Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8167 del 23/03/2021

Cassazione civile sez. III, 23/03/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 23/03/2021), n.8167

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32161/2019 proposto da:

N.O., domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria

della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato ANNA

LOMBARDI BAIARDINI;

– ricorrenti –

e contro

La COMMISSIONE TERRITORIALE;

– intimati –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 489/2019 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 07/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/12/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. N.O., cittadino della (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. Il richiedente dedusse a fondamento della sua istanza di esser fuggito dalla Nigeria a causa delle aggressioni e minacce subite per la sua partecipazione ad una festa di natura politica, organizzata dal padre, membro del (OMISSIS). Durante tale evento scoppiò una rissa in seguito alla quale morì un componente del partito. Decise di fuggire in Libia poichè era venuto a sapere che la polizia lo stavano cercando. Dalla Libia, dove rimase otto mesi a causa delle torture subite, giunse in Italia.

Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento N.O. propose ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, dinanzi il Tribunale di Perugia, che, con ordinanza del 4 settembre 2018, rigettò il reclamo.

Il Tribunale ritenne:

a) poco credibile il racconto;

b) infondata la domanda di riconoscimento dello stato di rifugiato, mancandone i presupposti;

c) infondata la domanda di protezione sussidiaria, in quanto nella zona di provenienza del richiedente non sussisteva una situazione di violenza riconducibile al concetto di conflitto locale o internazionale;

d) infondata la domanda di protezione umanitaria, non sussistendo ragioni di particolare vulnerabilità.

3. Tale decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Perugia con sentenza n. 489/2019 pubblicata il 7 agosto 2019.

4. La sentenza è stata impugnata per cassazione da N.O. con ricorso fondato su tre motivi.

Il Ministero dell’Interno si costituisce per resistere al ricorso senza spiegare alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c. n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007 artt. 2, 3,5,14, D.Lgs. n. 25 del 2008artt. 3,8,32, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, commi 1 e 1.1, D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28, per non aver valutato la Corte di Appello di Perugia la credibilità sulla base dei parametri stabiliti nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5”.

Si duole della erronea valutazione dei giudici di merito in merito alla credibilità del richiedente, il quale avrebbe fornito un racconto analitico e dettagliato, con ogni ragionevole sforzo per circostanziare i fatti. La Corte d’appello avrebbe ritenuto il racconto apoditticamente non plausibile, basandosi sulle conclusioni della Commissione e del Tribunale senza compiere un ulteriore approfondimento istruttorio.

Il motivo è infondato e non coglie la ratio decidendi della decisione.

La Corte d’appello ha infatti ritenuto assenti, a prescindere dal giudizio di credibilità del richiedente, i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, atti o fatti persecutori, con motivazione incensurabile in questa sede.

5.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c. n. 3, in particolare in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, e 14, ed in particolare alla lett. a, b, c, e al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 25 e agli artt. 2, 3, 4, 5, 9 CEDU”. Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe violato il dovere di cooperazione istruttoria, in quanto mancherebbe qualsiasi riferimento a fonti ufficiali e aggiornate in merito alla situazione del paese di provenienza.

5.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3,5, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3,8,32, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, commi 1 e comma 1.1, D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28, nonchè per omesso esame di due fatti decisivi ai fini del giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5”. La Corte d’appello anche rispetto alla protezione umanitaria non avrebbe svolto alcun accertamento approfondito in merito alla situazione sociopolitica presente in Nigeria. Inoltre, i giudici di merito avrebbero omesso di valutare due fatti decisivi: in primis il soggiorno del richiedente in Libia, paese di transito in cui egli avrebbe subito reiterate violenze; in secundis, il percorso di integrazione iniziato dal richiedente in Italia, attraverso attività di lavoro domestico e di volantinaggio.

I due motivi possono, trattati congiuntamente per la loro connessione, sono fondati.

“In tema di valutazione di credibilità del richiedente asilo, il relativo giudizio,

eventualmente negativo, non può in alcun modo essere posto a base, ipso facto, del diniego di cooperazione istruttoria cui il giudice è obbligato ex lege, volta che quel giudice non sarà mai in grado, ex ante, di conoscere e valutare correttamente la reale ed attuale situazione del Paese di provenienza del ricorrente sicchè risulta frutto di un evidente paralogismo l’equazione mancanza di credibilità/insussistenza dell’obbligo di cooperazione”.

“Nella fase del giudizio volta ad acquisire le dichiarazioni del richiedente asilo (evidentemente prodromica alla decisione di merito), la valutazione di credibilità dovrà limitarsi alle affermazioni circa il Paese di provenienza rese dal ricorrente (così che, ove queste risultassero false, si disattiverebbe immediatamente l’obbligo di cooperazione)”.

“Il dovere di cooperazione da parte del giudice si sostanzia nell’acquisizione di COI pertinenti e aggiornate al momento della decisione (ovvero ad epoca ad essa prossima), da richiedersi agli enti a ciò preposti – tale non potendosi ritenere il sito ministeriale “(OMISSIS)”, il cui scopo e la cui funzione non coincidono, se non in parte, con quelli perseguiti in sede di giudizio di protezione internazionale – alla luce dell’obbligo, sancito dall’art. 10, comma 3, lett. b) della cd. Direttiva Procedure, “di mettere a disposizione del personale incaricato di esaminare le domande informazioni precise e aggiornate provenienti dall’EASO, dall’UNHCR e da Organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani circa la situazione generale nel paese d’origine dei richiedenti e, all’occorrenza, dei paesi in cui hanno transitato”. Spetterà, dunque (all’amministrazione, prima, e poi) al giudice fare riferimento anche di propria iniziativa a informazioni relative ai Paesi d’origine che risultino complete, affidabili e aggiornate”.

“In tema di valutazione della credibilità del richiedente asilo, costituisce errore di diritto, come tale censurabile anche in sede di legittimità, la valutazione delle dichiarazioni che si sostanzi nella capillare e frazionata ricerca delle singole, eventuali contraddizioni, pur talvolta esistenti, insite nella narrazione, volta che il procedimento di protezione internazionale è caratterizzato, per sua natura, da una sostanziale mancanza di contraddittorio (stante la sistematica assenza dell’organo ministeriale), con conseguente impredicabilità della diversa funzione – caratteristica del processo civile ordinario – di analitico e perspicuo bilanciamento tra posizioni e tesi contrapposte intra pares.”

Nel caso di specie manca qualsiasi riferimento a COI aggiornate, affidabili e attuali. I giudici di merito non hanno dunque rispettato i principi enunciati da questa Corte, rilevando, errando, che la narrazione di episodi anche violenti ma strettamente interpersonali può non dare luogo alla necessità di approfondimento istruttorio officioso”.

In merito poi alla protezione umanitaria, questa Corte (Cass. 4455/2018, per come confermata anche da Cass., ss.uu., sent. 29459/2019, cit. supra), ha avuto modo di affermare che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

Nel caso di specie è assente qualsiasi riferimento alle condizioni sociopolitiche presenti in Nigeria, approfondimento necessario ai fini del giudizio comparativo tra la condizione e l’integrazione effettiva raggiunta dal richiedente in Italia e quella in cui si troverebbe nel caso di rientro in patria, bilanciamento completamente assente nella sentenza impugnata.

6. Pertanto la Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo e terzo motivo, cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Perugia in diversa composizione.

P.Q.M.

Pertanto la Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo e terzo motivo, cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Perugia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2021

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