Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8161 del 11/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 11/04/2011, (ud. 05/01/2011, dep. 11/04/2011), n.8161

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DEL TERRITORIO, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

FIAT AUTO PARTECIPAZIONI SPA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE GIULIO CESARE

14/A/4 presso lo studio dell’avvocato PAFUNDI GABRIELE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CASAVECCHIA MARCO,

giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 89/2005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 28/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/01/2011 dal Consigliere Dott. CARLO PARMEGGIANI;

udito per il resistente l’Avvocato PAFUNDI GABRIELE, che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data 6-2-2001 la società Fiat Auto Partecipazione s.p.a.

presentava dichiarazione secondo la procedura DOCFA formulando proposta di frazionamento con attribuzione di rendita catastale per la unità immobiliare consistente nella porzione dello stabilimento già Alfa Romeo (che nel suo complesso si estende nei comuni di Arese, Garbagnate Milanese, Lainate e Rho) per la parte insistente nel comune di Arese.

L’Agenzia del Territorio non accettava la dichiarazione della società e notificava un accertamento con il quale variava in aumento la rendita proposta.

La società impugnava l’accertamento sostenendo la erroneità della metodologia estimativa seguita dalla Agenzia, essenzialmente lamentando che la stessa avesse proceduto ad una valutazione delle aree dell’ex stabilimento separata da quella dei soprastanti immobili, laddove ad avviso della ricorrente occorreva operare una valutazione unica.

La Commissione Tributaria Provinciale di Milano accoglieva parzialmente il ricorso, limitatamente al valore dell’area residua, ovvero nè coperta nè necessariamente pertinenziale agli immobili.

Proponeva appello la società e la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia con sentenza n. 89/31/05, in data 23-6-05, depositata il 28-6-05, lo accoglieva, determinando una rendita conforme a quella proposta.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la Agenzia del Territorio, con due motivi.

Resiste la società con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la Agenzia deduce violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, art. 118 disp. att. c.p.c., n. 156 c.p.c., comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn 3 e 4.

Sostiene che la sentenza è nulla per carenza assoluta di motivazione, in quanto ad avviso della ricorrente mancano i dati identificativi della unità immobiliare, la esposizione dello svolgimento del processo, la spiegazione, anche succinta, dei motivi di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione, risultando pertanto impossibile intendere l’iter motivazionale seguito dalla commissione.

Con il secondo motivo deduce violazione del D.P.R. n. 1142 del 1949, artt. 27, 28, 29, R.D.L. n. 652 del 1939, art. 10, artt. 8 e 30 D.P.R. n. 1142 del 1949, nonchè omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Premette che la unità immobiliare di cui è causa, anche per le singole porzioni ricadenti nei vari comuni di cui in premessa, costituisce un opificio, ovvero un impianto industriale, censito in categoria D) non suscettibile di diversa destinazione senza radicali trasformazioni (rientrante quindi nella ipotesi di cui al R.D.L. n. 652 del 1939, art. 10), e pertanto non è valutabile tramite la classificazione tariffaria, bensì con stima diretta; che, a tal fine, la stima, D.P.R. n. 1142 del 1949, ex art. 30, deve essere effettuata secondo le regole dell’estimo catastale, ovvero con i parametri del capitale fondiario (D.P.R. cit., art. 28) e del saggio di interesse (art. 29); che nel caso si verte in tema di capitale fondiario, ovvero di valutazione degli immobili dell’opificio, quindi di applicazione dei principi del citato art. 28.

Espone al riguardo che la denuncia DOCFA della società aveva parcellizzato gli immobili, attribuendo valori unitari comprensivi delle aree coperte, ed attribuendo sia agli immobili che alla aree scoperte di pertinenza valori al di sotto di quelli di mercato.

Rammenta infatti che ai sensi dell’art. 28 del D.P.R. citato, il valore si determina secondo i prezzi correnti per la vendita di unità immobiliari analoghe; in mancanza di tali elementi si ha riguardo al “costo di ricostruzione” effettuato sommando al valore delle aree di sedime il costo di costruzione all’epoca presa in considerazione (nella specie il biennio 1988/1989) diminuito in relazione alla obsolescenza dei fabbricati. Tale metodo era stato seguito dall’Ufficio, tenuto conto sia della percentuale di edificabilità secondo il PRG (0,50 al mq) che del fatto che i fabbricati risultavano ristrutturati nel 1990, laddove quello seguito dalla società ed approvato dalla Commissione Regionale non aveva fondamento nè nella legge nè nella “prassi applicativa.”.

Sostiene che il riferimento operato in sentenza alla ” transazione” in data 5-12-2000 (pacificamente la compravendita dello stesso opificio) era irrilevante in quanto molto posteriore al biennio di riferimento, in cui lo stabilimento era in produzione, mentre nel 2000 era in stato di abbandono. La società nel controricorso contesta la ammissibilità e la fondatezza delle argomentazioni dell’Ufficio, facendo presente che il “valore di mercato” era desumibile, come assunto in sentenza, dalla vendita dello stesso stabilimento in data 5-12-2000 per un prezzo inferiore alla rendita proposta dalla società rivalutata in relazione al biennio di riferimento, verificandosi così il presupposto di legge per la stima fondiaria.

Il primo motivo è totalmente infondato.

La sentenza riporta nei dettagli le premesse di fatto della causa, l’assunto delle parti in primo grado, la decisione della Commissione provinciale, i motivi di impugnazione della società, le controdeduzioni dell’Ufficio e la motivazione della decisione adottata, quest’ultima indubbiamente in forma concisa ma comprensibile ed articolata su vari argomenti. Non sono riportati i dati catastali del complesso immobiliare ma in relazione al tema della controversia tale enunciazione era assolutamente inutile, non essendo contestata la consistenza dell’oggetto del classamento (porzione dello stabilimento ex Alfa Romeo ubicato nel comune di Arese).

Il secondo motivo è parimenti infondato.

Sotto il profilo del diritto, la Agenzia ricorrente concorda con la Commissione Regionale sul fatto che il complesso immobiliare di cui è causa non è valutabile secondo Tariffa. Il punto di divergenza sta in questo, che l’Ufficio ritiene inapplicabile il D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 28, nella parte in cui indica come prima ipotesi da considerarsi per la determinazione del valore fondiario dell’immobile (in sè unitariamente considerato, senza distinzione tra il valore dell’area e quello del soprastante fabbricato) la stima con riferimento ai “prezzi correnti per la vendita di unità immobiliari analoghe” e pertanto applica il criterio residuale del costo di ricostruzione, in cui si valutano le Aree ed il costo di costruzione, con i correttivi per la eventuale obsolescenza. La Commissione invece, con motivazione indubbiamente sintetica ma tale da non dare adito a dubbi interpretativi, afferma che nel caso in questione il prezzo corrente sul mercato esiste, ed è quello della vendita dell’intero complesso industriale in data 5-12-2000.

Ritenuto quindi applicabile il primo criterio di cui al citato art. 28, osserva che il prezzo di vendita nel 2000 era inferiore al valore risultante dalla rivalutazione della rendita proposta dalla società, (quindi tenendo conto non del valore nell’anno 2000 ma di quello del biennio di riferimento). Ne conclude che la dichiarazione DOCFA della società era fondata su valori congrui secondo il mercato, ed aggiunge che i dati di riferimento riportati dall’Ufficio per sostenere il contrario (cd. ” borsino immobiliare”) erano inapplicabili in quanto per le sue particolarità il complesso sfuggiva a qualsiasi riferimento analogico. Deve quindi concludersi che la motivazione della Commissione non appare in contrasto con il dato normativo, ed è priva di contraddizioni sul piano logico, risolvendosi in un giudizio di fatto non censurabile in sede di legittimità.

Al contrario, le censure svolte dalla Agenzia del Territorio, non fondate in diritto in quanto la tesi dalla stessa prospettata presuppone un accertamento sul fatto diverso da quello accolto in sentenza, sono inammissibili in relazione all’asserito vizio di motivazione, in quanto si risolvono in una istanza di rivalutazione degli elementi probatori assunti in causa, non consentita in questa fase di legittimità, e per di più carente di autosufficienza in ordine alla documentazione dei fatti allegati a sostegno (quale la ristrutturazione dello stabilimento nel 1990).

Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la Agenzia del Territorio alla rifusione delle spese di causa a favore della contribuente, che liquida in complessivi Euro 6.500, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 5 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2011

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