Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 815 del 14/01/2011

Cassazione civile sez. I, 14/01/2011, (ud. 09/11/2010, dep. 14/01/2011), n.815

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Fallimento della società di fatto D.M. e C.

A. in persona del curatore, elettivamente domiciliato in Roma, via

Mantegazza 24, presso l’avv. Colarusso Romano, che lo rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Agricola Valeria s.s. in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in Roma, via Villa degli Emiliani 21,

presso lo studio Frascella, rappresentata e difesa dall’avv. Silvana

Quaranta giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce – sezione

distaccata di Taranto – n. 79 del 9.3.2005.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

9.11.2010 dal Relatore Cons. Dott. Carlo Piccininni;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Apice Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo ed

il rigetto del secondo e del terzo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 9.3.2005 la Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, confermava la decisione di primo grado con la quale il Tribunale di Taranto aveva rigettato la domanda del fallimento della società di fatto D.M. e C. A., finalizzata ad ottenere il rilascio di terreni promessi in vendita all’Agricola Valeria s.s. di Esposito, Formisano & Garofalo ed occupati dai soci di quest’ultima.

In particolare, sui diversi punti sottoposti al suo esame la Corte territoriale rilevava: che la domanda di simulazione del contratto di affitto dei terreni in questione non era stata autorizzata dal giudice delegato e risultava pertanto improponibile; che il detto contratto era opponibile al fallimento poichè munito di data certa antecedente alla relativa dichiarazione; che l’incompetenza per materia del giudice adito era stata denunciata per la prima volta nel giudizio di appello, e quindi tardivamente; che la nullità della clausola limitativa della durata del contratto di affitto era stata correttamente dichiarata dal primo giudice; che non ricorrevano infine i presupposti per l’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria intentata dal fallimento.

Avverso la decisione quest’ultimo proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi, poi illustrati da memoria, cui resisteva con controricorso l’Agricola Valeria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i tre motivi di impugnazione il fallimento ha rispettivamente denunciato:

1) violazione dell’art. 84 c.p.c., artt. 31 e 25 L.F., nonchè vizio di motivazione, con riferimento all’affermata mancata autorizzazione del giudice delegato alla proposizione dell’azione di simulazione. La detta domanda sarebbe infatti riconducibile a quella formulata dalla Agricola Valeria in via riconvenzionale, avente ad oggetto l’accertamento dell’esistenza di un contratto di affitto, e sarebbe stata qualificabile come eccezione riconvenzionale, rispetto alla quale non sarebbe stata necessaria l’autorizzazione del giudice delegato.

Quanto alla tempestività della proposta eccezione, questa sarebbe stata incontestabile poichè, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, la stessa non sarebbe stata dedotta per la prima volta in sede di memoria di replica, ma sarebbe stata correttamente sollevata nella prima difesa successiva alla domanda riconvenzionale dell’Agricola Valeria;

2) violazione della L. n. 82 del 2003, artt. 2 e 6, art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c. e vizio di motivazione, per l’avvenuta attribuzione della qualità di coltivatori diretti ai soci della detta società, pur in mancanza dei necessari riscontri e degli indispensabili accertamenti;

3) violazione dell’art. 2901 c.c. e art. 116 c.p.c., art. 66 L.F., in relazione al rigetto dell’azione revocatoria, basata in primo grado su motivazione del tutto insufficiente e argomentata in secondo grado con l’apodittico richiamo alla condivisa decisione adottata dal primo giudice.

La statuizione sarebbe comunque errata, poichè il giudice del merito non avrebbe tenuto conto della sproporzione esistente fra la modesta consistenza del canone di locazione e la capacità produttiva dei fondi, e non avrebbe inoltre rilevato dalla documentazione prodotta da esso ricorrente la consapevolezza, da parte della società Agricola Valeria, dello stato di dissesto in cui avrebbe versato la società di fatto poi dichiarata fallita.

Il ricorso è infondato.

Per quanto riguarda il primo motivo, il punto oggetto di contestazione riguarda la capacità processuale del curatore in ordine alla domanda di simulazione del contratto di affitto, e ciò in quanto l’autorizzazione del giudice delegato era stata data soltanto con riferimento all’azione proposta per lo scioglimento dal preliminare di vendita del terreno (art. 72 L.F.) e a quella per la dichiarazione di inefficacia del contratto di affitto (art. 66 L.F.).

In punto di fatto non sembra inutile rilevare che il fallimento aveva promosso due distinti giudizi, poi riuniti (e precisamente il primo instaurato l’11.9.1998 per il rilascio del terreno in questione, previa eventuale declaratoria di scioglimento dal contratto preliminare ai sensi dell’art. 72 L.F., il secondo iniziato il 3.2.1999 e finalizzato all’inefficacia del contratto di affitto, sulla cui base la convenuta nel primo giudizio aveva dedotto l’infondatezza della domanda); che l’esistenza del contratto di affitto era stata rilevata dalla convenuta in sede di costituzione nel primo giudizio con comparsa del 20.11.1998; che pur essendo incontestata l’assenza di specifica autorizzazione con riferimento alla denunciata simulazione del contratto di affitto e pur non essendo contestata in astratto la necessità per il curatore di munirsi di tale autorizzazione in relazione alla proposizione di domanda giudiziale, il fallimento ha sostenuto l’erroneità della decisione sul punto per il fatto che “allorquando il fallimento ha eccepito la simulazione di quel contratto ha semplicemente proposto un’eccezione riconvenzionale” (p. 8), che in quanto tale avrebbe avuto l’unico obiettivo di ottenere il rigetto della domanda riconvenzionale, e non avrebbe pertanto richiesto la necessità di ulteriori autorizzazioni.

Tale ultimo rilievo non può essere condiviso atteso che, se è vero che la proposizione di un’eccezione riconvenzionale non presuppone il rilascio di autorizzazione da parte del giudice delegato, è pur vero che nella specie non è configurabile una eccezione ma una vera e propria domanda, e ciò in quanto la prima è esclusivamente finalizzata a paralizzare la richiesta avversaria, mentre la seconda tende ad un accertamento contrario alla pretesa avanzata dalla controparte, nella specie identificabile nell’affermata inesistenza del contratto di affitto posto a base della richiesta di proroga.

In sede di memoria poi il fallimento ha parzialmente mutato l’originaria prospettazione al riguardo, sostenendo la superfluità dell’autorizzazione all’esercizio dell’azione di simulazione perchè le diverse domande sarebbero state connesse e perchè la contestata autorizzazione sarebbe stata implicitamente desumibile da quella data per l’instaurazione del giudizio di appello.

Tali rilievi non possono tuttavia essere oggetto di valutazione, trattandosi di argomenti nuovi e sui quali la controparte non ha potuto svolgere deduzioni e difese.

E’ analogamente inconsistente il secondo motivo di impugnazione, con il quale il ricorrente ha lamentato la lacunosità degli accertamenti sulla base dei quali è stata riconosciuta ai soci della società resistente la qualità di coltivatori diretti.

In proposito va infatti rilevato che la Corte di Appello ha dato motivazione della decisione adottata, valorizzando le attestazioni rilasciate sul punto dagli organi amministrativi e l’assenza di specifiche contestazioni da parte del ricorrente, il quale peraltro anche in questa sede si è limitato a segnalare il preteso errore di giudizio asseritamente commesso dal giudice del merito, senza tuttavia fornire alcuna indicazione a sostegno del proprio assunto e prospettando, dunque, una doglianza del tutto generica, dai connotati puramente esplorativi.

Ad identiche conclusioni deve infine pervenirsi per quanto concerne il terzo motivo di impugnazione, che da una parte non mette in discussione l’argomentazione posta dalla Corte territoriale a base della sua decisione, essenzialmente consistente nell’assenza di prova circa il nesso fra la stipulazione del contratto contestato e la determinazione dell’insolvenza o il suo aggravamento) e, dall’altra, contiene una doglianza assolutamente generica, non essendo specificamente indicati gli atti dai quali poter desumere la sproporzione fra il canone pattuito e la produttività dei fondi e la consapevolezza dello stato di insolvenza del proprietario dei terreni da parte della società conduttrice.

Il ricorso deve conclusivamente essere respinto, con condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.000, di cui Euro 200 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2011

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