ogni società consolidata aveva indicato nel proprio modello unico le rispettive variazioni in diminuzione, tenendo conto dei maggiori costi auto deducibili negli anni 2006 e 2007. La contestazione dell’Ufficio derivava, allora, da un mero errore materiale in cui era incorsa la società in sede di compilazione della dichiarazione di consolidato fiscale, modello CNM 2008. La società consolidante aveva commesso un errore nell’evidenziare l’importo dell’acconto complessivamente rideterminato, indicando nel rigo CS 18 l’imposta rideterminata ai fini del 1 acconto versato nel giugno 2007 (Euro 4.645.637,00), anzichè quella rideterminata ai fini del 2 acconto versato nel novembre 2007 che aveva recepito le nuove disposizioni relative alla deducibilità dei costi auto (Euro 4.227.180.00), per una differenza di Euro 418.457,00, corrispondente esattamente all’importo del minore acconto dovuto per il 2007 di cui l’Ufficio contestava l’omesso versamento. Non vi era stato, dunque, alcun pregiudizio per l’Erario, trattandosi solo di errore formale, che non aveva inciso sull’ammontare del debito di imposta che era di Euro 4.227.180,00 e non di Euro 4.645.637,00, come erroneamente dichiarato. Non potevano, allora, applicarsi le sanzioni, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3.

3.L’Agenzia delle entrate deduceva che la società aveva versato, come secondo acconto, la somma di Euro 2.368.925,20, invece della somma di Euro 2.787.382,00, corrispondente alla “imposta netta” di Euro 4.645.637,00, come indicata dalla contribuente nella dichiarazione del consolidato (la prima rata era stata indicata e versata nella somma di Euro 1.858.254,80), con una differenza di Euro418.456,80, su cui venivano calcolate ed iscritte a ruolo le sanzioni di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 oltre gli interessi di legge. La contribuente, però, non aveva presentato alcuna dichiarazione integrativa ai sensi del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis. Nè la società aveva prodotto la necessaria documentazione, e segnatamente il bilancio di esercizio, ma solo dei prospetti contabili, non fornendo la prova che i dati in esso contenuti corrispondevano a quelli desumibili dal documento contabile. Peraltro, la dichiarazione integrativa per il 2007, doveva essere presentata entro il 31-10-2009.

4.La Commissione tributaria provinciale di Milano, con la sentenza n. 96 del 29-3-2012, accoglieva il ricorso, in quanto la società aveva “allegato al ricorso documentazione probante riguardante l’imposta rideterminata ai fini del 2 acconto versato nel mese di novembre 2007”, allegando gli F24 effettuati che attestavano i versamenti fatti.

5.L’Agenzia delle entrate proponeva appello, evidenziando che la società non aveva presentato la dichiarazione integrativa e che la rideterminazione del saldo e dell’acconto in base alla normativa sopravvenuta (D.L. n. 81 del 2007) non avveniva ex lege, ma costituiva una mera facoltà della contribuente.

6.La società rilevava che la dichiarazione integrativa non poteva essere presentata entro il 31-10-2009, in quanto la comunicazione di irregolarità era del 21-10-2010, e il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13 concedeva la possibilità di presentare la dichiarazione integrativa, ma solo prima della contestazione della violazione. Inoltre, la dichiarazione integrativa poteva essere presentata anche in sede di contenzioso giudiziale, trattandosi di mera dichiarazione di scienza. Trattavasi, comunque, di mero errore formale, da cui non derivava alcun debito di imposta, con conseguente inapplicabilità delle sanzioni L. n. 212 del 2000m, ex art. 10, comma 3.

7.La Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello dell’Ufficio, in quanto la società non aveva mai presentato la dichiarazione integrativa entro il 31-10-2009, D.P.R. n. 322 del 1998, ex art. 2, comma 8 bis. Inoltre, le istruzioni nel compilare il modello CNM (consolidato nazionale) non prevedevano una applicazione ex lege della rideterminazione degli acconti Ires, ma solo una facoltà. Tali istruzioni prevedevano che, in caso di rideterminazione dell’acconto, nella colonna 4 del rigo CS 18, fosse indicato il minor acconto dovuto, da recuperare in sede di versamento della seconda o unica rata di acconto, per effetto delle maggiori percentuali di deducibilità previste dal D.L. 2 luglio 2007, n. 81, art. 15 bis, comma 9, convertito in L. n. 127 del 2007.

8.Avverso tale sentenze propone ricorso per cassazione la società, depositando memoria scritta.

9.Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo di impugnazione la società deduce la “violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5 bis ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto dalla errata compilazione del rigo C 18 del modello di dichiarazione relativo al consolidato (Modello CNM 2008) non è derivata una maggiore imposta rispetto a quella effettivamente dovuta per l’esercizio 2007, in base alle percentuali di deducibilità previste dal D.L. n. 81 del 2007, non avendo inciso sull’ammontare del debito di imposta dovuto, nè sono derivati maggiori crediti o minori debiti. Tanto è vero che con la cartella di pagamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis non è stato chiesto il pagamento della differenza tra l’ammontare (maggiore) dell’acconto erroneamente indicato nel Modello Unico e l’ammontare (minore) dell’acconto effettivamente pagato, ma sono state unicamente irrogate le sanzioni. La società ha effettuato i versamenti, documentati con i modelli F 24 e riscossi dalla Agenzia delle entrate, di importo inferiore all’acconto erroneamente indicato, ma nella misura corrispondente all’applicazione delle maggiori deducibilità dei costi per le auto aziendali, come da D.L. n. 81 del 2007. La società ha “materialmente” agito in modo corretto, anche se “formalmente” ha invece errato. Nè la Agenzia delle entrate con l’appello ha mai contestato l’insussistenza del debito di imposta, sicchè ciò è divenuto incontrovertibile per essersi formato il giudicato interno. Si è trattato, però, di un errore meramente formale che non ha impedito o ostacolato l’attività di controllo della Amministrazione e non ha inciso sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e del versamento del tributo, con conseguente non applicabilità delle sanzioni ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5 bis. Trattavasi, comunque, di una mera dichiarazione di scienza, che il contribuente poteva rettificare anche dopo la scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione, tanto che il contribuente poteva difendersi anche solo in sede contenziosa alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione.

2.Con il secondo motivo di impugnazione la società ricorrente deduce la “nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 in coerenza con l’art. 111 Cost. – omessa motivazione”, in quanto la sentenza del giudice di appello non ha tenuto conto della natura solo formale dell’errore commesso dalla contribuente, e non ha motivato sulla ragione per cui, in presenza di errore formale, siano state comunque irrogate le sanzioni. In particolare vi sarebbe omessa motivazione per l’assenza della esposizione dei motivi in diritto sui cui si è basata la decisione di appello. Nè la sentenza ha tenuto conto della possibilità per la contribuente di rettificare la propria dichiarazione anche in sede contenziosa.

3.Con il terzo motivo di impugnazione (rubricato sub 2.3. a pagina 41 del ricorso per cassazione) la ricorrente lamenta la “omessa o insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”, in quanto il giudice di appello non ha spiegato in base a quali presupposti “avesse ritenuto che l’errore compiuto dovesse essere qualificato come errore sostanziale, passibile della irrogazione di sanzioni” (pagina 52 del ricorso).Nè nella motivazione del giudice di appello sono stati menzionati “i motivi per i quali ha ritenuto che le sanzioni andassero irrogate”, nè si è specificato “perchè l’errore compiuto nel riportare i dati relativi al secondo acconto non dovesse essere considerato un errore formale” (pagina 54 del ricorso).

4.Con il quarto motivo di impugnazione (rubricato sub 2.4. a pagina 56 del ricorso per cassazione) la ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 322 del 1988, art. 2, comma 8 bis in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto costituiva dato pacifico tra le parti che la contribuente avesse commesso un errore nel compilare la dichiarazione, ma avesse effettivamente versato l’importo esatto, in base ai maggiori costi deducibili ex D.L. n. 81 del 2007. Del resto, l’esattezza dell’importo pagato con il modello F 24 era stato confermato (“implicitamente riconosciuto”) dalla stessa Agenzia delle entrate, la quale con la cartella di pagamento non aveva recuperato a tassazione la differenza tra quanto indicato in dichiarazione e quanto effettivamente pagato, ma si era limitata ad irrogare le sanzioni. In realtà, la dichiarazione dei redditi che contenga errori è emendabile in ogni momento ed anche in sede contenziosa, quindi anche in assenza di apposita dichiarazione integrativa. Il termine di decadenza di cui al D.P.R. n. 322 del 1988, art. 2, comma 8 bis, vale solo quando ci si intenda giovare della compensazione. Inoltre, l’errore commesso, essendo meramente formale, non ha in alcun modo inciso sulla liquidazione del corretto ammontare dell’imposta dovuta.

5.Il primo motivo è fondato.

5.1.Invero, la L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, prevede che “le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta”.

Il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5 bis, poi, prevede che “non sono inoltre punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo”.

5.2.Per questa Corte le fattispecie trasgressive possono essere raggruppate in tre tipologie fondamentali, e precisamente: a) le violazioni sostanziali, consistenti nella omessa o infedele dichiarazione degli elementi rilevanti per la quantificazione dell’imponibile o dell’imposta; b) le violazioni “formali”, non incidenti sulla determinazione dell’imponibile o dell’imposta; c)nell’ambito delle violazioni formali, occorre poi distinguere le violazioni “meramente formali”, ovvero quelle che non arrecano alcun pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo, previste dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5 bis introdotto dal D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 7, comma 1, lett. A a decorrere dal 20 marzo 2001 (Cass., sez. 5, 16 gennaio 2019, n. 901; Cass., sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27598; Cass., n. 27211 del 22 dicembre 2014; Cass., 8 marzo 2013, n. 5897; Cass., 6 ottobre 2017, n. 23352).

Pertanto, solo le violazioni “meramente formali” di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5 bis integrano causa di non punibilità della condotta, quando manca ogni offensività della violazione, sia in ordine alla corretta determinazione della base imponibile, dell’imposta ed al versamento del tributo, sia in ordine all’esercizio dell’attività di controllo (Cass., sez. 5, 16 gennaio 2019, n. 901).

8.3.Nella specie, è pacifico che la ricorrente (cfr. pagina 18 del ricorso per cassazione), nel quadro riepilogativo, ha errato nell’indicare il ricalcolo per il secondo acconto (Euro 4.227.180,00) relativo alla deducibilità maggiore delle spese per auto, avendo invece scritto nella dichiarazione la somma di Euro 4.645.637,00. La prima rata pagata con il ricalcolo per il primo acconto era di Euro 1.858.254,80. Pertanto, l’imposta netta era di Euro 4.645.637,00 con il ricalcolo per il primo acconto, mentre era di Euro 4.227.180,00 con il ricalcolo del secondo acconto non indicato nella dichiarazione dei redditi. La cifra mancante era di Euro 418.457,00, pari alla differenza tra queste due cifre suindicate, corrispondente in modo esatto al minor acconto dovuto per l’esercizio 2007 di cui l’Ufficio ha contestato l’omesso versamento.

La ricorrente, quindi, ha ammesso di aver versato come seconda rata la sola somma di Euro 2.368.925, ossia la differenza tra il nuovo acconto di cui al secondo ricalcolo di Euro 4.227.180,00 (e non la maggiore somma relativa al primo ricalcolo di Euro 4.645.637,00) e la prima rata pagata in relazione al primo ricalcolo dell’acconto (Euro 1.858.254,00).

L’Ufficio, dinanzi a tale condotta erronea della contribuente, non ha provveduto ad emettere la cartella di pagamento per l’omesso versamento della somma di Euro 418.457,00, ma si è limitata a contestare le sanzioni ed a chiedere gli interessi. In tal modo l’Amministrazione ha riconosciuto che, nella “sostanza” la condotta della contribuente è stata corretta, avendo versato con i modelli F24 proprio gli importi corrispondenti a quanto effettivamente dovuto, una volta scelto di utilizzare le maggiori deducibilità di cui al D.L. n. 81 del 2007.

L’errata compilazione del rigo CS 18 del modello CNM 2008 non ha determinato una maggiore imposta rispetto a quella effettivamente dovuta per l’esercizio 2007, mentre l’errore, puramente formale, non ha inciso sull’ammontare del debito di imposta.

Si è trattato, allora, di una violazione “meramente formale”, con pagamento integrale del tributo derivante dalla sopravvenuta deducibilità delle spese auto, dimostrato in modo univoco dagli F24 attestanti i pagamenti effettivamente avvenuti, con il conseguente venir meno dei presupposti per l’applicazione delle sanzioni e degli interessi.

6.I restanti motivi restano assorbiti.

7.La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata ma, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con l’accoglimento del ricorso originario della contribuente.

8.Le spese dell’intero giudizio vanno compensate tra le parti in ragione della condotta erronea della ricorrente nell’indicazione dell’importo della seconda rata di acconto.

PQM

Accoglie il primo motivo; dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della contribuente.

Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 20 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2021

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