Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8163 del 24/04/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/04/2020, (ud. 28/01/2020, dep. 24/04/2020), n.8163

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17457/2017 proposto da:

B.L., C.P., CO.OR., c.l.,

F.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO,

58, presso lo studio dell’avvocato BRUNO COSSU, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SAVINA BOMBOI;

– ricorrenti –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCO RAIMONDO

BOCCIA, ENZO MORRICO e ROBERTO ROMEI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 553/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 30/12/2016, R.G.N. 382/2016;

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza in data 30 dicembre 2016, la Corte d’appello di Venezia revocava i decreti ingiuntivi ottenuti dal Tribunale di Venezia da B.L., C.P., c.l., Co.Or. e F.R., così rigettandone le richieste di somme in ragione del mancato pagamento di retribuzioni maturate dal 1 giugno al 30 settembre 2014, dalla datrice Telecom Italia s.p.a., cedente il ramo d’azienda cui essi erano addetti a Ceva Logistics s.p.a. (con contratto del 27 febbraio 2003 ed effetto dal 1 marzo 2003);

le pretese erano fondate sulla sentenza dello stesso Tribunale n. 576/2006 (in giudicato per effetto della sentenza n. 17683/2014 della Corte di Cassazione, di rigetto del ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di conferma), che aveva accertato l’illegittimità della cessione;

in accoglimento dell’appello della società cedente, essa riformava pertanto la sentenza di primo grado, che ne aveva invece rigettato le opposizioni ai distinti decreti;

avverso tale sentenza i lavoratori, con atto notificato il 30 giugno 2017, ricorrevano per cassazione con sette motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c., cui Telecom Italia s.p.a. resisteva con controricorso;

il P.G. rassegnava le proprie conclusioni ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. i ricorrenti deducono nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 414,416,420 c.p.c., art. 2697 c.c., per avere la Corte territoriale escluso la tardività dell’eccezione di Telecom Italia s.p.a. di risoluzione del rapporto, soltanto con le note difensive finali di primo grado, sul rilievo della mancata deduzione e documentazione della sua anteriore conoscenza, con inversione dell’onere probatorio, posto a loro carico, anzichè della società di esso gravata (primo motivo); omesso esame di fatto decisivo, quale la specifica contestazione dei lavoratori, con la memoria di costituzione in appello, della conoscenza da parte di Telecom Italia s.p.a. dell’impugnazione del licenziamento intimato da Ceva Logistics s.p.a. ai lavoratori e della successiva conciliazione della controversia (ai fini di inammissibilità della loro domanda per sopravvenuto difetto d’interesse) in epoca anteriore alla proposizione dei ricorsi per decreto ingiuntivo, documentata dalla comunicazione del legale della società del 27 novembre 2014, comportante l’inammissibilità, per tardività, della sua deduzione di inammissibilità della domanda dei lavoratori (secondo motivo); nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., art. 111 Cost., comma 6, per avere la Corte territoriale dato atto, nella parte espositiva della sentenza, della contestazione dai lavoratori della deduzione della società di sopravvenuta conoscenza dell’impugnazione dei licenziamento intimato da Ceva Logistics s.p.a. ai lavoratori e della successiva conciliazione della controversia, invece negata nella parte motiva (terzo motivo);

2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati;

2.1. premesso che l’interesse ad agire, condizione dell’azione, connotato dai caratteri di attualità e concretezza al momento della decisione in quanto mirato al conseguimento di un risultato giuridicamente utile (Cass. 30 luglio 2015, n. 16162; Cass. 24 gennaio 2019, n. 2057), è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, anche in mancanza di contrasto tra le parti sul punto, poichè costituisce un requisito per la trattazione nel merito della domanda (Cass. 7 marzo 2002, n. 3330; Cass. 29 settembre 2016, n. 19268);

2.2. la circostanza di fatto della sopravvenuta conoscenza da Telecom Italia s.p.a. dell’impugnazione dei licenziamenti intimati da Ceva Logistics s.p.a. ai lavoratori e della successiva conciliazione della controversia, veicolata nella prospettiva della carenza di interesse ad agire dei lavoratori, è stata ritenuta dalla Corte d’appello ammissibile, siccome tempestivamente dedotta dalla medesima con le note difensive finali di primo grado, autorizzate dal giudice: non già per inversione dell’onere probatorio (con inesistente violazione della norma di diritto denunciata), ma in applicazione del principio di non contestazione (in ordine ad una invece pregressa conoscenza, tardivamente dedotta per la prima volta in appello dai lavoratori: così al secondo capoverso di pg. 12 e al terz’ultimo capoverso di pg. 8 della sentenza), posto dall’art. 115 c.p.c. (Cass. 19 ottobre 2016, n. 21075; Cass. 10 maggio 2018, n. 11252), appunto riguardante le sole allegazioni assertive della controparte (Cass. 21 giugno 2016, n. 12748; Cass. 8 febbraio 2018, n. 3022; Cass. 27 giugno 2018, n. 16908), comportante le coerenti conseguenze giuridiche poi tratte;

2.3. la Corte veneziana, nell’esaminare la circostanza (pertanto oggetto di esame quale fatto storico decisivo, nel rispetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415), ha compiuto un apprezzamento di esclusiva spettanza del giudice del merito, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, dell’esistenza e del valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. 7 febbraio 2019, n. 3680; Cass. 28 ottobre 2019, n. 27490): da intendere nel senso della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, quale contenuto della posizione processuale della parte, rientrante nell’interpretazione dell’atto della parte, quale funzione del giudice di merito insindacabile in sede di legittimità, se non per vizio di motivazione (Cass. 16 dicembre 2005, n. 27833; Cass. 3 maggio 2007, n. 10182);

2.4. neppure, infine, si configura la denunciata contraddittorietà viziante di nullità la sentenza, in assenza di un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, che rendano incomprensibili le ragioni poste a base della decisione (Cass. 25 giugno 2018, n. 16611; Cass. 18 luglio 2019, n. 19390), apprendendosi bene dal ragionamento argomentativo della Corte d’appello, al di là di un’affermazione invero poco plausibile (al primo capoverso di pg. 14 della sentenza), la rilevata deduzione dei lavoratori per la prima volta in appello della pregressa conoscenza della società (al terz’ultimo capoverso di pg. 8 della sentenza), tardiva rispetto alla mancata contestazione nella prima difesa utile successiva alla deduzione della società nelle note finali autorizzate in primo grado (al secondo capoverso di pg. 12 della sentenza);

3. I ricorrenti deducono quindi violazione e falsa applicazione degli artt. 2112 e 1406 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto l’unicità del rapporto di lavoro intrattenuto dai prestatori con la cedente anche con la cessionaria, anche nel caso di accertata illegittimità del trasferimento, anzichè distinto i due rapporti (uno di fatto con la seconda; l’altro quiescente con la prima), con la conseguente ininfluenza delle vicende (nel caso di specie: di conciliazione del giudizio di impugnazione del licenziamento intimato dalla cessionaria) del rapporto con la cessionaria su quello con la cedente (quarto motivo);

4. esso è fondato;

4.1. deve innanzi tutto essere esclusa l’inammissibilità del mezzo, per supposta novità della questione relativa alla duplicità, piuttosto che unicità, del rapporto di lavoro in oggetto, avendo essa a pieno titolo costituito parte (tra l’altro, cruciale) del dibattito processuale, come risultante dalle allegazioni difensive contenute nella sentenza impugnata (in particolare, al secondo capoverso di pg. 6 e ai primi due di pg. 9);

4.2. nel merito, questa Corte ha ritenuto, con sentenze oggetto di ampie ed approfondite argomentazioni (Cass. 3 luglio 2019, n. 17784; Cass. 7 agosto 2019, n. 21158), qui espressamente richiamate in quanto condivise e pertanto meritevoli di continuità, che:

4.2.1. soltanto un legittimo trasferimento d’azienda comporti la continuità di un rapporto di lavoro che resta unico ed immutato, nei suoi elementi oggettivi, esclusivamente nella misura in cui ricorrano i presupposti di cui all’art. 2112 c.c., che, in deroga all’art. 1406 c.c., consente la sostituzione del contraente senza consenso del ceduto. Ed è evidente che l’unicità del rapporto venga meno, qualora, come appunto nel caso di specie, il trasferimento sia dichiarato invalido, stante l’instaurazione di un diverso e nuovo rapporto di lavoro con il soggetto (già, e non più, cessionario) alle cui dipendenze il lavoratore “continui” di fatto a lavorare;

4.2.2. per insegnamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’unicità del rapporto presuppone la legittimità della vicenda traslativa regolata dall’art. 2112 c.c.: sicchè, accertatane l’invalidità, il rapporto con il destinatario della cessione è instaurato in via di mero fatto, tanto che le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere, rimasto in vita con il cedente (sebbene quiescente per l’illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale);

4.2.3. il trasferimento del medesimo rapporto si determina solo quando si perfeziona una fattispecie traslativa conforme al modello legale; diversamente, nel caso di invalidità della cessione (per mancanza dei requisiti richiesti dall’art. 2112 c.c.) e di inconfigurabilità di una cessione negoziale (per mancanza del consenso della parte ceduta quale elemento costitutivo della cessione), quel rapporto di lavoro non si trasferisce e resta nella titolarità dell’originario cedente (da ultimo: Cass. 28 febbraio 2019, n. 5998);

4.2.4. pure a fronte di una duplicità di rapporti (uno, de iure, ripristinato nei confronti dell’originario datore di lavoro, tenuto alla corresponsione delle retribuzioni maturate dalla costituzione in mora del lavoratore; l’altro, di fatto, nei confronti del soggetto, già cessionario, effettivo utilizzatore), la prestazione lavorativa solo apparentemente resta unica: giacchè, accanto ad una prestazione materialmente resa in favore del soggetto con il quale il lavoratore, illegittimamente trasferito con la cessione di ramo d’azienda, abbia instaurato un rapporto di lavoro di fatto, ve n’è un’altra giuridicamente resa, non meno rilevante sul piano del diritto, in favore dell’originario datore, con il quale il rapporto di lavoro è stato de iure (anche se non de facto, per rifiuto ingiustificato del predetto) ripristinato;

4.2.5. nello stesso senso, è stato ribadito il consolidato orientamento circa l’interesse a far valere giudizialmente l’insussistenza di un trasferimento di ramo d’azienda da parte del lavoratore ceduto, nonostante la prestazione di lavoro resa in favore del cessionario e le eventuali vicende risolutive del rapporto con il medesimo, siccome irrilevanti (Cass. 16 giugno 2014, n. 13617; Cass. 7 settembre 2016, n. 17736; Cass. 24 ottobre 2017, n. 25144; Cass. 30 gennaio 2018, n. 2281);

5. i ricorrenti deducono in subordine nullità della sentenza per violazione dell’art. 2909 c.c., per la ritenuta deducibilità nell’odierno giudizio di fatti (asseritamente) estintivi nonostante la preclusione per il giudicato (Cass. n. 17683/2014) formatosi sull’accertamento di persistenza del rapporto dei lavoratori con Telecom Italia s.p.a. (quinto motivo); violazione degli artt. 1372 e 2727 c.c., per erronea individuazione dalla Corte territoriale di un comportamento concludente dei lavoratori (nell’impugnazione del licenziamento loro intimato da Ceva Logistics s.p.a. e nella successiva conciliazione della controversia), tale da indurne il riflesso degli effetti estintivi del rapporto con essa anche in quello con Telecom Italia s.p.a., nonostante l’inequivoca presenza di circostanze contraddittorie, quali la prosecuzione del contenzioso con questa, sotto vari profili, per ottenerne il ripristino del rapporto di lavoro e il risarcimento del danno per il relativo inadempimento (sesto motivo); omesso esame di fatti decisivi, quali le circostanze indicate nel precedente motivo, contrarie a indurne il comportamento concludente dei lavoratori erroneamente ritenuto (settimo motivo);

5.1. essi sono assorbiti;

8. pertanto deve essere accolto il quarto motivo di ricorso, rigettati i primi tre ed assorbiti gli altri, con la cassazione della sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.

PQM

La Corte:

accoglie il quarto motivo di ricorso, rigettati i primi tre ed assorbiti gli altri; cassa la sentenza, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 aprile 2020

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