Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 818 del 13/01/2017

Cassazione civile, sez. VI, 13/01/2017, (ud. 06/12/2016, dep.13/01/2017),  n. 818

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29276-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 9,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO D’ACUNTI che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CAMILLO MEZZACAPO giusta procura in

calce al ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 509/26/2015 del 19/03/2015 della Commissione

Tributaria Regionale di TORINO, depositata il 11/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MOCCI MAURO;

udito l’Avvocato del controricorrente, D’ACUNTI Stefano che si

riporta al controricorso e deposita cartolina A/R;

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., delibera di procedere con motivazione sintetica ed osserva quanto segue.

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, che aveva rigettato il suo appello contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Torino. Quest’ultima, a sua volta, aveva accolto l’impugnazione di C.G., contro l’avviso di accertamento in rettifica dell’IRPEF per omessa dichiarazione di una plusvalenza immobiliare, conseguita a mezzo di un’operazione elusiva.

Nella decisione impugnata, la CTR ha sostenuto – sulla scorta del principio che i beni conseguiti dai singoli coniugi per successione ereditaria non costituiscono oggetto della comunione patrimoniale e continuano ad essere beni personali – l’insussistenza di un’ipotesi di abuso del diritto, anche per l’assenza di condotte sospette da parte del contribuente e quindi di indizi gravi, precisi e concordanti, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 37.

Il ricorso è affidato ad un unico motivo, col quale si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, in relazione al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. b) nonchè degli artt. 2727 e 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Sostiene la ricorrente di aver tempestivamente indicato una serie di indizi idonei a consentire di ritenere la sussistenza di un accordo fraudolento fra i coniugi, volto a realizzare un’interposizione di persona (identità del valore attribuito al bene, lasso temporale fra la donazione e la successiva vendita), mentre il contribuente non si sarebbe fatto carico di dare giustificazioni sul suo comportamento. Infatti, tali elementi avrebbero sorretto la conclusione, in forza della quale i coniugi si erano accordati allo scopo di far apparire la moglie quale parte sostanziale dell’atto di vendita stipulato con i terzi, realizzando così un significativo risparmio d’imposta.

L’intimato si è costituito con controricorso.

La censura è infondata.

In tema di accertamento rettificativo dei redditi, la disciplina antielusiva dell’interposizione, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale (Sez. 5^, n. 21952 del 28/10/2015).

Nella specie, l’uso improprio sarebbe riconducibile al medesimo valore del bene oggetto dei successivi contratti ed al lasso temporale.

Tuttavia la cm ha congruamente spiegato per quali motivi non ritenesse applicabile la presunzione, in mancanza di seri indizi riguardanti la strumentalità dell’operazione ad evitare il carico fiscale sulla plusvalenza. Si tratta fra l’altro di un giudizio di fatto, che si sottrae al sindacato di legittimità di questa Corte.

Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, nella misura indicata in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in 4.000,00 oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2017

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