Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8165 del 23/03/2021

Cassazione civile sez. III, 23/03/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 23/03/2021), n.8165

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 36674/2018 R.G. proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dall’Avv. ANTONIO AZZOLINI,

domiciliato presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

P.F., rappresentata e difesa dall’Avv. STEFANIA MORANA,

domiciliata presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1363-2018 della Corte d’Appello di Catania,

depositata il 19 giugno 2018, notificata il 13 ottobre 2018.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 25 novembre

2020 dal Consigliere Dtt. Marilena Gorgoni.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La descrizione dei fatti di causa è la seguente:

“L’avv. A. ha proposto opposizione ad un decreto ingiuntivo emesso dalla Sezione Staccata di Avola del Tribunale di Siracusa, in assenza dei presupposti processuali ex artt. 633 c.p.c. e segg., ovvero della prova scritta e della certezza, liquidità ed esigibilità del credito costituito dall’indennità di avviamento commerciale.

Nell’opposizione a decreto ingiuntivo, l’Avv. A. ha eccepito, oltre all’assenza dei presupposti processuali di cui agli artt. 633 c.p.c. e segg., la nullità della notificazione del decreto ingiuntivo opposto nonchè la circostanza che il contratto di locazione con l’ingiungente si era risolto ipso iure per inadempimento della conduttrice a causa dell’applicabilità della clausola risolutiva espressa, considerata valida dal GOT, il quale ha deciso la causa di 1 grado, ma essa, a dire del GOT, in virtù di una singolare interpretazione giurisprudenziale dello stesso, era stata invocata tardivamente perchè il GOT ha statuito che il rapporto di locazione cessa nel momento in cui il conduttore riceve la lettera di disdetta del locatore.

L’avv. A. ha proposto appello, ed il Consigliere non togato, il quale ha deciso la causa di 2 grado, ha statuito che il contratto non si era risolto all’atto del recapito della lettera di disdetta del contratto di locazione, ma, sostituendosi alle parti che non hanno mai contestato la tesi del GOT di 1 grado il quale ha ritenuto valida la clausola risolutiva espressa, ha statuito che tale clausola era stata prevaricata da un presunto comportamento tollerante del locatore, smentito “per tabulas” (con l’invio di ben tre raccomandate in cui il locatore ha invocato l’applicabilità della clausola risolutiva espressa e la conseguente risoluzione ipso iure del contratto di locazione) e per testi, delle cui prove il Consigliere non togato, in sentenza, non ha assolutamente tenuto conto omettendo di citarle. L’appello è stato accolto parzialmente, però chiunque legga il dispositivo si convince che l’avv. A. deve pagare soltanto le spese dei due gradi di giudizio, ma la parte appellata, inopinatamente, ha, già, notificato un atto di precetto con cui ha chiesto anche il pagamento degli importi liquidati a titolo di indennità di avviamento commerciale nel giudizio di 1 grado, non confermati nel dispositivo della sentenza d’appello, ma confermati nella narrativa di essa e, ovviamente, l’appellante è la parte meno interessata a chiedere la correzione dell’errore materiale del dispositivo cui è stata invitata, inutilmente, la controparte”.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l'”omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia – violazione di norme”.

La Corte d’Appello non avrebbe rilevato, senza motivazione e violando gli artt. 633 c.p.c. e segg., che il decreto ingiuntivo era stato emesso in assenza di prova scritta che comprovasse la certezza, la liquidità e l’esigibilità dell’importo ingiunto, limitandosi ad invocare una decisione di questa Corte, la n. 3649/2012, relativa ai rapporti bancari, che comunque confermava che, in assenza di prova scritta, il credito azionato con il decreto ingiuntivo risulterebbe carente della liquidità ed esigibilità. Essendosi la conduttrice limitata a chiedere la conferma del decreto ingiuntivo opposto, il giudice a quo non avrebbe potuto condannarlo al pagamento di alcuna somma, se non incorrendo nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, mancando la relativa richiesta, ciò perchè, pur potendosi calcolare l’importo dovuto sulla base del contratto di locazione, la conduttrice non aveva chiesto la condanna al pagamento delle somme risultati dall’istruttoria.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’omessa motivazione su un altro punto decisivo della controversia”, per non avere la sentenza impugnata considerato che la notificazione del decreto ingiuntivo era avvenuta presso il suo studio professionale a Milano e non presso la sua residenza di (OMISSIS), conosciuta dalla conduttrice.

3. Con il terzo motivo il ricorrente imputa alla sentenza gravata la “violazione ed errata applicazione delle seguenti norme di diritto”.

Avendo chiesto in appello solo la modifica della sentenza di prime cure nella parte in cui aveva asserito che il contratto di locazione si risolve nel momento in cui il conduttore riceve la disdetta da parte del locatore, la Corte d’Appello, violando il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avrebbe rilevato l’invalidità della clausola risolutiva espressa a causa della tolleranza manifestata dal locatore, peraltro, smentita per tabulas, da tre raccomandate inviate alla conduttrice, e per testi.

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce il mancato rispetto del rito del lavoro, per non avere la Corte d’Appello dato lettura del dispositivo al termine dell’udienza di discussione del 12 giugno 2018, preannunziando che sarebbe stato letto nel pomeriggio, ma poi pubblicandolo, insieme con le motivazioni, soltanto il 19 giugno 2018.

5. Preliminarmente va osservato che il ricorrente ha redatto il ricorso omettendo una reale esposizione sommaria dei fatti, non ha riportato le domande e le eccezioni delle parti, ha omesso di esporre quale sia stata la decisione del Tribunale di Siracusa, di precisare le ragioni dell’appello e finanche di rappresentare in modo dettagliato quale sia stata la decisione della Corte di Appello oggi impugnata col ricorso – riferisce ad esempio di un accoglimento parziale, ma nulla dice quanto al motivo di appello accolto.

In tali condizioni non può che rilevarsi l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in applicazione di un orientamento costante di questa Suprema Corte (Cass., Sez. Un., 17/07/2009, n. 16628; Cass., Sez. Un., 11/04/2012, n. 5698; Cass. 28/10/2014, n. 22860).

Non va dimenticato, infatti, che l’art. 366 c.p.c., nel dettare le condizioni formali del ricorso, ossia i requisiti di “forma-contenuto” dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, configura un vero e proprio “modello legale” del ricorso per cassazione, posto non tanto nell’interesse della controparte, quanto in funzione del sindacato che la Corte di Cassazione è chiamata ad esercitare e, quindi, della verifica della fondatezza delle censure proposte. Esiste, pertanto, un rapporto di complementarità tra il requisito della “esposizione sommaria dei fatti della causa” di cui dell’art. 366 c.p.c., n. 3 e quello – che lo segue nel modello legale del ricorso – della “esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione”, di cui all’art. 366 c.p.c. n. 6, essendo l’esposizione sommaria dei fatti funzionale a rendere intellegibili, da parte di questa Corte, i motivi di ricorso di seguito formulati. In altri termini, secondo il “modello legale” apprestato dall’art. 366 c.p.c., la Corte di Cassazione, prima di esaminare i motivi, deve essere posta in grado, attraverso una riassuntiva esposizione dei fatti, di avere contezza sia del rapporto giuridico sostanziale originario da cui è scaturita la controversia, sia dello sviluppo della vicenda processuale nei vari gradi di giudizio di merito, in modo da poter procedere poi allo scrutinio dei motivi di ricorso munita delle conoscenze necessarie per valutare se essi siano deducibili e pertinenti; valutazione – questa – che è possibile solo se chi esamina i motivi sia stato previamente posto a conoscenza della vicenda sostanziale e processuale in modo complessivo e sommario, mediante una “sintesi” dei fatti che si fondi sulla selezione dei dati rilevanti e sullo scarto di quelli inutili. Perciò, il difensore chiamato a redigere il ricorso per cassazione – che, per legge, dev’essere un professionista munito di quella particolare specializzazione attestata dalla sua iscrizione nell’albo speciale dei patrocinanti in Cassazione – deve procedere ad elaborare autonomamente “una sintesi della vicenda fattuale e processuale”, selezionando i dati di fatto sostanziali e processuali rilevanti (domande, eccezioni, statuizioni delle sentenze di merito, motivi di gravame, questioni riproposte in appello, etc.) in funzione dei motivi di ricorso che intende formulare, in modo da consentire alla Corte di procedere poi allo scrutinio di tali motivi disponendo di un quadro chiaro e sintetico della vicenda processuale, che le consenta di cogliere agevolmente il significato delle censure, la loro ammissibilità e la loro pertinenza rispetto alle rationes decidendi della sentenza impugnata.

6. Il ricorso è dunque inammissibile.

7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. 7. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico del ricorrente l’obbligo di pagamento del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2021

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