Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8177 del 22/04/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 8177 Anno 2016
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: DE GREGORIO FEDERICO

SENTENZA
sul ricorso 16850-2010 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo
studio dell’avvocato STUDIO TRIFIRO’ & PARTNERS,
rappresentata e difesa dall’avvocato TRIFIRO’
2015

SALVATORE, giusta delega in atti;
– ricorrente –

4225

contro

BITTAU

SEBASTIANA

c. f.

bttsst70r68g2300,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BELSIANA 71,

Data pubblicazione: 22/04/2016

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DELL’ERBA,
rappresentata e difesa dall’avvocato ORONZO DE DONNO,
giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 495/2009 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/11/2015 dal Consigliere Dott. FEDERICO
DE GREGORIO;
udito l’Avvocato GIUA LORENZO per delega verbale
TRIFIRO’ SALVATORE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RICCARDO FUZIO, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

di MILANO, depositata il 17/06/2009 r.g.n. 1909/2007;

ud. 5-11-15 aula B. R.G. n. 16850/10

SVOLGIMENTO del PROCESSO
Con sentenza del 10-17 giugno 2009 la Corte di Appello di MILANO, nel rigettare il gravame
proposto da POSTE ITALIANE S.p.a., confermava l’impugnata pronuncia, emessa dal giudice del
lavoro di Varese, pubblicata il 15 novembre 2006, che aveva accolto la domanda dell’attrice
BITTAU Sebastiana, volta ad ottenere nei confronti della convenuta Poste Italiane S.p.a. la
declaratoria di nullità, parziale, dei contratti di lavoro a tempo determinato, il primo dei quali
stipulato con decorrenza dal 26 giugno al 30 ottobre 1999 (secondo contratto concluso per il
periodo 29 gennaio / 29 febbraio 2000, terzo contratto due giugno – 30 settembre 2000,
quarto contratto primo febbraio 31 maggio 2001, quinto contratto primo ottobre 2001 – 30
condanna al risarcimento del relativo danno patrimoniale, a far luogo dalla costituzione in
mora, avvenuta il 18 marzo 2005, detratto quanto percepito in virtù di altri rapporti di lavoro.
POSTE ITALIANE ha proposto quindi ricorso per cassazione avverso la pronuncia della Corte
distrettuale, affidato a otto motivi.
BITTAU Sebastiana ha resistito con controricorso, instando per il rigetto dell’impugnazione
avversaria, siccome inammissibile e/o infondata.
Soltanto POSTE ITALIANE S.p.a. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c., comparendo altresì
all’udienza pubblica, tenutasi il cinque novembre 2015, alla quale non è invece comparsa la
controricorrente, nonostante rituale e tempestivo avviso comunicatole in data otto ottobre
2015.

MOTIVI della DECISIONE
Va premesso che la BITTAU in data 5 febbraio 2009 risulta aver rassegnato formali dimissioni.
Inoltre, la predetta, dopo la scadenza dell’ultimo contratto, ha lavorato alle dipendenze di altri
datori di lavoro (circostanza questa peraltro non meglio indicata, sebbene ammessa da parte
attrice).
Si deve, inoltre, preliminarmente rilevare che risalendo la sentenza qui impugnata al 10
giugno, con pubblicazione eseguita il successivo 17 giugno 2009, opera nella specie il regime
transitorio di cui all’art. 58, co. 5, L. 18 giugno 2009, n. 69, secondo cui: «Le disposizioni di cui

all’art. 47 si applicano alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso
per cassazione è stato pubblicato ovvero, nei casi in cui non sia prevista la pubblicazione,
depositato successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge (avvenuta il 4
luglio 2009)». Ne deriva che non si applica l’abrogazione prevista dall’art. 47, co. 1, lett. d),
della cit. L. n. 69 relativamente all’art. 366-bis c.p.c. in ordine alla formulazione dei motivi,
norma a sua volta inserita dall’art. 6, D. Ig.vo 2 febbraio 2006, n. 40 con riferimento ai ricorsi
per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere
dalla data di entrata in vigore del decreto medesimo, avvenuta il 2 marzo 2006. Ed in forza
della stessa disposizione transitoria, dettata dal suddetto art. 58, non opera nella specie, per
contro, l’art. 360-bis dello stesso codice di rito in tema d’inammissibilità del ricorso, siccome
introdotto dall’art. 47, co. 1, lett. a), della citata L n. 69.
Orbene, per quanto concerne la lettera di dimissioni datata 5 febbraio 2009, la società
ricorrente ha premesso, prima ancora di enunciare i suoi motivi d’impugnazione, che essendo

gennaio 2002), limitatamente all’apposizione di detto termine finale, con conseguente

ud. 5-11-15 aula B. R.G. n. 16850110

ormai risolto il rapporto, stante il recesso della BITTAU, è cessata la materia del contendere
con riguardo alla riammissione nel posto di lavoro, mentre permane l’interesse ad agire di
POSTE ITALIANE in relazione all’accertamento della legittimità dei contratti a termine di cui è
lite, con conseguente insussistenza del diritto della lavoratrice al risarcimento del danno pari
alle retribuzioni maturate dalla notifica del ricorso alla d’ammissione in servizio.
Tale premessa, ad ogni modo, appare irrilevante ove correlata ai motivi di ricorso addotti dalla
società a sostegno dell’impugnazione, trattandosi di circostanza comunque successiva ai
contratti a termine di cui è causa, nonché posteriore al ricorso introduttivo del giudizio, alla

quando le anzidette dimissioni siano state dedotte nel corso del giudizio di secondo grado.
Pertanto, non si ravvisano gli estremi di legge per emettere declaratoria di cessazione della
materia del contendere, nei sensi prospettati da parte ricorrente, in quanto le dimissioni de
quibus integrano un accadimento successivo, che opera direttamente sulla ricostituzione,
almeno di fatto, del rapporto di lavoro, a tempo indeterminato, tra le parti, ancorché in forza di
un titolo provvisoriamente esecutivo.
Sussiste, dunque, indubbiamente il perdurante interesse della BITTAU ad ottenere la conferma
della pronuncia, che aveva accolto le sue domande, nonché l’attuale interesse della stessa
ricorrente a contrastare integralmente la pronuncia di merito qui impugnata.
Superata, dunque, l’inconferente premessa di cui si è detto, va disatteso il primo motivo
dedotto dalla ricorrente, circa la supposta violazione e falsa applicazione dell’art. 1372, comma
I, c.c., in relazione all’art. 360, m. I, n. 3, c.p.c., secondo cui la Corte milanese avrebbe
disatteso l’eccezione di scioglimento del rapporto per effetto del mutuo consenso, espresso
dalle parti per facta condudentia. Connesso al primo motivo è il secondo, formulato ai sensi
dell’art. 360 co. I n. 5 dello stesso codice di rito, circa rivi asserita omessa motivazione (o
considerazione) su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio (instaurazione di un altro
rapporto di lavoro con terzi subito dopo la cessazione dell’ultimo contratto a termine con Poste
Italiane, conoscenza da sempre, della Bittau, della possibilità d’impugnare giudizialmente il
termine apposto ai rispettivi contratti, nessuna lamentela da parte dell’attrice in ordine alla
pretesa illegittimità del contratti a tempo determinato, con accettazione di ciascuno di essi

sentenza di primo grado ed al medesimo atto di appello, per cui non risulta nemmeno se e

senza offrire la sua prestazione dopo la scadenza del termine).
Ed invero, secondo l’ormai consolidato insegnamento di questa Corte (vedi, in particolare,
Cass. 17 dicembre 2004 n. 23554), nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della
sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto
dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto), per la
configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia
accertata — sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a
termine, nonché alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto
dalle parti e di eventuali circostanze significative — una chiara e certa comune volontà delle
parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del

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I

ud. 5-11-15 aula B. R.G. n. 16850/1Q

significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito,
le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o
errori di diritto.
Nella specie la Corte di merito, con congrua motivazione, ha ritenuto che la mera inerzia della
lavoratrice dopo la scadenza dei vari contratti a termine non fosse sufficiente, stante la loro
durata, e in mancanza di ulteriori significativi elementi di valutazione, per poter ritenere la
sussistenza della risoluzione del rapporto per mutuo consenso, avuto altresì riguardo
all’imprescrittibilità dell’azione di nullità (ancorché parziale) esperita dalla BITTAU, per giunta

di consolidata giurisprudenza nella specifica materia.
Inoltre, chiaramente la Corte milanese ha dovuto tener conto dei successivi rapporti di lavoro
intrattenuti dalla BITTAU, visto che la pronuncia ivi appellata, pur avendo accolto la domanda
dell’attrice, con conseguente condanna al risarcimento del danno, peraltro dalla costituzione in
mora, avvenuta il 18 marzo 2005, vi aveva comunque detratto quanto percepito dalla stessa
attrice in virtù di altri rapporti di lavoro, evidentemente successivi alla stessa costituzione in
mora, ancorché senza un’espressa motivazione sul punto, però indubbiamente desumibile dal
complesso della decisione adottata, nei sensi peraltro ammessi proprio dalla succitata
giurisprudenza.
Le conclusioni raggiunte dalla Corte territoriale, dunque, in quanto prive di vizi logici o errori di
diritto, ben resistono alle censure mosse in ricorso da POSTE ITALIANE (cfr., inoltre, Cass. lav.
n. 21310 del 09/10/2014, secondo cui ai fini della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo
consenso, dopo la scadenza del termine illegittimamente apposto, non rileva il semplice
reperimento di altra occupazione, che, rispondendo ad esigenze di sostentamento quotidiano,
non indica la volontà del lavoratore di rinunciare ai propri diritti verso il precedente datore di
lavoro.
V., altresì, Cass. lav. n. 1780 del 28/01/2014, secondo cui affinché possa configurarsi una
risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del
lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del
comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa

nell’ambito della prescrizione dei crediti ad essa connessi, tenuto conto inoltre della mancanza

comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo,
essendo il solo decorso del tempo o la semplice inerzia del lavoratore, successiva alla scadenza
del termine, insufficienti a ritenere sussistente la risoluzione per mutuo consenso, costituente
pur sempre una manifestazione negoziale. Conformi id. n. 5887 e n. 16932 del 2011. Parimenti
Casa. lav. n. 13535 – 01/07/2015. V. altresì ancor più recentemente in motivazione Cass. lav.
n. 16339 del 19/03 – 04/08/2015, che nel cassare, con rinvio, sul punto l’impugnata di merito,
richiamava, specificamente, i precedenti in base ai quali questa Corte aveva più volte
affermato che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico
rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al
contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del
3

j.\

ud. 5-11-15 aula B. R.G. n. 16850110

rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo
trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento
tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà
delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo”, sicché la mera
inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, “è di per sé
insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso”, mentre
“grava sul datore di lavoro”, che eccepisca tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze
dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente

1372 e 1321 c.c., veniva, quindi, ribadito ancora una volta, così confermandosi l’indirizzo
prevalente ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei
comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione
consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo
sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata,
di operatività del rapporto. Al riguardo, infatti, non poteva condividersi il diverso indirizzo, che,
valorizzando esclusivamente il “piano oggettivo” nel quadro di una presupposta valutazione
sociale “tipica”, prescinde del tutto dal presupposto che la risoluzione per mutuo consenso
tacito costituisce pur sempre una manifestazione negoziale, anche se tacita, perciò richiamato
pure da ultimo Cass. n. 1780/2014. Nel caso esaminato dalla suddetta pronuncia n. 16339/15
la Corte di merito aveva disatteso il ribadito principio, avendo fondato la propria decisione
esclusivamente sul mero trascorrere del tempo di “non attuazione del rapporto”, peraltro
erroneamente calcolato senza considerare la richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione,
e sulla semplice inerzia, seppure prolungata, dei lavoratori, ma senza nemmeno valutare altre
circostanze concrete).
Con i motivi terzo, quarto, quinto e sesto la ricorrente, poi, ha censurato, per violazione di
legge e di contrattazione collettiva (artt. I e 2 L. n. 230/62, 23 L. n. 56/87, 8 c.c.n.L 26 11

1994 e successivi accordi sindacali 25 09 97, 18 01 98, 27 04 98, 2 7 98 e 18 01 01 in

connessione con gli artt. 1362 e ss. c.c.), nonché vizio di motivazione, ex art. 360, co. I, nn. e
5 la sentenza impugnata, nella parte in cui questa aveva ritenuto la nullità del termine apposto
al contratto intercorso tra le parti per “esigenze eccezionali” ex art. 8 C.C.N.L. 1994, come
integrato dall’accordo 25-9-97 e succ. modif..
I motivi, che possono trattarsi congiuntamente per la connessione che li connota, sono privi di
fondamento.
Infatti, il giudice di merito, tra l’altro, ha attribuito rilievo decisivo, in particolare, alla
considerazione che fino al 30/4/98 in forza degli accordi sindacali in data 25-09-1997, 16-011998 e 27-04-1998 Poste Italiane S.p.a. poteva usufruire delle possibilità offerte dall’art. 23
della legge 23 febbraio 1987 n. 56. La Corte reputava, quindi, l’illegittimità del contratto di
lavoro a tempo determinato oggetto del contendere, in quanto stipulato successivamente alla

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fine ad ogni rapporto di lavoro”. Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli artt.

ud. 5-11-15 aula 8. RG. n. 16850/10

scadenza del termine di validità delle pattuizioni contrattuali, specificamente previsti dai
summenzionati accordi sindacali attuativi.
Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte
(con riferimento al sistema previgente al c.c.n.l. 2001 ed al D.Lgs. n. 368/2001) – è sufficiente
a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de
quo (stipulato “per esigenze eccezionali” in data successiva al 30-04-1998).

Al riguardo, sulla scia di Cass. S. U. civ. 2-3-2006 n. 4588, è stato, invero, precisato che
“l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire

dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità
del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti
(con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a
termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla
necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o
di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad
assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n.
9245, 7-3-2005 n. 4862, 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in
bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo
questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge,
ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel
sistema da questa delineato” (v., fra le altre, Casa. 4-8-2008 n. 21062, nonché Cass. lav. n.
18378 del 23/08/2006, secondo cui l’art. 23 della legge 28 febbraio 1987 n. 56 ha esteso
l’ambito dei contratti a termine “autorizzati”, consentendo anche alla contrattazione collettiva
-nazionale o locale, con esclusione di quella aziendale- di individuare nuove ipotesi di legittima
apposizione di un termine al contratto di lavoro; ne risulta, quindi, una sorta di “delega in
bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo
questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle già previste dalla
legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed

nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende

inserendosi nel sistema da questa delineato. Ne deriva che l’applicazione di questa
disposizione non si sottrae alla sanzione della conversione -del rapporto di lavoro a termine- in
rapporto a tempo indeterminato e non deroga al principio dell’onere della prova a carico del
datore di lavoro. Nella specie, la S.C. – dopo aver proceduto alla correzione della motivazione
della sentenza impugnata, laddove questa aveva erroneamente ritenuto la necessità che, nel
sistema delineato dalla legge, la norma contrattuale dovesse avere, di per sé, un’efficacia
temporale limitata – l’ha confermata nella sostanza per l’interpretazione dei termini previsti
dagli accordi attuativi, atteso che il giudice di merito, con “ragione” motivazionale autonoma e
sufficiente – preso atto che, in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, l’accordo
sindacale 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, aveva _I\
5

ud. 5-11-15 aula B. R.G. n. 16850/10

previsto la possibilità di contratti a termine sino al 31 gennaio 1998, con successiva proroga al
30 aprile 1998, in ragione della trasformazione giuridica dell’ente e della conseguente
ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione aveva escluso la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, con
relativa trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della
legge 18 aprile 1962, n. 230. Ciò in quanto le parti sindacali avevano valutato l’eccezionalità
della situazione nel suo concreto sviluppo ed avevano stipulato i cosiddetti accordi attuativi.
Conforme Cass. n. 7745 del 2005).

parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo), la sua inosservanza
determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n.
18383, 14-04-2005 n. 7745 cit., 14-2-2004 n. 2866: l’attribuzione alla contrattazione
collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, di definire nuovi casi di assunzione a termine
rispetto a quelli previsti dalla legge n. 230 del 1962, se pure si inserisce nel sistema delineato
dalla disciplina generale dettata da quest’ultima normativa, nel senso che restano applicabili le
regole da questa prescritte, non comporta, peraltro, la necessità di fissare contrattualmente
limiti temporali alla facoltà di assumere lavoratori a tempo determinato, fermo restando che,
ove un limite sia stato invece previsto, la sua mancata osservanza determina l’illegittimità del
termine).
In particolare, come questa Corte ha costantemente affermato e come va ancora qui ribadito,
“in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25
settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo
accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di
riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica
dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti
occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve
escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza
del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione
degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v.,

In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle

fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608, 28-11-2008 n. 28450, 4-8-2008 n. 21062, 13.1.15 n.
339, nonché n. 22287 del 23 settembre / 30 ottobre 2015; v. parimenti Casa. lav. n. 11724
del 4/04 – 15/05/2013, che in caso analogo a quello in esame disattendeva tra l’altro le
censure di POSTE ITALIANE, con riferimento, tra l’altro, a pretesa nonché ad omessa ed
Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c.,
n. 5 sempre sulla natura ricognitiva dei c.d. “accordini” e sulla insufficiente motivazione al
riguardo).

Vanno, dunque, respinti i primi sei motivi del ricorso.
Con il settimo e l’ottavo mezzo d’impugnazione, la società, riguardo alle conseguenze
economiche della nullità del termine, lamenta la violazione dei principi e delle norme di legge
6

I

ud. 5-11-15 aula 8. R.G. n. 16850/10

sulla messa in mora e sulla corrispettività delle prestazioni, negando che l’atto di messa in
mora contenesse un’effettiva offerta della prestazione di lavoro (violazione e falsa applicazione
degli artt 1206, 1207, 1217, 1219, 2094, e 2099 c.c. – art. 360 co. I n. 3 c.p.c.; contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio – art. 360 c. V. n. 5 c.p.c., in
ordine alla messa in mora, con riferimento alla lettera ex art. 410 c.p.c., anche se la stessa non
conteneva una valida offerta della prestazione lavorativa, donde la denunciata
contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata).
Orbene, in proposito va ancora ricordato che con la sentenza di primo grado, n. 250 del 2006,

tempo determinato, stipulato con decorrenza dal 26 giugno 1999, la società convenuta veniva
condannata al ripristino del rapporto, nonché al pagamento (ma a titolo di risarcimento del
danno) delle retribuzioni non corrisposte dalla costituzione in mora del 18 marzo 2005,
detratto quanto percepito in virtù di altri rapporti di lavoro.
Le suddette censure appaiono, tuttavia, del tutto generiche ed astratte, nonché prive di
autosufficienza.
Posto, infatti, che l’impugnata sentenza ha condannato la società al risarcimento del danno,
commisurato alla retribuzione maturata dalla messa in mora, detratto l’aliunde perceptum,

la

ricorrente censura, invece, tale decisione in modo assolutamente generico, in particolare senza
riportare il testo dell’atto, che, secondo il suo assunto, non avrebbe integrato l’offerta della
prestazione e la costituzione in mora.
Detti motivi sono, pertanto, da ritenersi inammissibili, anche perché con il suo ricorso la
società POSTE ITALIANE ha comunque del tutto omesso di precisare, contrariamente alle
prescrizioni imposte dall’art. 366 del codice di rito a pena d’inammissibilità, se ed quali termini
la sentenza di primo grado appellata fosse stata impugnata con specifico riferimento (ex art.
434 c.p.c.) anche in ordine alla pronuncia di condanna per il risarcimento del danno, dalla
ritenuta costituzione in mora (18-03-2005).
Così risultati inammissibili gli ultimi due motivi, riguardanti le conseguenze economiche della
nullità del termine, neppure può incidere in qualche modo nel presente giudizio lo

jus

superveniens, rappresentato dall’art. 32 della legge 4 novembre 2010 n. 183.

dichiarata la nullità del termine finale (30-10-1999), apposto al primo dei contestati contratti a

Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di principio, costituisce
condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che
abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il
fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura
nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli
specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8-5-2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070). In tale
contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema
coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile
secondo la disciplina sua propria (v., fra le altre, Cass. 4-1-2011 n. 80, nonché 31-01-2012 n.
1411). Per contro, tale condizione non sussiste nella fattispecie.
7

J\

ud. 5-11-15 aula B. R.G. n. 16850/1Q

Dall’inammissibilità delle censure, riguardanti le conseguenze economiche della nullità del
termine finale di cui si discute, discende, pertanto, che neppure può incidere in qualche modo
nel presente giudizio il suddetto ius superveniens
Il ricorso va dunque respinto.
Le spese del presente giudizio di cassazione — liquidate nella misura indicata in dispositivo —
seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte RIGETTA il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle relative

esborsi e nella misura di euro tremilacinquecento/00 per onorari, oltre
accessori come per legge.
Così deciso in Roma il cinque novembre 2015

IL PRESIDENTE

spese, in favore della controricorrente, che liquida in euro cento/00 per

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