Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8181 del 24/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/03/2021, (ud. 02/10/2020, dep. 24/03/2021), n.8181

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – est. Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1480/2014 proposto da:

M.L., (CF (OMISSIS)), rapp.ta e difesa per procura in

calce al ricorso, dall’avv. Gabriele Rapali, con il quale

elettivamente domicilia in Roma alla via delle Milizie n. 38 presso

lo studio dell’avv. Barbara Aquilani;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (CF (OMISSIS)), in persona del Direttore p.t.,

elettivamente domiciliata in Roma alla v. dei Portoghesi n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 96/2/13 depositata in data 13 maggio 2013

della Commissione tributaria regionale Dell’Abruzzo;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 2 ottobre 2020 dal relatore Dott. Aldo Ceniccola.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 96/2/13 del 15 maggio 2013 la Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo rigettava l’appello proposto da M.L. avverso la sentenza con la quale la Commissione provinciale di Teramo ne aveva in gran parte rigettato il ricorso avverso l’avviso di accertamento ai fini Irpef, emesso dall’Agenzia delle entrate per l’anno di imposta 2008, con cui, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 5 ne era stato determinato sinteticamente il reddito.

Osservava la CTR, per quanto ancora rileva, che, a parte la novità di alcuni argomenti nuovi introdotti dalla ricorrente (quanto all’asserita disponibilità di somme, frutto di risparmi propri e del coniuge depositate presso la Banca dell’Adriatico e considerate giustificative della legittimità delle spese contestate), gli elementi utilizzati dall’Ufficio per procedere alla ricostruzione del reddito imponibile corrispondevano pienamente agli indici previsti dalla vigente normativa e che le accertate disponibilità (in particolare il veicolo acquistato e gli altri beni, mobili ed immobili, ancorchè cointestati con alcuni parenti) avevano pienamente integrato la grave presunzione di incongruità del reddito dichiarato.

Quanto – poi – agli apporti finanziari derivanti dalle risorse del coniuge e della parente convivente, era risolutivo quanto già osservato dalla CTP, secondo la quale mancava una prova rigorosa circa l’effettività del contributo di altri parenti o affini sia alle spese di gestione, sia, più in particolare, alle spese per l’acquisto e la gestione di un veicolo ulteriore rispetto a quello posseduto.

Infine, al di là del minimale ridimensionamento del reddito accordato dalla CTP e ricavato dalla considerazione del presumibile contributo della convivente alla gestione dell’abitazione principale, non poteva essere trascurato, in relazione al profilo del concorso del coniuge agli oneri connessi, che da un lato i coniugi avevano scelto di disciplinare il proprio regime con la separazione dei beni, e dall’altro mancava un’adeguata dimostrazione di quanto dedotto a proposito della complessiva situazione patrimoniale e reddituale propria del coniuge.

Dunque l’effettività del reddito accertato.

Avverso tale sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione, affidato a tre mezzi. L’agenzia delle Entrate ha depositato memoria al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. A sostegno del primo motivo, che lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e ss., 159 e 173 c.c. (anche in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.), ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente osserva che l’assunto del giudice di appello sarebbe illegittimo, avendo discriminato il contribuente in funzione del regime patrimoniale prescelto dai coniugi ed avendo omesso di verificare, in concreto, la complessiva posizione reddituale dei componenti del nucleo familiare, trascurando – altresì – di verificare l’incidenza dei redditi posseduti da questi ultimi.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Il contribuente si limita a sottoporre ad una puntuale critica solamente quella parte della pronuncia nella quale la CTR pare effettivamente assegnare, sul piano logico, un peso rilevante al regime patrimoniale prescelto dai coniugi, omettendo però di censurare in modo specifico e diretto l’ulteriore ed autonoma ratio decidendi utilizzata dalla CTR e fondata sul difetto di un’adeguata dimostrazione di quanto dedotto a proposito della complessiva situazione patrimoniale e reddituale propria del coniuge.

1.3. La CTR, infatti, dopo aver evidenziato che il ricorrente aveva scelto di disciplinare il rapporto con il coniuge con la previsione del regime di separazione dei beni, ha avuto modo di porre in luce “il difetto di un’adeguata dimostrazione di quanto dedotto a proposito della complessiva situazione patrimoniale-reddituale propria del coniuge”, non discostandosi così, nemmeno quanto al riparto dell’onere della prova, ai criteri costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità.

1.4. Secondo questa Corte, infatti, “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, con riferimento alla determinazione sintetica del reddito complessivo netto in base ai coefficienti presuntivi individuati dai decreti ministeriali previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 (cd. redditometri), la prova contraria ivi ammessa, richiedendo la dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, implica un riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare, costituito dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori, atteso che la presunzione del loro concorso alla produzione del reddito trova fondamento, ai fini dell’accertamento suddetto, nel vincolo che li lega” (cfr. da ultimo Cass. 21/11/2019, n. 30335).

1.5. Come pure, secondo Cass. 26/1/2016, n. 1332, “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalità, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, (applicabile “ratione temporis”), la relativa prova deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi (nella specie, da parte della madre, titolare di maggiore capacità economica), ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente (nella specie, il figlio) interessato dall’accertamento”.

2. Il secondo motivo lamenta la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, in riferimento agli artt. 53 e 23 Cost. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto, avendo il giudice di appello confermato la riduzione della pretesa tributaria in Euro 49.763, a fronte di un reddito di Euro 77.933 imputabile al nucleo familiare, sarebbe incorso in un’evidente violazione del presupposto previsto dall’art. 38, comma 4, cit., nella formulazione vigente ratione temporis (ossia la necessità di uno scostamento di almeno il 25% tra il reddito dichiarato e quello netto accertabile).

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. Nel caso di specie, infatti, tra i due valori di riferimento lo scostamento che effettivamente rileva è superiore al quarto, dovendosi operare un raffronto tra il reddito accertato e quello dichiarato dal contribuente.

2.3. La base di calcolo che invece il ricorrente prende in considerazione è costituita non già, come sarebbe necessario, dai redditi propri, ma da quelli imputabili complessivamente al nucleo familiare, riguardo alla cui entità, del resto, non vi è alcuna oggettiva certezza, avendo la CTR evidenziato il difetto di un’adeguata dimostrazione di quanto dedotto dal contribuente a proposito della complessiva situazione patrimoniale e reddituale del coniuge.

3. Con il terzo motivo il contribuente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avendo il giudice di appello completamente trascurato di esaminare la doglianza riguardante l’asserita carenza dei presupposti per procedere all’accertamento sintetico, in quanto, secondo il ricorrente, il reddito dichiarato era di gran lunga superiore al reddito sinteticamente accertabile sulla base degli indici di capacità contributiva.

3.1. Il motivo è infondato.

3.2. Al di là del rilievo che il motivo ripropone la questione della violazione dell’art. 38, comma 4, circa l’assenza dello scostamento per oltre un quarto tra reddito dichiarato ed accertato (doglianza da considerarsi infondata, come precisato in relazione al precedente motivo), va evidenziato che il giudice di appello non ha affatto trascurato le indicate circostanze, tanto è vero che in diversi passaggi argomentativi ha puntualmente disatteso i vari tentativi volti a dimostrare le maggiori disponibilità di denaro, in un caso affermandone l’inammissibilità, venendo in rilievo questioni nuove, in altri casi facendo riferimento all’assenza di prova circa la situazione patrimoniale e reddituale del coniuge.

4. Le ragioni che precedono impongono il rigetto del ricorso. Nulla sulle spese processuali, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’Agenzia delle entrate.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2021

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