Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 818 del 15/01/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 818 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: BLASUTTO DANIELA

SENTENZA

sul ricorso 29261-2008 proposto da:
ANGIERI MARTA ROSARIA, elettivamente domiciliata in
ROMA, PIAZZA DELLA LIBERIA’ 20, presso lo studio
legale SICA, rappresentata e difesa dall’avvocato
TULIANO ALFONSO, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2012
3926

CAVAMARKET

S.P.A.,

in

persona

del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA GERMANICO 146, presso lo studio
dell’avvocato VERALDI

STEFANIA,

rappresentata e

Data pubblicazione: 15/01/2013

difesa dall’avvocato ICELE LORENZO, giusta delega in
atti;
– controricorrente
avverso la sentenza n. 984/2008 della CORTE D’APPELLO
di

SALERNO,

depositata

il

05/09/2008

R.C.N.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/11/2012 dal Consigliere Dott. DANIELA
BLASUTTO;
udito l’Avvocato IULIANO ALFONSO;
udito l’Avvocato IOELE LORENZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO,che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

1613/2006;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Angieri Maria Rosaria adiva il Giudice del lavoro di Salerno per impugnare il
licenziamento intimatole dalla datrice di lavoro Cavamarket s.p.a. con comunicazione del

Il giudice adito, in parziale accoglimento del ricorso, dichiarava l’illegittimità del
licenziamento; respingeva la domanda di reintegra e riconosceva a titolo risarcitorio la
misura minima di cinque mensilità dell’ultima retribuzione sul rilievo che la ricostituzione
del rapporto era preclusa dal rifiuto, opposto dalla lavoratrice, all’offerta di riassunzione
formulata dalla società.
A seguito di appello proposto dalla ricorrente per ottenere raccoglimento integrale
della domanda, la Corte di Appello di Salerno, con sentenza dell’ l l giugno 2008,
depositata il 5 settembre 2008, in parziale accoglimento del gravame, ordinava alla società
appellata di reintegrare l’appellante nel posto di lavoro, confermando nel resto la sentenza
di primo grado.
Osservava la Corte territoriale, quanto al motivo di gravame teso ad ottenere una
diversa qualificazione del recesso in termini di licenziamento collettivo, che nessuna
allegazione in tal senso era stata formulata nei ricorso introduttivo e dunque la questione
era nuova ed inammissibile; quanto al rifiuto opposto dalla lavoratrice all’offerta di
riassunzione, questo non poteva costituire una implicita rinuncia alla reintegra nel posto di
lavoro, ma poteva essere valorizzato ai fini della limitazione del risarcimento del danno.
Per la cassazione parziale di tale sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso per
cassazione, affidato a quattro motivi, cui resiste con controricorso la soc. Cavamarket.
All’udienza si è costituito il Fallimento della Cavamarket s.p.a.
Parte ricorrente ha depositato note.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si censura la sentenza per omessa pronuncia (art. 112 cod. proc.
civ.) sulle “richieste economiche, fatte valere anche in grado di appello”, considerata la
prova raggiunta in giudizio circa “un differenziale orario di lavoro rispetto a quello

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31.3.2000 ed effetto dal 2.4.2000 per giustificato motivo oggettivo.

prospettato dalla resistente”; solo all’udienza del 6.12.2000 la società convenuta aveva
provveduto al pagamento delle somme dovute alla cessazione del rapporto di lavoro,
avvenuto il 31.3.2000, “senza gli accessori di legge”; in ragione di tutto ciò, il giudice

condanna”.
Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 112 e 113 cod. proc. civ., in
relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per avere la sentenza ritenuto domanda nuova la
pretesa tendente ad ottenere una diversa qualificazione del licenziamento in termini di
licenziamento collettivo e non individuale plurimo per giustificato motivo oggettivo e
parimenti nuova l’allegazione del profilo di illegittimità costituito dalla violazione dei
criteri di scelta di cui alla legge n. 223 del 1991. Dall’esame del ricorso introduttivo era
possibile evincere che tale censura era stata svolta, restando irrilevante la mancata
enunciazione della norma violata.
Con il terzo e il quarto motivo si censura la sentenza per violazione di legge e vizio di
motivazione, in relazione all’art. 18 comma 4 legge n. 300/70, avendo i giudici di appello,
con argomentazione contraddittoria, ritenuto legittimo il rifiuto della riassunzione opposto
dalla lavoratrice e poi fatto discendere dal rifiuto effetti sfavorevoli, quale la limitazione
del risarcimento del danno al minimo di legge, in luogo di tutte le retribuzioni maturate
successivamente al licenziamento invalido secondo la regola generale applicabile alla
fatti specie.
Il primo motivo, con cui si denuncia omessa pronuncia in ordine a residue pretese
economiche, oltre a non essere perspicuo nel suo contenuto enunciativo, è inammissibile
per difetto di autosufficienza.
Secondo costante giurisprudenza, è riconducibile all’art. 360, primo comma, n. 4 cod.
proc. civ. il rilievo di vizi attinenti all’ultrapetizione e all’extrapetizione. In tale ipotesi la
Corte di legittimità diviene anche giudice del fatto (processuale) ed ha, quindi, il poteredovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali.

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aveva errato per avere dichiarato cessata la materia del contendere, “senza pronunciare

Tuttavia, il requisito di autosufficienza deve essere osservato pure nel caso in cui siano
dedotti errores in procedendo.
E’ dunque preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del

sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la
fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima
valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed
all’interpretazione degli atti processuali (v., tra le più recenti, Cass. 17 gennaio 2012 n.
539). Specificamente, nel caso della deduzione del vizio per omessa pronuncia su una o
più domande avanzate in primo grado è necessaria, al fine dell’ammissibilità del ricorso per
cassazione, la specifica indicazione dei motivi sottoposti al giudice del gravame sui quali
egli non si sarebbe pronunciato, essendo in tal caso indispensabile la conoscenza puntuale
dei motivi di appello (Cass. del 17 agosto 2012 n. 14561; v. pure Cass. 2 dicembre 2005 n.
26234).
La ricorrente sostiene di avere riproposto in appello le pretese retributive non accolte in
primo grado dal Tribunale – che aveva emesso declaratoria di cessazione della materia del
contendere rigettando la richiesta di pagamento di somme ulteriori-, senza chiaramente
riferire se ciò abbia costituito oggetto di uno specifico motivo di impugnazione ed anzi
senza mai chiaramente denunciare nel ricorso per cassazione che sarebbe stato omesso
l’esame di un preciso motivo di gravame. Dal tenore del ricorso si evince che la parte ha
ritenuto sufficiente la trascrizione delle argomentazioni dalla stessa svolte in giudizio a
sostegno della tesi dell’esistenza di residue differenze retributive non coperte dal verbale di
conciliazione. La ricorrente allude al mancato esame di un “capo del ricorso in appello”,
utilizzando una locuzione atecnica cui non può attribuirsi, in difetto di specificazioni
ulteriori, un significato equivalente a quello di “motivo di impugnazione”. Questo infatti
non si identifica nella mera riproposizione in appello di argomenti svolti in primo grado,
ma riguarda la formulazione di censure specifiche mosse alla sentenza primo grado.

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i,”

motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando

Poiché il therna decidendum nel giudizio di secondo grado ritenersi delimitato dai motivi
o dirtunvz
di impugnazione, la mancata trascrizione di tali motivi Ira chiara enunciazione della loro
formulazione non consente di verificare se il giudice di appello — che non risulta avere

non abbia statuito al riguardo in mancanza di un preciso motivo di censura, la cui
indicazione è richiesta ex art. 342 e 434 cod., proc. civ. per l’individuazione della domanda
d’appello e per stabilire l’ambito entro il quale deve essere effettuato il riesame della
sentenza impugnata (Cass. 16 maggio 2006 n. 11372).
Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che trova la propria ragion
d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del
motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte – vale anche in
relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di
merito (Cass. 10 gennaio 2012 n. 86), in quanto l’esigenza di astensione del giudice di
legittimità dalla ricerca del testo completo degli atti processuali attinenti al vizio
denunciato risulta, “piuttosto, ispirata al principio secondo cui la responsabilità della
redazione dell’atto introduttivo del giudizio fa carico esclusivamente al ricorrente ed il
difetto di ottemperanza alla stessa non deve essere supplito dal giudice per evitare il rischio
di un soggettivismo interpretativo da parte dello stesso nell’individuazione di quali atti o
parti di essi siano rilevanti in relazione alla formulazione della censura” (v. sent. n. 86 dei
2012, cit.).
In conclusione, non è sufficiente — ai fini dell’osservanza del principio di autosufficienza
– la mera trascrizione, in forma di narrativa, della tesi difensiva sostenuta in giudizio, in
mancanza di una chiara enunciazione della sua riproposizione in termini di specifica
censura alla sentenza di primo grado e, dunque, in termini di formulazione di un preciso
motivo di gravame, tale da imporre al giudice di appello di pronunciare nuovamente sul
punto.
Il secondo, il terzo e il quarto motivo attengono alle conseguenze risarcitorie derivanti
dall’applicazione della tutela reale sul presupposto della accertata (dai giudici di merito)

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trattato la suddetta questione — sia incorso nel vizio di omessa pronuncia o, al contrario,

illegittimità del licenziamento e del conseguente suo annullamento, con ordine di reintegra
della ricorrente nel posto di lavoro.
Il secondo motivo è inammissibile per difetto di interesse (art. 100 cod. proc. civ.).

licenziamento, in quanto l’eventuale illegittimità di un licenziamento collettivo per
violazione dei criteri di scelta non potrebbe produrre altro effetto che quello
dell’operatività della cd. tutela reale di cui all’art. 18 legge n. 300/70, già riconosciuta ed
applicata dai giudici dei due gradi di giudizio.
Dispone l’art. 5 legge n. 223/91, al terzo comma, che “il recesso.. .è annullabile in caso
di violazione dei criteri di scelta previsti dal primo comma” del medesimo articolo e che al
recesso anzidetto di cui si stata dichiarata “l’invalidità si applica l’art. 18 I. 20 maggio 1970
n. 300 e successive modificazioni”. La L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3 ricollega,
dunque, la sanzione della annullabilità alla violazione dei criteri di scelta previsti dal
medesimo art. 5, comma I (cfr. Cass.n. 27101 del 2006). La ricorrente ha dunque già
conseguito l’effetto che le sarebbe potuto derivare dall’eventuale accoglimento della
censura svolta.
In materia di procedimento civile, l’interesse ad agire ex art. 100 cod. proc. civ. va
considerato con riguardo alla domanda proposta in giudizio e nell’ambito dello stesso,
ovvero con riferimento al vantaggio che l’istante si è ripromesso nel proporre la domanda, e
non anche in relazione a qualsiasi altro vantaggio prospettato dal ricorrente (Cass. n. 18273
del 2006, n. 8236 del 2003).
I restanti motivi hanno ad oggetto la pronuncia con la quale la Corte territoriale ha
ritenuto che il rifiuto della riassunzione, pur non valendo come implicita rinuncia della
prestatrice ad essere reintegrata nel posto di lavoro, potesse assumere rilevanza in senso
riduttivo della misura del risarcimento del danno.
Tale motivazione è logicamente corretta e conforme a diritto, posto che il risarcimento del
danno è istituto ontologicamente distinto dalla reintegrazione nel posto di lavoro, pur
potendo concorrere con essa, ed è suscettibile, a determinate condizioni, di subire una

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Nessun vantaggio potrebbe trarre l’attuale ricorrente da una diversa qualificazione del

riduzione, nell’arco compreso tra il minimo e il massimo legale di cui al quarto comma
dell’art. 18 legge n. 300/70 (nel testo anteriore alle modifiche recentemente apportate dalla
legge n. 92 n. 2012, non applicabile alla fattispecie ratione temporis).

costituisce una specificazione del generale principio della responsabilità contrattuale. Ne
costituiscono puntuale applicazione le decisioni che richiedono, quale indefettibile
presupposto dell’obbligo risarcitorio del datore di lavoro, l’imputabilità a costui
dell’inadempimento secondo il precetto generale dell’art. 1218 c.c., fatta eccezione per la
misura minima di cinque mensilità di retribuzione, la quale è assimilabile ad una sorta di
penale avente la sua radice nel rischio di un’impresa e può assumere la funzione di un
assegno di tipo, in senso lato, assistenziale nel caso di assenza di responsabilità di tipo
soggettivo in capo al datare di lavoro (cfr. Cass., 21 settembre 1998, n. 9464; 2 maggio
2000, n. 5499; 11 maggio 2000, n. 6041, 23 giugno 2001, n. 8621; 3 maggio 2004 n. 8364)
Quanto invece al danno eccedente le cinque mensilità dovute per legge, si presume iuris
tantum che questo corrisponda a tutte le retribuzioni non percepite in quel periodo (per
tutte vedi Sez. un. 29 gennaio 1985 n. 2761, Sez. lav. 23 novembre 1992 n. 12498), salvo
che il datore non provi l’ aliunde perceptum o la possibilità del lavoratore di evitare il
danno usando la normale diligenza (Cass. n. 3904 16 marzo 2002 n. 3904 e 2 settembre
2003 n. 12798; S.U. 29 aprile 1985 n. 2762, Cass. 23 novembre 1992 n. 12498, 19
febbraio 1992 n. 2073, Cass. 28 luglio 1994 n.7048).
11 principio della imputabilità del danno al datore di lavoro inadempiente richiede la
persistenza del nesso di causalità fra danno e licenziamento e costituisce corretta
applicazione di tale principio il rilievo dato dai giudici di merito all’offerta di riassunzione,
quale condotta idonea a produrre l’interruzione di tale correlazione causale.
Non è dunque pertinente la difesa della ricorrente che muove dall’erroneo assunto che il
medesimo fatto sarebbe stato valutato in modo contraddittorio nella sentenza. Se è vero
che l’offerta della società avente ad oggetto la riassunzione non valeva ad escludere gli

effetti della illegittimità del licenziamento e l’operatività della tutela reale di cui all’art. 18

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La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo affermato che la norma anzidetta

1. n. 300/70, non potendo una nuova assunzione equivalere alla ricostituzione ex tune del
rapporto di lavoro, il medesimo comportamento datoriale, successivo al verificarsi della
illegittima estromissione della dipendente, ben poteva rilevare ai fini dell’applicazione del

mensilità), valendo l’offerta di riassunzione alle dipendenze della società ad escludere la
persistenza del nesso tra inadempimento derivante da licenziamento illegittimo ed effetti
pregiudizievoli da questo indotti.
La ricorrente censura la sentenza pure nella parte in cui questa non ha tenuto conto che
l’offerta di riassunzione era avvenuta in corso di causa, a distanza di nove mesi dal
licenziamento, di talché non era congrua la parametrazione del danno a sole cinque
mensilità della retribuzione globale di fatto.
Anche per tale censura valgono le considerazioni sopra svolte circa il difetto di
autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione, non essendo stato nemmeno
prospettato che sarebbe stato omesso l’esame di un preciso motivo di gravame avverso la
sentenza di primo grado che aveva circoscritto il risarcimento alla misura minima di cinque
mensilità.
Il ricorso va dunque respinto.
Quanto all’onere delle spese a carico della parte soccombente ex art. 91 cod. proc. civ.,
deve farsi applicazione del nuovo sistema di liquidazione dei compensi agli avvocati di cui
al D.M. 20 luglio 2012, n. 140, Regolamento recante la determinazione dei parametri per la
liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni vigilate
dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’art. 9 del d.l. 24 gennaio 2012 n. 1, conv., con
modificazioni, in I. 24 marzo 2012 n. 27.
L’art. 41 di tale Decreto n. 140/2012, aprendo il Capo VII relativo alla disciplina
transitoria, stabilisce che le disposizioni regolamentari introdotte si applicano alle
liquidazioni successive all’ entrata in vigore del Decreto stesso, avvenuta il 23 agosto
2012.

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principio di non imputabilità del danno (ulteriore rispetto al minimo legale di cinque

Avuto riguardo allo scaglione di riferimento della causa; considerati i parametri generali
indicati nell’art. 4 del D.M. e delle tre fasi previste per il giudizio di cassazione (fase di
studio, fase introduttiva e fase decisoria) nella allegata Tabella A, i compensi sono liquidati

oltre accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, che liquida in euro 3.000,00 per compensi ed euro 50,00 per esborsi, oltre
accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2012
Il Consigliere est.

Il Presidente

nella misura omnicomprensiva di curo 3.000,00 per compensi ed euro 50,00 per esborsi,

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