Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 815 del 16/01/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 815 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

equa riparazione

SENTENZA
sentenza con motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:

SOFFRE’ Domenico, rappresentato e difeso da se medesimo, e
SOFFRE’ Fulvia, rappresentata e difesa dall’Avvocato
Domenico Soffrè per procura speciale a margine del ricorso,
elettivamente domiciliati in Roma, via Principessa Clotilde
n. 2, presso lo studio dell’Avvocato Angelo Clarizia;
– ricorrenti contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro
tempore, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato
e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui
uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per
legge;

022.900

Data pubblicazione: 16/01/2014

– controricorrente avverso il decreto della Corte d’appello di Catanzaro
depositato in data 3 maggio 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Stefano Petitti;
sentito l’Avvocato Luigi Cangemi con delega;
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Luigi Salvato, che ha chiesto il rigetto del
ricorso.
Ritenuto che, con ricorso depositato in data 11 maggio
2011 presso la Corte d’appello di Catanzaro, Soffrè
Domenico e Soffrè Fulvia chiedevano la condanna del
Ministero della giustizia al pagamento del danno non
patrimoniale derivato dalla irragionevole durata di un
giudizio iniziato dinnanzi al Tribunale di Palmi il 20
febbraio 1985 e conclusosi in cassazione con sentenza
depositata il 12 novembre 2010;
che l’adita Corte d’appello, con decreto depositato il
3 maggio 2012, accertava una durata irragionevole di circa
quattordici anni e nove mesi, e liquidava in favore di
ciascuno dei ricorrenti un indennizzo di euro 14.750,00, in
base al criterio di 1.000,00 euro per ciascuno degli anni
di ritardo;

2

udienza del 5 novembre 2013 dal Consigliere relatore Dott.

che la Corte d’appello condannava altresì il Ministero
al pagamento di metà delle spese processuali tenendo conto
del comportamento del Ministero;
che per la cassazione di questo decreto Soffrè Domenico

motivi, illustrato da memoria;
che

l’intimato

Ministero

ha

resistito

con

controricorso.
Considerato

che il Collegio ha deliberato l’adozione

della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che preliminare alla stessa esposizione dei motivi del
ricorso è il rilievo che il ricorso stesso è del tutto
carente quanto alla esposizione sommaria dei fatti della
causa, richiesto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366,
n. 3, cod. proc. civ.;
che, invero, questa Corte ha avuto modo di affermare
che «ai fini della sussistenza del requisito della
“esposizione sommaria dei fatti di causa”, prescritto, a
pena di inammissibilità, per il ricorso per cassazione
dall’art. 366, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., è
necessario, in ossequio al principio di autosufficienza del
ricorso, che in esso vengano indicati, in maniera specifica
e puntuale, tutti gli elementi utili perché il giudice di
legittimità possa avere la completa cognizione dell’oggetto

e Soffrè Fulvia hanno proposto ricorso affidato a tre

della controversia, dello svolgimento del processo e delle
posizioni in esso assunte dalle parti, senza dover
ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa
la sentenza impugnata, così da acquisire un quadro degli

censurata e i motivi delle doglianze prospettate» (Cass. n.
15808 del 2008; Cass. n. 5660 del 2010);
che, nella specie, il ricorso è del tutto carente di
ogni riferimento non solo allo svolgimento del processo
dinnanzi alla Corte d’appello, ma soprattutto rispetto alle
vicende del giudizio presupposto, del quale neanche è stato
indicato l’oggetto, il che preclude di poter apprezzare,
con la necessaria conoscenza dell’oggetto della decisione,
la stessa rilevanza dei motivi di ricorso, nei quali si
discute del mancato riconoscimento di un danno alla salute
posto in relazione alla irragionevole durata del giudizio
presupposto, senza che però sia possibile stabilire, sulla
base delle indicazioni in fatto contenute nel ricorso, uno
specifico collegamento tra l’oggetto di quel giudizio e il
maggior danno subito dai ricorrenti;
che il ricorso deve quindi essere dichiarato
inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti, in
solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità, come liquidate in dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI

4

elementi fondamentali in cui si colloca la decisione

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna i
ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese
del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi
euro 292,50 per compensi, oltre alle spese prenotate a

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Sesta Seconda Civile della Corte suprema di Cassazione, il
5 novembre 2013.

debito.

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