Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8182 del 02/04/2010

Cassazione civile sez. I, 02/04/2010, (ud. 21/01/2010, dep. 02/04/2010), n.8182

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.S. (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MIRANDA VALENTINO,

giusta procura a margine del ricorso Corte di Appello di Napoli;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

21/03/2007; n. 1879/06 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

21/01/2010 dal Consigliere Dott. RAGONESI Vittorio;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

La Corte:

 

Fatto

OSSERVA

quanto segue.

T.S. ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi avverso il provvedimento della Corte d’appello di Napoli depositato il 21.3.07, con cui veniva respinta la sua richiesta di equo indennizzo ex lege n. 89 del 2001 per l’eccessivo protrarsi di un processo penale svoltosi in primo grado innanzi al tribunale di Nocera Inferiore, iniziato con decreto di citazione il 21.11.95 e conclusosi con sentenza di prescrizione del 30.1.06.

Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Con il primo ed il secondo motivo il ricorrente lamenta che erroneamente la Corte d’appello ha escluso la sussistenza della durata irragionevole del processo ritenendo che l’eccessivo protrarsi di questo fosse addebitabile al suo comportamento dilatorio e che, per contro, non fosse addebitabile all’amministrazione della giustizia l’eccessivo lasso di tempo fissato tra una udienza di rinvio e l’altra.

Con il terzo motivo si duole del mancato riconoscimento del danno non patrimoniale sotto il profilo del danno all’immagine.

Il ricorso e’ infondato.

Questa Suprema Corte ha gia’ avuto occasione di chiarire che il diritto all’equa riparazione prescinde dall’esito del giudizio irragionevolmente protrattosi nel tempo, e quindi compete anche quando la durata eccessiva abbia determinato l’estinzione del reato per prescrizione (dovendosi escludere che quest’ultima valga di per se’ ad elidere gli effetti negativi del protrarsi eccessivo del processo, in via di “compensatio lucri cum damno”), salvo che l’effetto estintivo del reato derivi dall’utilizzo, da parte dell’imputato sottoposto a procedimento penale, di tecniche dilatorie o di strategie sconfinanti nell’abuso del diritto di difesa. Cass. 17552/06. La Corte d’appello si e’ attenuta a questo principio rilevando che l’eccessiva durata del processo era addebitabile sostanzialmente alla tattica dilatoria dell’imputato motivata sulla base dei numerosi rinvii richiesti dai difensori e di quelli dovuti alla mancata presentazione dei testimoni nonche’ al fatto che, a fronte della ventilata dichiarazione di sospensione dei termini processuali, il difensore del ricorrente minaccio’ di proporre opposizione.

Tale motivazione risulta basata sulle risultanze processuali ed appare logicamente argomentata tenendo conto che la Corte d’appello ha effettuato una valutazione sintetica in base alle sopra citate circostanze del comportamento processuale complessivo del ricorrente, senza che possa rilevare la circostanza che qualcuno dei rinvii elencati in sentenza non sia stato effettivamente addebitabile alla parte.

Ne discende che le censure che il ricorrente propone, oltre ad essere infondate in punto di diritto, tendono a prospettare una diversa interpretazione degli elementi posti a base della decisione, in tal modo investendo il merito della stessa e rendendosi cosi non scrutinabili in questa sede di legittimita’.

Il ricorso va pertanto rigettato. Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 1000,00 per onorari oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2010

 

 

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