Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 816 del 16/01/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 816 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA

sul ricorso 28396-2012 proposto da:
RUIU

PATRIZIA

RUIPRZ63S47H501K,

CIVELLO

DANILA

CVLDNL54T66M082M, elettivamente domiciliate in ROMA,
LUNGOTEVERE

MICHELANGELO

9,

presso

lo

dell’avvocato ABBATE FERDINANDO EMILIO,

studio
che le

rappresenta e difende;
– ricorrenti contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA

Data pubblicazione: 16/01/2014

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope
legis;
– controricorrente

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,
depositata il 23/07/2012 R.G.n. 952/11;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

udienza del 05/11/2013 dal Consigliere Dott. FELICE
MANNA;
udito

l’Avvocato

RANIERI

RODA,

con

delega

dell’Avvocato FERDINANDO EMILIO ABBATE difensore delle
ricorrenti, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUIGI SALVATO che ha concluso per il
.

rigetto del ricorso.

I

IN FATTO
Con separata ricorsi, dipoi riuniti, Danila Civello e Patrizia Ruiu adivano la
Corte d’appello di Perugia per ottenere la condanna del Ministero della
Giustizia al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi dell’art. 2 della legge

europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
(CEDU), firmata il 4.11.1950 e ratificata con legge n. 848/55. Giudizio
presupposto, di cui lamentavano la durata eccedente il limite di
ragionevolezza, una causa di lavoro instaurata innanzi al Tribunale di Viterbo
nel 2003 e definita in secondo grado dalla Corte d’appello di Roma nel marzo
del 2010, con sentenza di rigetto della domanda, avente ad oggetto il diritto ad
un’indennità aggiuntiva per le giornate festive del 25.4.1999 e del 2.6.2002,
coincidenti con la domenica, per un valore complessivo di lire 99.169.
Con decreto del 23.7.2012 la Corte perugina, pur ritenendo superato il
limite di ragionevole durata della controversia, rigettava il ricorso. Ciò in
considerazione della minima entità della posta in gioco, riguardante una
pretesa economica da valere una tantum, non incidente né sulla carriera, né
sulle condizioni del lavoro dipendente svolto dalle ricorrenti; e del fatto che la
causa, non necessitando d’istruzione probatoria, non imponeva alle attrici
l’affanno di ricercare di ricercare documenti, d’indicare testi e di sottoporsi a
più sessioni con il difensore, il quale, per di più, si era dichiarato antistatario.
Pertanto, concludeva la Corte territoriale, la presunzione relativa di un
pregiudizio morale derivante dal perdurare del processo doveva ritenersi
superata, essendo positivamente esclusa l’esistenza di un danno per le
ricorrenti.
3

24 marzo 2001, n. 89, in relazione all’art. 6, paragrafo 1 della Convenzione

Per la cassazione di tale decreto Danila Civello e Patrizia Ruiu propongono
ricorso, affidato ad un motivo, successivamente illustrato da memoria.
Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo d’impugnazione parte ricorrente deduce la

violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 legge n. 89/2001 e degli artt. 6, 13
e 41 della Convenzione EDU, nonché l’insufficienza e l’illogicità della
motivazione.
Richiamata la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il giudice di
merito, accertata la violazione del termine ragionevole di durata del processo,
deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogni qual volta non
ricorrano circostanze particolari che lo facciano positivamente escludere,
danno che, a sua volta, non è escluso dall’esito reiettivo della domanda, salvo
l’ipotesi di lite temeraria; ciò premesso, si sostiene che la natura di stretto
diritto e l’assenza di problemi d’istruzione probatoria, così come
l’anticipazione delle spese da parte del difensore, non sono elementi idonei ad
escludere il paterna d’animo connesso alla pendenza del giudizio.
Quanto alla posta in gioco, la sua modestia è idonea a incidere soltanto
sulla misura e non anche sull’esistenza del diritto ad un equo indennizzo.
2. – Il motivo è infondato.
2.1. – Com’è noto, con la legge n. 89/01 il legislatore ha inteso
“nazionalizzare il procedimento per la tutela del diritto all’equa riparazione
quando un giudizio non venga definito entro un termine ragionevnle”, creando
un meccanismo interno tale da garantire al ricorrente una tutela analoga a
quella assicurata dall’istanza internazionale (v. relazione seconda
4

1.

commissione permanente del Senato 3813-A del 16.2.1999; nella
giurisprudenza di questa Corte, cfr. sentenza n. 14286/06). Da qui e dal nuovo
dell’art. 117, primo comma Cost., il corollario per cui il giudice nazionale ha
il dovere d’interpretare la norma interna in senso “convenzionalmente

base della Convenzione e dei suoi Protocolli (come più volte affermato da
questo S.C.: cfr. ex pluribus, Cass. n. 5894/09), secondo “un rinvio mobile
alla norma convenzionale di volta in volta conferente, la quale dà vita e
contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati” dall’art.
117 Cost. (così, Corte cost. n. 349/07).
Dunque, la c.d. legge Pinto, per come concepita dal legislatore e
interpretata dalla giurisprudenza, non attribuisce al soggetto che vi ricorra una
tutela differente o poziore rispetto a quella cui questi avrebbe diritto innanzi al
giudice della Convenzione. L’istanza nazionale ne costituisce soltanto un
diverso luogo processuale d’attuazione, presidiato da regole ermeneutiche
comuni che l’esperienza giuridica interna, sulla base del suo portato valoriale
di riferimento, può solo completare ed arricchire.
2.2. – Il paragrafo 3) dell’art. 35 della Convenzione, relativo alle condizioni
di ricevibilità del ricorso alla Corte di Strasburgo, è stato recentemente
modificato dall’art. 12 del Protocollo addizionale n. 14, adottato il 13.5.2004,
ratificato e reso esecutivo con legge n. 280/05 ed entrato in vigore 1’1.6.2010.
Detto paragrafo risulta così variato: “3) La Corte dichiara irricevibile ogni
ricorso individuale presentato in virtù dell’articolo 34 qualora: a) lo ritenga
incompatibile con le disposizioni della. Convenzione o dei suoi Protocolli, o
manifestamente infondato o abusivo; o b) il ricorrente non abbia subito alcun
5

conforme” ai pliricipi enunciati dalla giurisprudenza della Corte europea sulla

pregiudizio significativo, a meno che il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti
dalla Convenzione e dai suoi Protocolli non esiga l’esame del merito del
ricorso e purché ciò non comporti la reiezione di un ricorso che non sia stato
debitamente esaminato da un tribunale nazionale”.

significativo”, che assume rilievo centrale ai fini dell’applicazione della
norma nella sua nuova formulazione. Nella sentenza 6.3.2012, caso Gagliano
Giorgi c/ Italia, detta Corte ha avuto modo di osservare che “… il nuovo
criterio dell’assenza del pregiudizio importante è stato concepito per
permetterle di trattare rapidamente i ricorsi di carattere futile per concentrarsi
sulla sua missione fondamentale, ossia garantire a livello europeo la tutela
giuridica dei diritti sanciti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli (Stefanescu
c. Romania (dec.), n. 11774/04, 12 aprile 2011, § 35) (…). Derivata dal
principio de minimis non curat praetor, la nuova condizione di ricevibilità
rinvia all’idea che la violazione di un diritto, qualunque sia la sua realtà da un
punto di vista strettamente giuridico, deve raggiungere una soglia minima di
gravità per giustificare un esame da parte di una giurisdizione internazionale
(Korolev c. Russia (dec), n. 25551/05, 1 luglio 2010). La valutazione di
questa soglia è, per sua natura, relativa e dipende dalle circostan;_, del caso di
specie (Korolev, sopra citata e, mutatis mutandis, Soering c. Regno Unito, 7
luglio 1989, § 100, serie A n. 161). Tale valutazione deve tenere conto sia
della percezione soggettiva del ricorrente che della posta in gioco oggettiva
della controversia (…). Visti i criteri derivanti dalla sua giurisprudenza in
materia, la Corte ritiene che, per verificare se la violazione di un diritto
raggiunge la soglia minima di gravità, è opportuno tenere conto in particolare
6

La Corte europea si è già pronunciata sulla nozione di “pregiudizio

degli elementi seguenti: la natura del diritto presumibilmente violato, la
gravità dell’incidenza della violazione dedotta nell’esercizio di un diritto e/o
le eventuali conseguenze della violazione sulla situazione personale del
ricorrente (Giusti c. Italia, n. 13175/03, § 34, 18 ottobre 2011)”.

pregiudizio ai diritti garantiti dalla Convenzione non è giustiziabile, e la presa
d’atto dell’esistenza di controversie di carattere bagatellare di cui la Corte
europea non può darsi carico proprio per meglio adempiere compiti di
maggior spessore (in tal senso il richiamo al brocardo de minimis non curat

praetor elevato al rango di principio selettivo), impone due brevi
considerazioni strettamente connesse tra loro.
La prima è che risulta in tal modo abbandonata la concezione di un danno
inteso come iniuria (o danno evento), vale a dire insito e ineludibile nella
stessa violazione arrecata al diritto e per ciò stesso risarcibile, l’indagine sul
pregiudizio effettivo essendo diretta solo a fissare il giusto indennizzo entro
un campo di variazione dato.
La seconda è che l’innovativa condizione (di ricevibilità del ricorso alla
Corte EDU, di fondatezza della pretesa secondo la legge n. 89/01) deve essere
apprezzata in concreto e non già in astratto, e sulla base di una valutazione
ponderale e di sintesi di elementi oggettivi (natura del diritto in questione e
gravità della violazione dedotta) e soggettivi (riflesso della violazione sulla
situazione personale del ricorrente). Gli uni e gli altri da elaborare al di fuori
dello schema caratteristico dell’individuazione per sussunzione.
Il giudizio che ne scaturisce attinge ad un canone di ragionevolezza
orientata, che non vale propriamente a selezionare le situazioni protette
7

3. – L’affermazione di una soglia minima di gravità al di sotto della quale il

(secondo l’uso tradizionale anglosassone), ma costituisce il criterio empirico
su cui impostare il limite esterno che condiziona l’accesso al rimedio
giurisdizionale.
3.1. – Così come delineata dalla Corte EDU, la soglia di gravità minima

significativo, si apprezza sulla base di parametri che prima facie scontano un
inevitabile tasso di genericità. Questo tuttavia si stempera nel chiaro ed
espresso riferimento alla posta in gioco, da cui non sembra più lecito
prescindere in punto di an debeatur.
Inevitabile è il superamento del principio, che ha trovato costante eco nella
giurisprudenza di questa Corte (a partire da S.U. n. 1399/04; cfr. inoltre, nn.
12937/12, 6655/12, 15268/11, 17682/09, 17404/09, 8714106, 6999/06,
19288/05, 19029/05, 7088/05), per cui l’esiguità della posta in gioco nel
giudizio presupposto non escludeva il riconoscimento dell’equa riparazione,
potendo soltanto giustificare la contrazione della somma liquidabile rispetto
agli standard fissati dalla Corte europea (peraltro modificabili in eccesso nei
casi di violazioni di particolare rilievo: cfr. Cass. nn. 23048/07 e 26200/06).
3.1.1. – Recenti sentenze di questa Corte già preannunciano un’inversione
di rotta rispetto a tale indirizzo consolidato, cui non appare più possibile dare
continuità per la modifica del quadro di riferimento della Convenzione e della
giurisprudenza della Corte EDU.
Operando sulla praesumptio hominis della sofferenza normalmente
provocata dalla durata del processo (ma in realtà già ponendosi in linea con la
necessità di escludere la tutela per le violazioni non connotate da un minimo
di gravità), Cass. n. 5317/13 afferma che l’esistenza del danno non
8

entro cui il pregiudizio derivante dalla violazione del diritto nuò ritenersi

patrimoniale può presumersi solo ove quest’ultimo superi in modo
significativo la sua durata ragionevole, non anche quando esso trovi
definizione a ridosso di tale termine, superandolo di pochi mesi (in quel caso,
cinque). In questa evenienza, si afferma, appare logico presumere, in

contrarie scaturenti in primo luogo d’importanza della posta in gioco, che
un lasso di tempo così breve di eccedenza non possa provocare a carico della
parte sofferenze e paterni d’animo apprezzabili e, quindi, autonomamente
enucleabili come danno evento.
Ancor più esplicita e diretta, Cass. n. 14777/13 afferma che in base al
principio de minimis non curat praetor recepito dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo (con la citata sentenza del 6 marzo 2012, Gagliano Giorgi c. Italia),
non è indennizzabile la violazione che non raggiunga una soglia minima di
gravità (non conseguita, in quel caso, avendo il ritardo nello svolgimento del
processo penale consentito all’imputato di ottenere l’estinzione dei reati
edilizi per sanateria) (nello stesso senso, cfr. Cass. n. 2843/13).
Ed ancora, il riferimento alla nuova condizione di ricevibilità del ricorso in
ambito CEDU è espressamente trattato in Cass. n. 12937/12, che investita
della sola questione riguardante l’ammontare dell’indennizzo liquidato, ha
affermato che il giudice, nel determinare la quantificazione del danno non
patrimoniale subito per ogni anno di ritardo, può scendere al di sotto del
livello di “soglia minima” là dove, in considerazione del carattere bagatellare
o irrisorio della pretesa patrimoniale azionata nel processo presupposto,
parametrata anche sulla condizione sociale e personale del richiedente,
l’accoglimento della pretesa azionata renderebbe il risarcimento del danno
9

relazione alla natura del danno stesso e sempre che non risultino indicazioni

non patrimoniale del tutto sproporzionato rispetto alla rea!e entità del
pregiudizio sofferto.
3.1.2. – La necessità di porre un argine alla deriva di utilizzazioni della
legge n. 89/01 prossime (se non al vero e proprio abuso del processo,

formalismo delle garanzie fine a se stesso e sostanzialmente estraneo allo
scopo riparatorio perseguito della Convenzione, si coglie anche in altre
pronunce di questa Corte. Sebbene relative al diverso problema della
riferibilità iure proprio o iure hereditario del diritto all’equo indennizzo nelle
ipotesi di successione nel processo, in esse si afferma che il sistema
sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla legge
n. 89 del 2001 non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico
dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di
chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante
indennizzi modulabili in relazione al concreto paterna subito, il quale
presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla sua rapida
conclusione (Cass. nn. 13803/11, 23416/09 e 2983/08).
In altri termini, non c’è violazione che possa giustificare un eccesso di
ristoro tramite una logica punitiva, il cui unico effetto sarebbe quello di
consentire, sotto l’egida della (ri)affermazione del diritto leso, una
locupletazione a danno della comunità statale.
A conclusioni non dissimili, del resto, conduce il diritto nazionale, ove si
consideri l’irrisarcibilità dei danni futili, irrisori e che non eccedano la soglia
minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale di cui all’art. 2
Cost. (cfr. Cass. S.U. n. 26972/08).
10

ravvisato in materia nei casi esaminati da Cass. nn. 10634/10 e 9962/11) ad un

3.2. – Non pare dubbio, pertanto, che nell’applicazione della legge n. 89/01
occorra reimpostare la verifica del danno derivante dalla durata eccedente del
processo, alla luce delle novità introdotte dal Protocollo aggiuntivo n. 14 della
Convenzione.

un processo, in quanto il pregiudizio sofferto raggiunga nel caso concreto una
soglia minima di gravità, al di sotto della quale il patema non è più
oggettivabile e meritevole di tutela. Per quanto concettualmente distinguibili,
presunzione di danno e gravità in concreto della violazione incrociano il
medesimo ambito di apprezzamento, atteso che presumere il primo ha senso
logico soltanto se si sopprime la rilevanza della seconda e viceversa. Nei casi
marginali, la posizione centrale che la presunzione di danno ha assunto a
partire dalle note pronunce nn. 1338, 1339 e 1340/04 rese a S.U., deve di
necessità cedere il passo all’accertamento diretto e specifico dell esistenza di
un pregiudizio significativo, sicché il percorso rivelatore ne risulta in certo
qual modo invertito. Valutata la posta in gioco nel giudizio presupposto e la
gravità della violazione in rapporto alla situazione soggettiva della parte, è la
stessa presunzione di danno a non avere più un reale spazio d’applicazione,
essendo superata da un’attività di riscontro positivo delle caratteristiche del
caso singolo.
Escluso il danno evento (la cui riparazione è regola che soggiace solo alle
proprie eccezioni), lo spostamento dei baricentro dell’indagine comporta che
l’esistenza di una soglia minima di gravità al di sotto della quale il danno non
è indennizzabile può apprezzarsi sotto un duplice profilo, quello della
violazione e quello delle sue conseguenze. Pertanto, dall’ambito di tutela della
11

In tanto può presumersi come normale l’afflizione derivante dalla durata di

legge n. 89/01 vanno espunte sia le violazioni minime del termine di durata
ragionevole, di per sé non significative; sia quelle di maggior estensione
temporale ma riferibili a giudizi presupposti di carattere bagatellare, in cui
esigua è la posta in gioco e trascurabili i rischi sostanziali e processuali

4. – Nel caso in esame la Corte territoriale ha valutato tutti i profili
d’indagine ritenuti rilevanti dalla Corte EDU. Ha osservato, imitti, che nel
giudizio presupposto la posta in gioco era di minima entità, poiché riguardava
una pretesa economica da valere una tantum, non incidente né sulla carriera,
né sulle condizioni del lavoro dipendente svolto dal ricorrente; che detta
causa, non richiedendo istruzione probatoria, non aveva imposto agli attori
l’affanno di ricercare documenti, d’indicare testi e di intavolare più sessioni
con il difensore, il quale, per di più, si era dichiarato antistatario; che i
ricorrenti non avevano notificato la decisione di primo grado (per loro
favorevole) alla controparte, concedeiblole l’agio d’impugnarla nel termine
lungo.
Tale decisione si conforma all’interpretazione convenzionalmente orientata
dell’art. 2 legge n. 89/01 ed esclude, in buona sostanza, qualsivoglia reale
pregiudizio a danno degli odierni ricorrenti data la scarsissima rilevanza della
posta in gioco. E a ciò perviene svolgendo sui fatti decisivi una motivazione
congrua ed esente da vizi logico-giuridici, che si sottrae, pertanto, al sindacato
di questa Corte.
5. – Il ricorso va dunque respinto.

12

connessi.

6. – La relativa novità della questione costituisce eccezionale motivo per
compensare integralmente fra le parti le spese del presente giudizio, ai sensi
dell’art. 92 c.p.c. nuovo testo.

P. Q. M.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile
della Corte Suprema di Cassazione, il 5.11.2013.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

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