Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8149 del 23/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 23/03/2021, (ud. 24/02/2021, dep. 23/03/2021), n.8149

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25674-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

S.T.A.T.A. SOCIETA’ TURISTICO ALBERGHIERA TERME DI ANZIO SRL IN

LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI PAISIELLO 15, presso

lo studio dell’avvocato GRAZIANO BRUGNOLI, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3282/7/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DEL LAZIO, depositata il 29/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DELLI

PRISCOLI LORENZO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

la parte contribuente proponeva ricorso avverso una cartella di pagamento relativo ad imposta di registro, comprensiva delle relative sanzioni per il ritardo nel pagamento, in merito ad una sentenza del Tribunale di Velletri;

la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente avverso il silenzio-rifiuto opposto all’istanza presentata per il rimborso della somma pagata a seguito della cartella di pagamento emessa per il pagamento dell’imposta di registro per una sentenza del Tribunale di Velletri, pagamento non più dovuto a seguito della sentenza n. 26058 del 2014 della Cassazione che cassava la suddetta sentenza del Tribunale di Velletri;

la Commissione Tributaria Regionale respingeva l’appello dell’Agenzia delle entrate affermando che, poichè la sanzione è una misura accessoria correlata al presupposto impositivo, essa viene meno nel momento in cui viene meno il presupposto della imposta di registro cui si riferisce, stante l’intervenuta sentenza della Corte di Cassazione che ha annullato la sentenza soggetta a tassazione;

l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso affidato ad un unico motivo mentre la parte contribuente si costituiva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che con il motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 37 e 54, e del D.P.R. n. 131 del 1981, art. 77, in quanto in mancanza del pagamento dell’imposta di registro (cui la parte contribuente era tenuta entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso di liquidazione), l’Ufficio è legittimato ad irrogare le sanzioni di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, anche se, sulla base della sentenza definitiva della Corte di Cassazione, l’imposta di registro non è risultata più dovuta;

considerato che, secondo questa Corte:

in tema di registro, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 37, laddove assoggetta a tassazione l’atto dell’autorità giudiziaria anche se al momento della registrazione è stato impugnato o è ancora impugnabile, salvo conguaglio o rimborso a seguito del passaggio in giudicato della decisione, esclude che l’imposta continui ad essere dovuta in conseguenza della definitiva riforma dell’atto, posto che una diversa interpretazione determinerebbe l’irragionevole conseguenza di obbligare ad un pagamento che dovrebbe essere immediatamente restituito e contrasterebbe con i principi di uguaglianza e di capacità contributiva, equiparando l’ipotesi di presenza, ancora non definitiva ma comunque attuale, del presupposto impositivo a quella di definitivo accertamento della sua insussistenza (Cass. n. 3617 del 2020);

in tema d’imposta di registro sugli atti dell’Autorità giudiziaria D.P.R. n. 131 del 1986 ex art. 37, qualora il provvedimento giudiziario sia stato definitivamente riformato, l’Amministrazione finanziaria, che abbia correttamente emesso l’avviso di liquidazione dell’imposta principale e la relativa cartella di pagamento senza procedere alla riscossione, non ha interesse, nonostante la soccombenza, a ricorrere per cassazione avverso la sentenza di annullamento della cartella emessa dal giudice tributario d’appello, essendo venuto meno il presupposto dell’imposta, il cui pagamento comporterebbe la necessità dell’immediato rimborso (nella specie, la Cassazione

ha dichiarato inammissibile il ricorso col quale

l’Amministrazione chiedeva la condanna del contribuente al pagamento delle sanzioni e degli interessi relativi all’imposta dovuta su un provvedimento giudiziario definitivamente riformato: Cass. n. 15645 del 2019; 29004 del 2017; 24097 del 2014; 19953 del 2005);

in tema di registro, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 37, laddove assoggetta a tassazione l’atto dell’autorità giudiziaria anche se al momento della registrazione è stato impugnato o è ancora impugnabile, salvo conguaglio o rimborso a seguito del passaggio in giudicato della decisione, esclude che l’imposta continui ad essere dovuta in conseguenza della definitiva riforma dell’atto, posto che una diversa interpretazione determinerebbe l’irragionevole conseguenza di obbligare ad un pagamento che dovrebbe essere immediatamente restituito e contrasterebbe con i principi di uguaglianza e di capacità contributiva, equiparando l’ipotesi di presenza, ancora non definitiva ma comunque attuale, del presupposto impositivo a quella di definitivo accertamento della sua insussistenza (Cass. n. 3617 del 2020);

ritenuto che è irragionevole e contraria al principio di solidarietà la pretesa fiscale relativa ad una sanzione dipendente dal mancato pagamento di una imposta che è stata ritenuta – sia pure in un secondo momento – non dovuta: considerato infatti che, secondo lo Statuto del contribuente, art. 10, “I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”, che deve reciprocamente ispirare i rapporti fra pubblica amministrazione e cittadino anche nei rapporti tributari (Cass. 9 maggio 2018, n. 11052; Cass. 17 gennaio 2018, n. 1009);

ritenuto pertanto che la Commissione Tributaria Regionale si è attenuta ai suddetti principi laddove ha ritenuto che, poichè la sanzione è una misura accessoria correlata al presupposto impositivo, essa viene meno nel momento in cui viene meno il presupposto della imposta di registro cui si riferisce, stante l’intervenuta sentenza della Corte di Cassazione che ha annullato la sentenza soggetta a tassazione, da cui appunto deriva la non debenza delle sanzioni richieste dall’Ufficio, posto che una diversa interpretazione contrasterebbe con i principi di uguaglianza e di capacità contributiva, perchè verrebbe equiparata l’ipotesi di presenza, ancora non definitiva ma comunque attuale, del presupposto impositivo a quella di definitivo accertamento della sua insussistenza;

ritenuto pertanto infondato l’unico motivo di impugnazione, il ricorso va conseguentemente respinto; le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 5.500, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2021

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