Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8171 del 02/04/2010
Cassazione civile sez. I, 02/04/2010, (ud. 15/01/2010, dep. 02/04/2010), n.8171
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ADAMO Mario – Presidente –
Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –
Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 28968/2007 proposto da:
D.G.P. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA LICIA 44, presso l’avvocato ADAMO
Alessandro, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati
CIANFANELLI DEBORAH, DEFILIPPI CLAUDIO, giusta procura in calce al
ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,
domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositato il
13/09/2007; n. 483/06 R.G.V.G.;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del
15/01/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO DIDONE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con il decreto impugnato la Corte di appello di Ancona ha rigettato la domanda di equa riparazione L. n. 69 del 2001, ex art. 2, proposta da D.G.P. in relazione alla dedotta irragionevole durata di un procedimento di insinuazione al passivo del fallimento della Coop. Nuove Costruzioni svoltosi dinanzi al Tribunale di Parma.
Ha osservato la Corte di appello che – diversamente da quanto esposto dal ricorrente, il quale aveva indicato la data del 6.5.2001 – il ricorso per insinuazione passiva risultava depositato il 21 giugno 2004 e l’ammissione del credito – sull’accordo delle parti – era avvenuta il 19.12.2006, talchè non risultava violato il diritto al termine ragionevole del processo.
Contro il predetto decreto il D.G. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo.
Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Osserva la Corte che il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c..
Invero, “il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. E’, pertanto, inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge” (Sez. 3^, Ordinanza n. 19769 del 17/07/2008).
Per contro, l’unico motivo di ricorso si conclude con il seguente quesito: “dica codesta ecc.ma Corte se ai sensi del combinato disposto dell’art. 6, par. 1 CEDU e della Legge Pinto n. 89 del 2001, art. 2, il Giudice nazionale nell’accertare la sussistenza della violazione della durata ragionevole del processo, debba considerare discrezionalmente la tempistica ritenuta congrua ai fini dell’individuazione della lesione del diritto alla ragionevole durata, ovvero, debba uniformarsi alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e conformemente a quest’ultima attribuire rilievo al complessivo periodo di tempo necessario affinchè il diritto di credito azionato dal ricorrente trovi concreta attuazione”.
Peraltro, l’unico motivo di ricorso è del tutto aspecifico rispetto alla motivazione – non censurata – del decreto impugnato nella parte in cui individua la proposizione della domanda di ammissione al passivo nel 2004 anzichè nel 2001, come indicato dal ricorrente.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dall’Amministrazione intimata che liquida in complessivi Euro 900,00 oltre le spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2010.
Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2010