Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8179 del 27/04/2020

Cassazione civile sez. trib., 27/04/2020, (ud. 18/12/2019, dep. 27/04/2020), n.8179

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8424/2012 R.G. proposto da:

Italstile s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’avv. Romano Cerquetti, con domicilio

eletto presso lo studio del primo, sito in Roma, Via Belli, 36.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 89/50/11, depositata il 27 giugno 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 dicembre

2019 dal Consigliere Dott. Catallozzi Paolo;

Fatto

RILEVATO

CHE:

– la Italstile s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 27 giugno 2011, che, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, ha dichiarato la legittimità dell’avviso di accertamento con cui era stata rettificata la dichiarazione resa per l’anno 2003;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che con tale atto impositivo era stata contestata l’indebita detrazione dell’I.v.a. relativa ai costi dell’attività di locazione di autoveicoli di prestigio esercitata esclusivamente nei confronti del socio e amministratore, in quanto antieconomica e avente finalità estranea all’esercizio di impresa, e l’indebita deduzione di costi relativi a tale attività;

– il giudice di appello ha dato atto che la Commissione provinciale aveva accolto parzialmente il ricorso della contribuente, annullando la ripresa relativa all’I.v.a. e rideterminando il reddito di impresa nella minor somma di Euro 42.179,00;

– ha, quindi, accolto il gravame erariale evidenziando che la situazione in esame non era riconducibile alla fattispecie dell’autoconsumo, in quanto avente ad oggetto prestazioni di servizio e non cessione di beni, e che non era stata offerta dimostrazione del fatto che l’attività esercitata rientrasse nell’attività di impresa e fosse remunerata con corrispettivi normali;

– per tali ragioni ha, infine, disatteso l’appello incidentale della contribuente con cui chiedeva la correzione di errori di calcolo contenuti nel dispositivo;

– il ricorso è affidato a tre motivi;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate;

– il pubblico ministero conclude chiedendo il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– occorre preliminarmente osservare che la sopravvenuta cancellazione dal registro delle imprese della società ricorrente, successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, debitamente comunicata dal suo difensore, non è causa di interruzione del processo e, dunque, non assume rilevanza preclusiva dell’esame del ricorso (cfr. Cass. 2 febbraio 2018, n. 2625; Cass. 13 febbraio 2014, n. 3323);

– ciò posto, con il terzo motivo di ricorso, esaminabile prioritariamente per motivi di ordine logico giuridico, la contribuente denuncia la contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nella parte in cui, nell’indicare i beni oggetto dell’attività di locazione in esame, ha fatto riferimento ad auto d’epoca, evidenziando l’estraneità di tale categoria di beni dall’attività esercitata, come si evince anche dal processo verbale di constatazione elevato nei suoi confronti;

– il motivo è inammissibile, in quanto, da un lato si risolve in un’inammissibile censura alla valutazione delle risultanze probatorie operata dal giudice di appello, la quale non può trovare ingresso in questa sede in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale e non può riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa (cfr. Cass. 28 novembre 2014, n. 25332; Cass., ord., 22 settembre 2014, n. 19959);

– dall’altro lato, la doglianza investe una circostanza di fatto priva del necessario carattere di decisività, in quanto, laddove fosse stata considerata dal giudice nel senso prospettato dalla parte, non avrebbe inficiato, secondo un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento è fondato e, dunque, non avrebbe condotto ad una diversa valutazione in ordine alla contestata ripresa fiscale (cfr., in tema di decisività del punto della controversia dedotto con censura di vizio motivazionale, Cass., ord., 27 agosto 2018, n. 21223; Cass. 20 agosto 2015, n. 17037);

– infatti, ciò che assume rilevanza, ai fini della decisione, non è tanto la circostanza che il veicolo concesso in locazione al socio e amministratore fosse d’epoca, quanto il fatto che si trattasse di un mezzo di trasporto ad uso privato;

– con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 4, per aver la sentenza impugnata escluso che l’attività in oggetto rientrasse nell’ambito dell’esercizio di un’impresa benchè il godimento dei beni da parte del socio avvenisse dietro pagamento di un congruo corrispettivo;

– il motivo è inammissibile, in quanto poggia sull’assunto fattuale della congruità del corrispettivo che la Commissione regionale ha escluso, ritenendo che non vi fosse evidenza del fatto che la sua misura non fosse inferiore ai valori normale;

– orbene, il vizio di violazione o falsa applicazione di legge non può che essere formulato se non assumendo l’accertamento di fatto, così come operato dal giudice del merito, in guisa di termine obbligato, indefettibile e non modificabile del sillogismo tipico del paradigma dell’operazione giuridica di sussunzione, là dove, diversamente (ossia ponendo in discussione detto accertamento), si verrebbe a trasmodare nella revisione della quaestio facti e, dunque, ad esercitarsi poteri di cognizione esclusivamente riservati al giudice del merito (cfr. Cass., ord., 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715);

– sotto altro aspetto, il motivo si risolve, in parte, nella censura della valutazione degli elementi probatori operata dalla Commissione regionale, nella parte in cui quest’ultimo ha escluso che il valore del corrispettivo fosse coerenti con i valori normale;

– una siffatta censura non può trovare ingresso in questa sede in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale e non può riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa (cfr. Cass. 28 novembre 2014, n. 25332; Cass., ord., 22 settembre 2014, n. 19959);

– nè la prospettata violazione di legge può essere esaminata sotto il profilo dell’errata sussunzione, avuto riguardo all’assenza di elementi idonei ad evidenziare che i fatti accertati in giudizio siano stati erroneamente ricondotti alla fattispecie giuridica astratta di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 5, lett. a), individuata dal giudice di merito come idonea a dettarne la disciplina;

– con il secondo motivo di ricorso, la contribuente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per aver la sentenza impugnata posto a suo carico l’onere di dimostrare la normalità di corrispettivi, sollevando l’Ufficio dalla prova, da assolvere sulla base di elementi probatori qualificati, che il ricavo non fosse congruo rispetto all’attività esercitata;

– il motivo è inammissibile, in quanto muove da presupposto che il giudice di appello abbia onerato la contribuente della prova del fatto che i corrispettivi versati alla società, da parte del socio amministratore, a fronte della concessione in godimento dei veicoli presentassero un valore non inferiore a quelli normali;

– l’esame della sentenza impugnata non consente di rilevare che la Commissione regionale abbia posto un siffatto onere a carico della società, essendosi limitata ad affermare che “non risulta dimostrato che la locazione di auto d’epoca da parte della società al socio e amministratore della stessa… fosse remunerata con corrispettivi non inferiori a quelli normali”;

– infatti, dall’esame di tale affermazione, condotto sia alla luce del tenore letterale della stessa, sia del significato complessivo del passaggio motivazionale, può evincersi unicamente che il giudice abbia ritenuto che le risultanze probatorie acquisite deponevano nel senso evidenziavano della inferiorità dei valori dei corrispettivi rispetto a quelli normali;

– pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;

– le spese del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione dell’intero giudizio, liquidate in Euro 4.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 27 aprile 2020

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