Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8155 del 11/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 11/04/2011, (ud. 22/12/2010, dep. 11/04/2011), n.8155

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

LA SICUREZZA SRL in persona dell’Amministratore delegato e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

VITTORIA COLONNA 32, presso lo studio DI NAPOLI, rappresentato e

difeso dall’avvocato PASTORE CARBONE NICOLA, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI

(OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 31/2005 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 14/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/12/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO DIDOMENICO;

udito per il resistente l’Avvocato GTACOBEE, che si riporta;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per l’inammissibilità

o comunque rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La s.r.l. “La Sicurezza” ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Regionale della Campania dep. il 14/02/2005, che aveva, accogliendo l’appello dello Ufficio, riformato la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli che aveva accolto il ricorso della medesima avverso la cartella di pagamento per iva per gli anni dal 1989 al 1993.

La CTR aveva ritenuto che l’esenzione dall’iva spettava solo per le prestazioni effettuate autonomamente dalle guardie giurate e non dagli istituti di vigilanza.

L’Agenzia delle Entrate in persona del Direttore pro tempore si è costituita con controricorso.

La causa veniva rimessa alla decisione in pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

E’ di preliminare esame il rilievo di cui al controricorso di inammissibilità, che si assume rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, del ricorso in primo grado per non essere stata spedita copia del ricorso all’Ente impositore.

La censura è inammissibile in quanto l’Ufficio, soccombente in primo grado, avrebbe dovuto sul punto gravare di appello incidentale la sentenza, con la conseguenza che sul medesimo s’è formato giudicato, divenendo irrilevante l’affermata rilevabilità d’ufficio della relativa questione.

Col primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c. come richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, in quanto la CTR avrebbe dovuto ritenere improponibile l’appello per acquiescenza avendo l’Ufficio provveduto a sgravio.

Il motivo è infondato.

Questa Corte(Cass. n. 2826/2008) ha chiarito che l’acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329 c.p.c. “consiste nell’accettazione della sentenza, ovverosia nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita:

in quest’ultimo caso, l’acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l’interessato abbia posto in essere atti da quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione. Ne consegue che la spontanea esecuzione della pronunzia di primo grado favorevole al contribuente da parte della P.A., anche quando la riserva d’impugnazione non venga dalla medesima a quest’ultimo resa nota, non comporta acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 329 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 49, trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione”(Cass. 27082/06).

Nel caso in esame, pur nella non piena autosufficienza del ricorso, la circostanza evidenziata dalla CTR, non censurata sotto alcun profilo di vizio motivazionale, che lo sgravio, pur nella assenza di riserve, era stato effettuato al fine di ovviare al “commesso errore nella iscrizione a ruolo” lo priva della univocità necessaria perchè possa ritenersi espressione della volontà di prestare acquiescenza alla sentenza, apparendo invece atto neutro a tal fine, proprio perchè esprimente la esclusiva volontà di correggere un errore dell’Ufficio.

Col secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto e vizio motivazionale in riferimento al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, n. 26 poi abrogato e R.D. 18 giugno 1931, n. 773, artt. 33 e segg. e al R.D.L. n. 1952 del 1935 del R.D.L. n. 2144 del 1936.

La questione relativa all’applicabilità anche agli istituti di vigilanza privati della ipotesi di esenzione di cui all’art. 10, comma 1, n. 26 citata, risulta da questa Corte già affrontata e risolta con giurisprudenza oramai consolidata (Cass. n. 1039/2005, n. 19696/2004, n. 1998/2003, n. 4254/2002, n. 781/2000), sulla base di ampie e assolutamente condivisibili argomentazioni, affermandosi che l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto prevista in materia di servizi di vigilanza deve intendersi limitata alle sole prestazioni rese direttamente dalle guardie particolari giurate ai privati ed agli enti, in qualità di lavoratori autonomi, mentre non spetta relativamente alle prestazioni fornite, quand’anche a mezzo di guardie giurate, dagli istituti di vigilanza privata previsti dal R.D.L. 12. novembre 1936 n. 2144 (v. Cass. 1/12/1999 – 8/6/2000, n. 7811; cfr. Cass. 8/1 – 25/3/2002, n. 4254; Cass. 18/6/2002 – 11/2/2003 n. 1998).

Come dalla stessa Corte già chiarito, l’esposto orientamento non può ritenersi contraddetto dalle risultanze della causa C 283/99, conclusasi dinanzi alla Corte di giustizia Europea con sentenza del 31.5.2001, posto che quella decisione, pur dando atto dell’affermazione resa nel processo dal rappresentante del Governo italiano, secondo la quale “le guardie particolari giurate non possono mai esercitare le loro attività come lavoratori autonomi, ma…devono sempre essere lavoratori dipendenti” (la qual cosa varrebbe a rendere inapplicabile l’esenzione, se la relativa norma fosse interpretata nei sensi innanzi indicati), la disattese e, nel condannare il nostro Paese per violazione del principio di libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione, espressamente confermò che in Italia, “si possono impiegare come guardie particolari giurate solo cittadini italiani muniti di apposita licenza”, così chiamati direttamente a svolgere attività di sicurezza al fianco delle imprese di vigilanza privata aventi nazionalità italiana, contrariamente a quanto anche nel presente giudizio sostenuto dalla società (così Cass. 11.2.2003, n. 1998).

Nè l’interpretazione della norma sostenuta dal giudice di legittimità giustificherebbe dubbi di costituzionalità soprattutto per quel che riguarda il richiamo agli artt. 41 e 53 Cost..

Ed infatti il differente e più gravoso trattamento fiscale riservato dall’ordinamento agli istituti di vigilanza, rispetto a quanto previsto per lo svolgimento del medesimo servizio da parte delle guardie particolari giurate, ampiamente si giustifica sotto il profilo della ragionevolezza con la necessaria presenza, nel primo caso, di un’organizzazione di apprezzabile dimensione economica, per ciò stesso proiettata alla produzione di un servizio che anche in termini di fatturato è legittimo presumere ben più rilevante di quanto ci si possa attendere nel diverso caso di chi la medesima attività eserciti in forma autonoma e individuale. Il tratto distintivo che caratterizza la prima ipotesi rispetto alla seconda, dunque, lascia emergere un profilo imprenditoriale dell’iniziativa che correttamente il legislatore ha ritenuto meritevole di autonoma valutazione ai fini tributari, e che certamente vale ad escludere la temuta violazione del principio di eguaglianza, senza affatto tradursi in un irragionevole ostacolo all’iniziativa economica privata.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Ricorrono giusti motivi, per le questioni trattate, per compensare le spese del giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Tributaria, il 22 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2011

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