Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8149 del 11/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 11/04/2011, (ud. 15/12/2010, dep. 11/04/2011), n.8149

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

CAPITALIA SPA (GIA’ BANCA ROMA SPA), in persona dei legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA

VENTIQUATTRO MAGGIO 43, presso lo studio dell’avvocato GRANDE

CORRADO, che li rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 15/2005 della COMM. TRIB. REG. di CAMPOBASSO,

depositata il 18/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito per il ricorrente l’Avvocato ZERMAN PAOLA MARIA, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del 1^ e 2^

motivo e nel merito il rigetto, l’inammissibilità del 3^ e 4^

motivo, il rigetto del 5^ motivo.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

La controversia trae origine dall’impugnazione proposta dalla società contribuente avverso i provvedimenti di diniego di rimborso degli interessi maturati su crediti d’imposta, derivanti dalle dichiarazioni del 1975 e del 1986, prima che questi fossero interamente utilizzati in compensazione dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione degli immobili per il 1991. La C.T.P., riuniti i ricorsi, li respingeva.

La C.T.R., con la sentenza indicata in epigrafe, invece – dopo aver ritenuto inammissibile l’appello incidentale della parte erariale con cui erano state riproposte le eccezioni d’inammissibilità dei ricorsi formulate in primo grado, trattandosi di mera riproposizione che non aveva preso in alcuna considerazione le convincenti ed esaustive motivazioni sul punto della sentenza di primo grado, le quali erano integralmente da recepirsi – accoglieva l’appello principale della banca, osservando che nella specie non assumeva rilievo che la quota capitale fosse stata integralmente imputata in compensazione, in quanto il diritto a percepire gli interessi maturati si era concretizzato in epoca antecedente all’estinzione della quota capitale ed aveva assunto autonoma valenza; quanto al metodo di rimborso, anche detti interessi andavano rimborsati con consolidamento in titoli di Stato a norma della L. n. 457 del 1994, non operando questa legge alcuna discriminazione tra crediti d’imposta ed interessi ed essendo arbitraria e non opponibile ai privati contribuenti la distinzione operata dalla circolare ministeriale tra le domande di rimborso presentate entro il 31 marzo 1993 e quelle inoltrate entro il 30 settembre dello stesso anno.

Sulla compatibilità tra il rimborso con consolidamento e la presenza di avviso di accertamento, la C.T.R. rilevava che l’avviso era stato nella specie vanificato e “sterilizzato” dalla dichiarazione integrativa con definizione dei redditi 1974/1980 e conseguente preclusione dell’Ufficio di procedere a rettifiche nè, quindi, ad ulteriore recupero a tassazione del credito d’imposta della società.

La parte erariale chiede la cassazione della sentenza sopra indicata, in forza di cinque motivi; la contribuente resiste con controricorso, nel quale, dopo aver sottolineato l’infondatezza delle censure della controparte, eccepisce l’inesistenza della notifica del ricorso, essendo stato notificato alla Banca di Roma Via (OMISSIS), mentre era correttamente indirizzato alla Banca stessa con sede in Via (OMISSIS), essendo effettiva destinataria dell’impugnazione Capitalia S.p.a. subentrata alla Banca di Roma S.p.a., sicchè la notifica era avvenuta presso un soggetto ed in un luogo privi di qualsiasi riferimento con il destinatario, con conseguente inammissibilità del ricorso. L’eccezione non è fondata, dovendosi ribadire che, in relazione al luogo della notificazione ed alla persona cui l’atto è consegnato, importa semplice nullità e non inesistenza della notificazione la consegna in un luogo od a persona diversi da quelli stabiliti dalla legge, ma che abbiano pur sempre un qualche riferimento con il destinatario della notificazione medesima;

la notificazione è invece inesistente quando l’atto sia consegnato in luogo od a persona che non siano in alcun modo e per nessuna via riferibili o collegabili al soggetto passivo della notificazione, risultando assolutamente estranei al destinatario ed all’atto di notificare (Cass. n. 11175/04; 12998/91; nonchè per il consolidato orientamento in tema di notifica di atto nei confronti della società incorporante effettuata presso la società incorporata: Cass. 14066/08; 10157/04; 5716/03), con la conseguenza, fra l’altro, che tale efficacia sanante non è esclusa per il fatto che il controricorso risulti – come nella specie – notificato oltre il termine annuale dalla pubblicazione della sentenza, di cui all’art. 327 c.p.c. (Cass. n. 6417/04). Nel caso in esame, il ricorso per cassazione è stato correttamente indirizzato presso la società dante causa, Banca di Roma S.p.a., parte del giudizio di secondo grado, e presso l’allora sede della stessa (divenuta sede della società avente causa costituitasi nel presente giudizio), mentre è stato notificato presso la nuova sede della stessa. Non v’è chi non veda che, in presenza di dette circostanze di fatto, sia il luogo che il consegnatario hanno chiari riferimenti con il destinatario della notifica.

Il ricorso proposto dal Ministero ed il controricorso nei confronti di quest’ultimo sono inammissibili, essendo legittimata attivamente e passivamente in questo giudizio solo l’Agenzia delle entrate, succeduta a titolo particolare al ministero nel diritto controverso fin dal 1.1.2001, quindi in data anteriore alla instaurazione del giudizio in appello (avvenuta con atto depositato il 4.7.2002) ed unica partecipe del relativo giudizio, attraverso l’ufficio di Campobasso; con la conseguente tacita estromissione del ministero stesso (Cass. nn. 9004/2007, 3557/2005), privo pertanto di legittimazione nel presente giudizio.

Con il primo motivo, denunciando violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 54 e difetto di motivazione su punto decisivo, l’Agenzia lamenta che la C.T.R., dopo aver erroneamente qualificato come “appello incidentale” le sue deduzioni in appello (che non avrebbe potuto proporre in quanto pienamente vittoriosa in primo grado), non ha tenuto in debita considerazione le circostanze specificamente indicate (in appello) nelle controdeduzioni del 9.9.2002 e passate nuovamente in rassegna nel presente motivo: a) invio del ricorso all’Ufficio in copia e con “firma in fotocopia”; b) mancata indicazione nei ricorsi del l.r. della persona giuridica ricorrente; nonchè mancata prova dell’intervenuta procura speciale ai firmatari dei ricorsi; c) non riconducibilità dei provvedimenti impugnati a quelli impugnabili ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19. Con il secondo motivo, lamentando violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, nonchè artt. 12, 16, 18, 19, 22, 75 e 77 citato decreto, i ricorrenti lamentano che la C.T.R., rinviando alla motivazione della sentenza di primo grado, non avrebbe assolto l’obbligo di motivazione, non avendo espresso, neanche in modo sintetico, le ragioni dell’adesione alla stessa; sottolinea, comunque, perchè sarebbero errate le statuizioni dei primi giudici recepite acriticamente dalla C.T.R.: a) perchè i giudici tributari, constatato che la ricorrente aveva spedito alla controparte una copia priva di sottoscrizione in originale, avrebbero dovuto dichiarare l’inammissibilità del ricorso; b) la C.T.P. avrebbe erroneamente affermato che non vi sarebbe stata incertezza nell’individuazione del ricorrente, perchè l’omessa indicazione del l.r. si riflette in carenza della legitimatio ad processum e perchè solo tardivamente i funzionari sottoscrittori avevano prodotto una mera procura generale ad lites; c) gli atti impugnati erano semplici “comunicazioni”, insuscettibili di censura giurisdizionale.

I due motivi vanno esaminati congiuntamente, proponendo, sotto diverso profilo, le medesime censure.

Esse si rivelano inammissibili.

Deve, infatti, ribadirsi che, allorchè – come nell’ipotesi – la sentenza impugnata sia motivata mediante rinvio alla sentenza di primo grado, il vizio di omessa motivazione sussiste solo se, con il rinvio, sia stato omesso l’esame di uno specifico elemento di segno contrario alla prima decisione, potenzialmente idoneo a condurre ad una diversa decisione, e non anche per effetto della sola tecnica del rinvio, essendo la sentenza di primo grado richiamata dal secondo giudice divenuta parte integrante della propria decisione (Cass. n. 12129/03).

Orbene, nel caso in esame, nel ricorso per cassazione non viene indicato alcun specifico elemento di segno contrario alla prima decisione, ma la parte ricorrente si limita a riproporre ancora una volta le censure da essa motivatamente disattese.

Con il terzo motivo, i ricorrenti, deducendo violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 2946 c.c. lamentano che la C.T.R. non si sarebbe pronunciata sull’eccezione di prescrizione delle pretese azionate, avanzata nelle controdeduzioni in appello. Con il quarto motivo, deducendo violazione dell’art. 12 c.p.c., L. n. 516 del 1982, art. 16, L. n. 413 del 1991, art. 25 e D.L. n. 307 del 1994, art. 5, art. 19 conv. con L. n. 457 del 1994, lamentano che la C.T.R. non avrebbe pronunciato sull’eccezione di ‘intervenuta definitività degli atti impositivi oggetto di condono, con conseguente assorbimento dei crediti del 1975 e quasi totale esaurimento di quello del 1986.

Entrambe queste censure non colgono nel segno: con i motivi in esame, la parte erariale ha lamentato un’omessa pronuncia sulla sua eccezione di prescrizione e su quella d’intervenuta definitività degli atti impositivi, oggetto di condono, che espressamente dichiara essere state formulate nelle controdeduzioni in appello, senza specificare se e come esse furono proposte nel primo grado di giudizio (onde non incorrere nella preclusione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57). Ne consegue che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il ricorrente avrebbe dovuto, a pena di inammissibilità dei motivi, specificare in quale atto difensivo o verbale di udienza avesse formulato – nell’ipotesi, fin dal primo grado e non solo nelle controdeduzioni in appello – quelle eccezioni, “per consentire al giudice di verificarne la ritualità e tempestività, e quindi la decisività delle questioni, e perchè, pur configurando la violazione dell’art. 112 c.p.c, un error in procedendo, per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, non essendo tale vizio rilevabile d’ufficio, il potere – dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali – non significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte indicarli” (Cass. n. 21226/10; S.U. 11730/10; 6361/07; 978/07; S.U. n. 15781/05).

Tale indicazione – indispensabile, nel caso in esame, posto che la lamentata omessa pronuncia è relativa ad eccezioni (la prescrizione e l’asserita intervenuta definitività degli atti impositivi) da proporsi fin dal primo grado del giudizio (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57) – è stata del tutto omessa, e quindi le censure vanno dichiarate inammissibili.

Con il quinto motivo, lamentando violazione del D.L. n. 307 del 1994, art. 5, comma 5 conv. con L. n. 457 del 1994, art. 25, L. n. 413 del 1991, art. 2909 c.c. D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 e art. 112 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, i ricorrenti ripropongono la questione dell’asserita non configurabilità di un credito per interessi: a seguito del condono, l’Ufficio iscrisse a ruolo le somme dovute, meno le ritenute che avevano generato il rimborso IRPEG per il 1975, con conseguente assorbimento del credito d’imposta; la relativa cartella esattoriale fu impugnata dalla Banca che fu soccombente nel relativo giudizio, con la conseguenza che, secondo i ricorrenti, non spettando nulla alla Banca come rimborso per il 1975, non sarebbero spettati neanche interessi su detto rimborso;

insistono, inoltre, nel sostenere l’inammissibilità di domande per la corresponsione di soli interessi (profili entrambi ribaditi anche rispetto al credito d’imposta per il 1986, rispetto al quale s’invoca anche l’esclusione espressa di tali istanze secondo il D.M. 26 agosto 1984.

La censura non coglie nel segno.

La C.T.R. ha riconosciuto un credito per interessi, relativo ai crediti d’imposta risultanti dalle dichiarazioni per il 1975 ed il 1986 dando per presupposto che detti crediti (costituenti la “linea” o sorte capitale, sulla quale gli interessi sono maturati) sono stati entrambi “interamente” utilizzati in compensazione dell’imposta sostitutiva da versare per il 1991. Del resto, nel ricorso introduttivo, la banca contribuente, a sostegno della pretesa, ha prodotto i prospetti allegati alle dichiarazioni per il 1991 e 1992, da cui risultava l’utilizzo dei crediti in questione a decurtazione dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione obbligatoria degli immobili. Rispetto a tali allegazioni, la parte erariale avrebbe dovuto, non solo genericamente dedurre, ma anche documentare l’esito dei contenziosi attraverso i quali i crediti d’imposta (nella loro linea capitale) sarebbero stati (in tutto o, almeno, in parte) disconosciuti a seguito del loro ricalcolo o “ricomposizione” per effetto dei successivi avvisi di accertamento e delle relative definizioni a seguito dei contenziosi e, quanto al primo, anche della successiva dichiarazione integrativa.

Invece, non è dato desumere se e come nelle fasi di merito sia stato dedotto e documentato il giudicato in ordine a detta questione. Nè la parte erariale ha dimostrato di aver contestato i crediti utilizzati in compensazione, con la conseguenza che non possono validamente contestarsi nella presente controversia gli interessi maturati su detti crediti dal periodo della liquidazione in dichiarazione a quello dell’impiego in compensazione. Così integrata la motivazione della sentenza impugnata sul punto, diventa irrilevante l’argomentazione della C.T.R. circa la “sterilizzazione” dell’avviso di accertamento per effetto della dichiarazione integrativa, conseguente inammissibilità dell’ultima parte del quinto motivo, che deduce la preclusione della relativa questione in appello.

Correttamente, inoltre, la C.T.R. ha affermato che la L. n. 457 del 1994, non opera alcuna discriminazione tra crediti d’imposta e relativi interessi, per cui devono ritenersi rimborsabili anche i crediti vantati solo a titolo d’interessi, allorchè la quota capitale sia stata già rimborsata o, come nell’ipotesi, portata in compensazione. Nè una siffatta distinzione avrebbe potuto essere validamente operata da circolari ministeriali, non potendo, come è noto, le prassi amministrative incidere su posizioni di diritto soggettivo riconosciute per legge.

Il ricorso dell’Agenzia va, pertanto, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero e rigetta quello dell’Agenzia Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 12.200= di cui Euro 12.000 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2011

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