Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8161 del 29/03/2017

Cassazione civile, sez. VI, 29/03/2017, (ud. 02/03/2017, dep.29/03/2017),  n. 8161

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8714/2016 proposto da:

R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI

123, presso lo studio dell’avvocato DANIELE ROMEO, rappresentato e

difeso dagli avvocati FEDERICO DI PAOLA, FRANCESCO CICCARELLI;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, in persona del procuratore speciale,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIORGIO SCHIAVO;

– controricorrente –

e contro

BOEMIO AUTOTRASPORTI DI A.G. E C. SAS;

– intimata –

avverso la sentenza n. 991/2015 del TRIBUNALE di SANTA MARIA CAPUA

depositata il 16/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 02/03/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA

BARRECA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che con la sentenza impugnata, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha rigettato l’appello proposto da R.G. contro la sentenza del Giudice di Pace di Marcianise con la quale la domanda avanzata dal R., per il risarcimento dei danni provocati all’autovettura di sua proprietà con un tamponamento, era stata accolta nei confronti della Boemio Autotrasporti di A.G. & C. s.a.s., proprietaria dell’autocarro investitore, ma era stata disattesa nei confronti della Generali Italia Assicurazioni Spa, nella qualità di impresa designata per la gestione del Fondo di Garanzia Vittime della Strada, per mancanza di prova in merito alla scopertura assicurativa dell’autocarro; il Tribunale ha confermato questa ragione della decisione ed ha rigettato l’appello, con correzione dell’errore materiale contenuto nella sentenza di primo grado quanto al nome dell’attore, poi appellante; ha compensato le spese del grado;

avverso la sentenza, pubblicata il 16 marzo 2015, R.G. propone ricorso con cinque motivi;

Generali Italia S.p.A. resiste con controricorso;

l’altra intimata non si difende;

ricorrendo uno dei casi previsti dall’art. 375 c.p.c., comma 1, su proposta del relatore della sezione sesta, il presidente ha fissato con decreto l’adunanza della Corte, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

il decreto è stato notificato come per legge;

parte resistente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con i primi tre motivi il ricorrente censura la decisione del Tribunale che ha ritenuto irrilevante l’errore, contenuto nell’atto introduttivo dinanzi al Giudice di Pace, nell’indicazione della denominazione sociale della convenuta, rimasta contumace nel primo e nel secondo grado di giudizio, ma correttamente evocata con la citazione in appello. Il ricorrente sostiene che quell’errore avrebbe comportato la nullità dell’atto di citazione in primo grado e quindi della sentenza, ed il giudice d’appello avrebbe dovuto rinnovare tutti gli atti nulli, in particolare gli atti istruttori (primo e terzo motivo); che la sentenza di secondo grado avrebbe dovuto correggere l’errore contenuto nella sentenza di primo grado, quanto alla denominazione della convenuta, ma non l’ha fatto, con la conseguenza che la prima sentenza non potrebbe essere portata ad esecuzione dall’attore, qui ricorrente – il quale è stato vittorioso nei confronti della Boemio Autotrasporti di A.G. & C. s.a.s., erroneamente indicata come Boemia Autotrasporti di A.G. & C. s.a.s. (secondo motivo); che comunque la motivazione della sentenza impugnata in punto di rinnovazione dei mezzi istruttori sarebbe “omessa insufficiente e contraddittoria” (terzo motivo); i motivi primo e terzo, a prescindere dai profili di inammissibilità evidenziati (non a torto) dalla resistente, sono comunque infondati alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale, che qui si ribadisce, per il quale quando sia convenuta in giudizio una società, l’erronea indicazione della ragione sociale o di altri elementi identificativi non comporta la nullità nè della citazione (tanto in primo grado, quanto in appello), nè della notificazione di essa, a meno che il suddetto errore non ingeneri una incertezza assoluta sull’esatta identificazione della società (cfr. Cass. n. 29864/08 e n. 6803/12, tra le altre);

quest’ultima eventualità è stata esclusa nel caso di specie dal Tribunale, che sul punto ha reso motivazione congrua;

il secondo motivo è inammissibile in conseguenza del principio per il quale l’istanza di correzione di errore materiale non è mai oggetto di gravame in senso proprio, anche quando rivolta al giudice dell’impugnazione della sentenza contenente l’errore che si chiede di correggere (Cass. n. 19284/14; cfr. anche Cass. n. 7706/03): questo comporta che, anche a voler ammettere che nel caso di specie un’istanza siffatta sia stata avanzata (circostanza che non risulta dal ricorso – sul punto privo di autosufficienza; comunque, contestata dalla resistente: cfr. pagg. 9-10 del controricorso), l’istante non ha interesse ad impugnare per cassazione l’omessa correzione; infatti, se l’errore materiale persista anche dopo la pronuncia d’appello, impedendo la corretta esecuzione della sentenza, l’istanza di correzione può essere riproposta al giudice competente ai sensi degli artt. 287 e 288 c.p.c.;

quindi, il ricorrente non ha interesse all’impugnazione così come proposta col motivo in esame;

il terzo motivo è, a sua volta, inammissibile nella parte in cui è formulato facendo riferimento alla norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo non applicabile al caso di specie. Dal momento che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 16 marzo 2015, si applica l’art. 360 c.p.c., n. 5, come sostituito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito nella L. n. 134 del 2012, che consente esclusivamente la censura di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”; censura, quest’ultima, diversa da quella avanzata con il motivo in esame;

col quarto motivo si deduce violazione di legge nonchè falsa applicazione degli artt. 2043, 2054, 2055 c.c., D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 283 e 287, ed, ancora, di una serie di disposizioni del codice di rito, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, al fine di sostenere che la condanna del proprietario del veicolo avrebbe dovuto comportare l’estensione della condanna alla compagnia di assicurazioni ai sensi dell’art. 2055 c.c. e delle norme del codice delle assicurazioni richiamate in ricorso;

il motivo non tiene conto della ragione di esclusione della condanna della società assicuratrice, in quanto chiamata in causa non quale assicuratore della r.c.a. (obbligato solidale col proprietario del veicolo investitore), ma quale rappresentante del F.G.V.D.S., la cui responsabilità è stata esclusa dai giudici di merito per mancanza della prova del presupposto costituito dalla scopertura assicurativa;

poichè non censura questa ratio decidendi, il motivo è inammissibile;

il quinto motivo – col quale si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 144 e 145, perchè il giudice avrebbe dovuto dichiarare improponibile la domanda per mancanza di messa in mora della società proprietaria del veicolo – è inammissibile per un duplice ordine di ragioni:

– perchè la questione – espressamente risolta dal primo giudice (che ha dichiarato assolto l’onere di cui ai detti articoli e quindi proponibile la domanda, per come risulta dalla motivazione riportata in ricorso, specificamente alla pag. 5) – non è stata fatta oggetto di gravame dalla parte qui ricorrente, con conseguente formazione di giudicato interno sulla proponibilità della domanda nei confronti di tutti i convenuti; la questione è rilevabile d’ufficio soltanto se sulla stessa non vi sia già pronuncia suscettibile di passare in giudicato in difetto di impugnazione;

– perchè la società proprietaria del veicolo investitore è stata condannata con sentenza perciò favorevole al danneggiato, che non ha quindi un interesse giuridicamente rilevante alla dichiarazione di improponibilità della domanda proprio nei confronti di quella dei due convenuti della quale è stata affermata la responsabilità, con condanna a suo favore;

in conclusione, il ricorso va rigettato;

le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida, in favore della controricorrente, nell’importo di Euro 2.100,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali, IVA e CPA come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 2 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2017

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