Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8151 del 22/03/2019

Cassazione civile sez. trib., 22/03/2019, (ud. 15/01/2019, dep. 22/03/2019), n.8151

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 14167-2015 proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentati e difesi dall’Avvocatura

Generale dello Stato con domicilio eletto in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12;

– ricorrenti –

contro

P.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Davide Gallotti e

dall’Avv. Emanuela Cusmani elettivamente domiciliato in Roma Via di

Sant’Elena n. 929;

– Controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

n. 238/21/12 depositata il 26/11/2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15/01/2019 dal

Consigliere Dott. Pandolfi Catena;

uditi l’Avvocato dello Stato Avv. Gentili Paolo e per la parte

privata l’avv. Emanuela Cusmani;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott.ssa Zeno Immacolata che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 238/21/2012 della CTR Lazio che aveva dichiarato inammissibile l’appello dello stesso Ufficio della sentenza della CTP di Roma di accoglimento del ricorso del contribuente P.L., contro il silenzio rifiuto dell’istanza di rimborso di quanto versato a titolo di IRPEF per l’anno 2003.

Va precisato che il sig. P., dipendente della Telecom spa, aveva percepito nel corso del 2002 Euro 78.337,86 riconosciutegli dal Giudice del lavoro di Roma a titolo di differenze retributive, risarcimento per danno da dequalificazione e per danno biologico. La stessa società gli aveva, nel corso dello stesso anno, corrisposto l’ulteriore somma di Euro 80.655,00 per emolumenti arretrati.

L’Ufficio finanziario, con riferimento alle somme percepite, aveva riliquidato l’IRPEF dovuto dal sig. P. in Euro 19.558,84 su cui era stata effettuata la ritenuta dal sostituto d’imposta, residuando una differenza a saldo di Euro 5.040,84 che il contribuente versava in data 21 novembre 2006.

Il sig. P., successivamente, ritenendo che l’imposta fosse stata applicata dall’Agenzia delle Entrate sulle somme percepite a titolo di risarcimento danni, in quanto tali non assoggettabili, ne aveva chiesto il rimborso senza esito. Proponeva pertanto ricorso avverso il diniego tacito sull’istanza, che trovava parziale accoglimento da parte della CTP di Roma. L’Ufficio appellava la decisione alla CTR che, come detto, dichiarava inammissibile il gravame.

Il ricorso conseguentemente proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso tale ultima pronuncia è articolato su due motivi.

Con il primo, lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53.

Con il secondo, violazione e falsa applicazione del D.P.R. 20 settembre 1973, n. 602, art. 38, comma 2.

Per tali motivi chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata con conseguente pronuncia e rifusione delle spese.

Il sig. P.L. ha presentato controricorso nonchè memoria ex art. 378 c.p.c., eccependo l’inammissibilità del ricorso per mancanza della procura in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 5; come pure per violazione sia del principio di autosufficienza che di quello di specificità dei motivi. Chiedeva nel merito la conferma della impugnata sentenza e il rigetto del gravame.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

In primo luogo non trova fondamento l’eccezione del controricorrente relativa alla mancanza della procura. Va al riguardo conferma la giurisprudenza di questa Corte per cui le agenzie fiscali possono avvalersi per la loro rappresentanza in giudizio dell’Avvocatura dello Stato senza che occorra a tal fine mandato alle liti o procura speciale, restando i rapporti tra Direttore dell’Agenzia e Avvocatura erariale in ambito meramente interno (Cass. Sez.5 Sent. n. 13156 del 11/06/2014; Sez. 5 Sent. n. 18377/2015).

Nè è fondata l’eccezione di inammissibilità per l’asserita violazione del principio di autosufficienza. Nel ricorso di legittimità, infatti, sono stati riportati, sia pure in modo riassuntivo, ma in misura esauriente, i motivi di appello dell’Ufficio alla CTR del Lazio.

In particolare, il ricorso in esame esplicita che nell’atto di appello era stato lamentato, come primo motivo, la parziale tardività dell’istanza di rimborso delle ritenute subite nel 2003 sul presupposto che era stata presentata in data 7 dicembre 2009 e quindi oltre il termine di 48 mesi previsti dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, a far tempo dalla data della ritenuta. Decadenza – precisa l’Ufficio – che ben poteva essere eccepita per la prima volta anche in appello (come avvenuto), perchè rilevabile in ogni stato e grado del giudizio in quanto prevista in favore dell’amministrazione finanziaria e comunque rilevabile anche d’ufficio.

Dalla lettura del ricorso di legittimità risulta che anche l’altro motivo d’appello è sufficientemente e comprensibilmente riassunto. L’Ufficio appellante aveva con esso lamentato che la Commissione di prima istanza non avesse approfondito adeguatamente i dati fattuali della controversia, non avvedendosi che la tassazione non aveva riguardato, come erroneamente ritenuto dal contribuente, le somme percepite a titolo di risarcimento danni, ma quelle corrisposte al dipendente al diverso titolo di “compensi arretrati”.

Dalle considerazioni che precedono è dunque ragionevole ritenere che la esposizione dei fatti e i riferimenti in forma riassuntiva agli atti della fase di merito, consentano alla Corte, dalla sola lettura del ricorso per cassazione, di avere piena conoscenza dei motivi di appello che erano stati sottoposti al vaglio della Commissione territoriale.

Le stesse ragioni escludono la fondatezza dell’eccezione di difetto di specificità mossa anche ai motivi del ricorso di legittimità.

Al riguardo, va ribadita la giurisprudenza di questa Corte laddove ha affermato la necessità che i motivi del ricorso per cassazione debbano possedere una precisa enunciazione di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicchè è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata (Cass. Sez.6-5-Ordinanza n. 11603 del 14/05/2018).

Tale parametro è rispettato dal presente ricorso che non contiene una critica generica alla decisione impugnata, ma enuncia specifiche doglianze, riconducibili alle ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1.

Ed infatti con il primo motivo l’Agenzia ha contestato la decisione della C.T.R. di inammissibilità dell’appello, ravvisandovi falsa applicazione del D.Lgs n. 546 del 1992, art. 53. Motivo di censura da ritenere fondato.

Infatti, va ribadita la giurisprudenza di questa Corte in base alla quale, in tema di contenzioso tributario, la mancanza o la assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione le quali, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, determinano l’inammissibilità del ricorso in appello, non sono ravvisabili qualora il gravame, benchè formulato in forma sintetica, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi essere ricavati, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni (Cass. Sez. 6-5 Ordinanza n. 20379 del 24/08/2017).

Il giudizio della CTR si è discostato da tale criterio, fortemente limitativo del vizio di difetto di specificità, riservato a casi estremi di assoluta indecifrabilità del vizio lamentato. L’atto d’appello rendeva, invece, palese uno specifico motivo di doglianza quale la mancata declaratoria da parte della CTP di parziale decadenza del contribuente dal diritto al rimborso.

L’Ufficio ha poi enunciato come secondo motivo, in modo altrettanto specifico, la violazione o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, comma 2, da parte della CTR, per non aver rilevato d’ufficio la parziale decadenza del contribuente dal diritto di chiedere il rimborso delle ritenute IRPEF subite nel corso del 2003.

Al riguardo, il controricorrente sostiene l’inammissibilità di tale motivo perchè la declaratoria di parziale decadenza era stata avanzata dall’Ufficio per la prima volta in appello.

Per contro, in base giurisprudenza costante di questa Corte, l’eccezione di decadenza del contribuente dal diritto al rimborso per tardività dell’istanza, in quanto posta a favore dell’Amministrazione finanziaria, è deducibile per la prima volta in appello, salvo che sul punto si sia già formato giudicato interno. (ex multis Cass. Sez.5 Sezione n. 1605 del 25/01/2008; Cass. Sez.5 Sent. n. 791 del 14/01/2011).

L’eccezione è dunque infondata.

Con il motivo in esame l’Agenzia sostiene che la Commissione territoriale, oltre ad aver errato nel ritenere inammissibile l’appello, aveva anche errato nel non verificare d’ufficio l’intervenuta decadenza ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 38, comma 2, per il decorso del termine di quarantotto mesi (entro cui presentare l’istanza di rimborso) a far tempo dalla data della ritenuta.

Al riguardo, va ribadito che la richiesta di rimborso delle ritenute per IRPEF effettuate, come sostituto d’imposta, dal datore di lavoro sulle somme corrisposte a vario titolo al dipendente, espressamente prevista dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 2, deve essere presentata nel termine di decadenza decorrente dalla data in cui la ritenuta è stata operata. Tali ritenute infatti non rientrano nella disciplina delle ritenute dirette di cui allo stesso D.P.R., art. 37, perchè tale ultima nozione implica una sorta di compensazione che lo Stato opera fra credito fiscale e concordato e, pertanto, riguarda esclusivamente le amministrazioni statali (Cass. Sez. 5 Sent. n. 8789 del 05/04/2017).

E’ dunque errato quanto sostiene il contribuente secondo cui il termine di decadenza decorra dalla data del “versamento” posto che, nella specie, la eccepita tardività dell’istanza aveva determinato la parziale decadenza dal diritto al rimborso non di imposte versate ma di somme oggetto di ritenuta, operata dal datore di lavoro quale sostituto d’imposta. Tal che il termine non poteva che decorrere dalla data in cui la ritenuta era stata applicata.

Infine, va ricordato che i termini suddetti sono fissati per finalità di interesse pubblico e di essi non può disporre neanche l’amministrazione finanziaria, per cui la decadenza può essere rilevata di ufficio, purchè emerga dagli elementi comunque acquisiti agli atti del giudizio (Cass. Sent. n. 5862 del 08/03/2013; Cass. Sez.6-5 Ordinanza n. 22399 del 26/09/2017).

Conseguentemente, nel caso in esame, la CTR, se non si fosse spogliata del processo con la declaratoria di inammissibilità del ricorso erariale, ben avrebbe potuto procedere d’ufficio alla verifica del decorso del termine decadenziale sulla base degli elementi acquisiti al giudizio a seguito del motivo dell’appello dell’Agenzia delle Entrate con cui ha introdotto tale tema d’indagine, coltivato anche nel giudizio di legittimità.

Da quanto sopra discende che il ricorso va accolto con pronuncia sostitutiva della Corte anche in punto di decadenza.

La sentenza impugnata va cassata con rinvio alla stessa CTR in diversa composizione per il riesame alla luce dei principi soprarichiamati ed anche per la definizione delle spese.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione e cassa la sentenza con rinvio alla CTR Lazio in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2019

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