Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8158 del 24/04/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/04/2020, (ud. 05/06/2019, dep. 24/04/2020), n.8158

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17337/2017 proposto da:

TRENITALIA S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA

TAMAJO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 7276/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 05/01/2017 r.g.n. 6747/2011.

Fatto

RILEVATO

che la Corte territoriale di Napoli, con sentenza pubblicata in data 5.1.2017, accogliendo l’appello interposto da S.G., nei confronti di Trenitalia S.p.A., avverso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata resa il 26.1.2011, in riforma della predetta pronunzia, ha dichiarato il diritto dello S. – formalmente inquadrato nel profilo professionale di Operatore Specializzato, livello F – all’inquadramento nel profilo professionale di Tecnico operativo, figura professionale di Tecnico della manutenzione, livello E, del CCNL di settore, a decorrere dal giugno 2007 ed ha condannato Trenitalia S.p.A. alla ricostruzione della carriera del dipendente ed al pagamento, in favore dello stesso, delle differenze retributive maturate, da quantificare in separato giudizio, oltre al pagamento delle spese di lite dei due gradi di merito; che per la cassazione della sentenza ricorre Trenitalia S.p.A. articolando due motivi;

che S.G. è rimasto intimato;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si deduce: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2103,1362,1363,1364 c.c. e dell’art. 21 CCNL delle Attività Ferroviarie 16.4.2003, in relazione alla affermata riconducibilità delle mansioni espletate dallo S. nel superiore livello di inquadramento E Tecnici – figura professionale di “Tecnico della Manutenzione”, censurandosi, nella sostanza, il fatto che i giudici di merito avrebbero omesso il procedimento logico-giuridico c.d. trifasico, ritenuto necessario, alla luce del consolidato orientamento della Suprema Corte, per il corretto inquadramento del lavoratore; non avrebbero, cioè, accertato quali attività lavorative avesse svolto, in concreto, il dipendente, non avrebbero proceduto all’individuazione delle qualifiche previste dal CCNL ed infine, non avrebbero operato il raffronto tra il risultato della prima indagine e le declaratorie contrattuali individuate nella seconda; in tal modo, a parere della società ricorrente, i giudici di seconda istanza avrebbero omesso di esaminare le mansioni effettivamente svolte da S.G., violando, altresì, il CCNL di categoria ed arrivando a riconoscere lo svolgimento, da parte del medesimo, delle mansioni rientranti nel profilo contrattuale superiore “anzichè di quelle proprie del profilo” e senza considerare le classificazioni del personale in “Livelli”, “Profili” e “Figure” e delle singole declaratorie esistenti per ciascuno di essi; pertanto, la Corte territoriale avrebbe accolto la domanda del lavoratore, non perchè questi abbia dimostrato di avere in concreto svolto le mansioni proprie dell’inquadramento del profilo professionale superiore di Tecnico di manutenzione, livello E del CCNL 2003 (e, cioè, di essere in possesso delle abilitazioni previste e/o di qualificate competenze tecniche per operare nell’ambito delle manutenzioni dei rotabili, delle infrastrutture e degli impianti, della circolazione e della condotta dei mezzi di trazione, così come espressamente previsto dall’art. 21 del CCNL del 2003), ma esclusivamente sulla base di elementi indiziari e di una indagine parziale delle declaratorie, senza un adeguato esame delle mansioni di fatto svolte dal dipendente; 2) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio inerente alla “recente” assegnazione dello S. al Reparto “Centro Freni” ed alla sua precedente adibizione ad altro reparto, per non avere i giudici di seconda istanza valutato che il dipendente era stato assegnato al Reparto Centro Freni soltanto a decorrere dall’1.1.2007, mentre, in precedenza, lo stesso era stato addetto al Reparto Falegnami; e, dunque, a parere della società ricorrente, se la Corte di merito avesse considerato il breve periodo di assegnazione al Reparto Centro Freni, prima della rivendicazione del superiore inquadramento (con decorrenza dal giugno 2007), avrebbe necessariamente concluso che lo S. non fosse in possesso del “qualificato livello di professionalità e competenze” richiesto per il superiore inquadramento;

che il primo motivo non è fondato: ed invero, la Corte di Appello ha, innanzitutto, proceduto ad una rigorosa esegesi delle disposizioni del CCNL di categoria del 2003 e delle declaratorie dei due livelli F (nel quale S. era formalmente inquadrato), ed E (il livello dallo stesso rivendicato); successivamente, ha comparato i predetti livelli (v., in particolare, le pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata) per stabilire in quale dei due fossero da inquadrare le mansioni effettivamente svolte dal dipendente a partire dal mese di giugno del 2007, avvalendosi correttamente, in tale percorso interpretativo, dei canoni dettati dagli artt. 1362 c.c. e segg.; analizzando le mansioni in concreto (cfr., ex plurimis, Cass. n. 19725/2017) svolte da S., una volta escussi i testi addotti dalle parti ed esaminata la documentazione versata in atti;

che, pertanto, nel caso di specie, i giudici di seconda istanza, attraverso un percorso motivazionale del tutto condivisibile sotto il profilo logico-giuridico, sono pervenuti alla decisione oggetto del giudizio di legittimità uniformandosi ai consolidati arresti giurisprudenziali di questa Suprema Corte, alla stregua dei quali il procedimento logico-giuridico che determina il corretto inquadramento di un lavoratore subordinato si compone, appunto, di tre fasi (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 9414/2018; 17163/2016): l’accertamento in fatto dell’attività lavorativa svolta in concreto; l’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal CCNL di categoria; il raffronto dei risultati delle suddette fasi;

che, all’esito, motivatamente e condivisibilmente, la Corte distrettuale ha reputato che fosse rimasto delibato – anche, e soprattutto, in considerazione del fatto che “il macchinario utilizzato dal ricorrente sin dal giugno 2007 fosse un modello di elevata tecnologia” – che l’attività svolta, in concreto, da S. avesse “una connotazione squisitamente tecnica”, in quanto presupponeva che il lavoratore fosse in possesso di cognizioni tecniche avanzate, dovendo procedere allo smontaggio del macchinario, alla verifica ed all’avvio dei cicli di prova, all’esito dei quali comunicava il risultato, positivo o negativo, della revisione al capo-tecnico (inquadrato nel livello D), il quale ultimo adottava disposizioni relative all’eventuale rottamazione del pezzo che non aveva superato la revisione (cfr. pagg. 4-6 della sentenza); per la qual cosa, i giudici di seconda istanza hanno correttamente reputato che le descritte competenze legittimassero l’inquadramento nel superiore livello E, cui appartengono le figure professionali “chiamate all’uso di tecnologie complesse, in ragione del possesso di un qualificato livello di professionalità e competenze tecniche”; al riguardo, è altresì da osservare che, a fronte dei copiosi elementi delibatori offerti dal lavoratore (sui quali è motivatamente fondata la sentenza oggetto del giudizio di legittimità), la società non ha fornito alcuna prova a sostegno dei propri assunti al fine di confutare la pretesa del dipendente;

che il secondo motivo è inammissibile, in quanto, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, il 5.1.2017, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma, nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152 del 2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare (posto, peraltro, che la circostanza – della cui mancata valutazione si duole la ricorrente – del momento a partire dal quale il dipendente era stato assegnato al Reparto “Centro Freni” è stata adeguatamente esaminata dalla Corte di merito); nè, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare” in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”. E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale dei giudici di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015), che, nella specie, come innanzi osservato, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata;

che, per le considerazioni in precedenza svolte, il ricorso va rigettato; che nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio, non avendo lo S. svolto attività difensiva;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 5 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 aprile 2020

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