Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8158 del 22/03/2019

Cassazione civile sez. trib., 22/03/2019, (ud. 05/02/2019, dep. 22/03/2019), n.8158

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7088/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, in persona del Direttore p.t., con domicilio

eletto presso gli uffici della predetta Avvocatura, in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

GIOMOR s.r.l. in liquidazione, in persona del legale rappresentante

p.t., domiciliata in Mestre, via Torino, n. 125/4;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

depositata il 12 novembre 2013, n. 91/1/13.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 febbraio

2019 dal Cons. Salvatore Leuzzi.

Fatto

RILEVATO

che:

– L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio del 12 novembre 2013, di rigetto dell’appello da essa proposto nei confronti della sentenza di primo grado che, accogliendo il ricorso di Giomor s.r.l. in liquidazione, aveva annullato il provvedimento di diniego erariale dell’istanza di rimborso del minore dei crediti IVA esposti dalla società negli anni 2007-2009, fondato sull’affermata inoperatività della stessa nel triennio.

Il ricorso per cassazione dell’Agenzia è affidato a due motivi. La contribuente è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 724 del 1994, art. 30 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, avendo la Commissione Tributaria Regionale trascurato di considerare che lo stato di liquidazione della società non valeva ad escludere l’applicazione della disciplina dettata per le società “non operative” dall’art. 30 anzidetto e che la contribuente aveva omesso di presentare il c.d. “interpello disapplicativo”, benchè lo stesso costituisse l’unico rimedio funzionale a dimostrare la sussistenza di situazioni obiettive tali da determinare l’impossibilità di conseguimento di un pur minimo ammontare di ricavi;

– Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 30, “anche in combinato con l’art. 2697 c.c.”, avendo i giudici d’appello erroneamente ritenuto che lo stato di liquidazione formale costituisse condizione idonea ad escludere la società dall’ambito della disciplina delle c.d. “società di comodo”.

– I due motivi, intimamente connessi, si prestano ad una trattazione unitaria; essi sono infondati e vanno respinti.

– La disciplina fiscale delle società non operative è stata introdotta nell’ordinamento italiano dalla L. n. 724 del 1994, art. 30.

– La disposizione mira, con ogni evidenza, a scoraggiare l’utilizzo strumentale della forma societaria per usufruire di indebiti vantaggi fiscali (il fenomeno è quello dell’intestazione alla società determinati beni, mobili e immobili, automobili di lusso, imbarcazioni, aeromobili, ecc., che, in realtà, permangono nella disponibilità dei soci o dei loro familiari); di norma, il vantaggio fiscale indebito si compendia nella detrazione dell’IVA assolta sull’acquisto dei predetti beni, nonchè nella deduzione del relativo costo dal reddito d’impresa.

– La disciplina in essa contemplata (nel testo in vigore dal 1.1.2008, applicabile ratione temporis) non trova, peraltro, applicazione nei confronti delle società per le quali ricorra una delle cause di esclusione espressamente indicate al comma 1, ovvero che ottengano dal Direttore regionale un parere favorevole in ordine a specifica istanza di disapplicazione, presentata a norma del comma 4-bis, in relazione ad “oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonchè del reddito (…) ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto”.

– Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, l’interpello non assurge, neppure in linea astratta, ad imprescindibile presupposto della disapplicazione.

– Questa Corte ha infatti già avuto occasione di chiarire che, in materia di IVA, in virtù del principio fondamentale di neutralità, la società ritenuta non operativa può esercitare il diritto alla detrazione ed ottenere il conseguente rimborso dell’eccedenza di IVA detraibile quand’anche non abbia presentato il c.d. “interpello disapplicativo” all’uopo previsto, salvo che i costi siano fittizi e sia, perciò, configurabile una fattispecie fraudolenta o comunque effettivamente elusiva (v. Cass. n. 6200 del 2015; Cass. 18807 del 2017).

– La prova della sussistenza del diritto può essere, dunque, fornita anche non solo con la procedura prevista dal combinato disposto dalla L. n. 724 del 1994, art. 30 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, ma anche in sede processuale (v. Cass. n. 18807 del 2017 cit.).

– Nella specie, la CTR, pur richiamando un principio giurisprudenziale non applicabile alla disciplina vigente ratione temporis, ha accertato in concreto l’esistenza di un’oggettiva situazione riconducibile al disposto dall’art. 30 cit., comma 4 bis, rilevando che, stante lo stato di liquidazione, “i ricavi effettivi di GIOMOR non potrebbero mai essere inferiori ai ricavi presunti, posto che questi sono pari a zero”.

– Tale accertamento avrebbe dovuto essere contrastato dall’Agenzia non già attraverso la denuncia di un vizio di violazione di legge, bensì mediante l’indicazione del fatto controverso e decisivo, non esaminato dal giudice d’appello, atto a smentirlo. Sul punto, invece, l’Ufficio si è limitato a dedurre, in via generica e dubitativa, e dunque in carenza del requisito della specificità richiesto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, la ricorrenza di circostanze (durata della liquidazione, inesattezze contabili, bilanci non approvati dai quali si evincerebbe la presenza di attività o beni da sottoporre al cd. test di operatività) “potenzialmente” sintomatiche della natura “non operativa” di Giomor (ovvero contrastanti con l’effettivo suo stato di liquidazione).

Il ricorso va, in definitiva, rigettato.

Poichè Giomor s.r.l. non ha svolto attività difensiva, non v’è luogo alla liquidazione delle spese del giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 5 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2019

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