Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8148 del 03/04/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 03/04/2018, (ud. 23/01/2018, dep.03/04/2018),  n. 8148

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

1. il Tribunale di Treviso rigettava il ricorso del lavoratore inteso ad ottenere, previa declaratoria di nullità del rapporto di lavoro somministrato a termine, la riammissione in servizio alle dipendenze della società utilizzatrice Dalì s.p.a. ed il risarcimento del danno dalla data di messa in mora fino a quella della riammissione in servizio;

2. con sentenza del 15.10.2012, la Corte di appello di Venezia, in accoglimento del gravame proposto dal lavoratore ed in riforma dell’impugnata decisione, dichiarava che l’appellante era lavoratore subordinato a tempo indeterminato con inquadramento nel sesto livello del c.c.n.l. industrie alimentari dell’impresa appellata e condannava quest’ultima alla riammissione in servizio, nonchè al pagamento delle retribuzioni nei termini richiesti, detratto l’aliunde perceptum in forza dei rapporti medio tempore instaurati come documentato dall’appellante;

3. rilevava la Corte che il richiamo contenuto nella causale dell’unico contratto oggetto di causa, “punta di intensa attività dovuta ad ordinativi eccezionali a cui non è possibile sopperire con normale organico aziendale”, non era sufficiente a soddisfare l’esigenza di specificità richiesta dallo schema normativo, in mancanza di ulteriori precisazioni nel contratto sia sulla provenienza degli ordini che sulla percentuale di incremento e sul nesso causale tra assunzione del lavoratore somministrato e picco di produzione e che il dedotto incremento nella percentuale dell’8% non era configurabile come “eccezionale”, senza considerare che la qualifica di assunzione nel contratto individuale (operaio di produzione di sesto livello) era generica e che la mancata descrizione delle mansioni non consentiva di verificare la correlazione con le esigenze organizzative e produttive addotte;

4. aggiungeva che era meramente tautologica l’individuazione dell’esigenza giustificativa “punta di più intensa attività”, che la genericità di tale indicazione non poteva ritenersi superabile neanche dalle prove testimoniali richieste in appello dalla società appellata, nè dalla prova documentale richiamata a sostegno delle dedotte esigenze, non potendo l’incremento percentuale allegato configurarsi come eccezionale, e che una minima specificazione circa la provenienza degli ordini, nemmeno indicati in giudizio, si imponeva sia nel contratto di lavoro in somministrazione che in quello commerciale, essendo diversamente preclusa la verifica dell’effettività dell’esigenza. Evidenziava che le indicazioni più specifiche espresse con la capitolazione delle prove per testi non potevano essere raffrontate con il contenuto dei contratti collegati e che in ogni caso non era precisato l’incremento del fabbisogno di personale in relazione all’organico coperto ed in forza;

5. con cinque motivi la sentenza è impugnata con ricorso per cassazione dalla società; la lavoratrice non ha opposto difese,

rimanendo intimata;

Considerato che:

1. con il primo motivo, è denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20,21 e 27, per avere l’impugnata sentenza ritenuto necessarie nel contratto stipulato ai sensi dei richiamati articoli specificazioni non previste dalla legge a pena di nullità e per avere ritenuto nullo il contratto nonostante che lo stesso contenesse adeguata specificazione dei motivi della somministrazione, costituente valido requisito formale del relativo contratto ai sensi dell’art. 21, comma 1, lett. E del citato D.Lgs., osservandosi che le “punte di più intensa attività”, non fronteggiabili con il ricorso al normale organico, risultano ascrivibili nell’ambito delle “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore”, che consentono il ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato e che il riferimento alle stesse può ben costituire valido requisito formale del relativo contratto, ai sensi dell’art. 21, comma 1, lett. e) della legge stessa. Rileva che le indicazioni che la sentenza vorrebbe come evidenziate già nel contratto sono gravatorie e superflue (provenienza degli ordini, percentuali di incremento del fabbisogno del personale) o finalizzate ad un inammissibile sindacato delle valutazioni tecniche ed organizzative riservato all’imprenditore, a meno di non volere ritenere di imporre una diversa organizzazione del lavoro;

2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20,21 e 27, per avere l’impugnata sentenza considerato l’incremento temporaneo dell’attività produttiva motivo non idoneo per l’ammissione alla somministrazione di lavoro a tempo determinato, sostenendosi che l’incremento di produzione ben potesse comportare l’esigenza di adeguare il confezionamento dei prodotti a livello di unità temporaneamente addette allo stesso, non potendo qualificarsi come non eccezionale il descritto aumento dell’8%, rispetto ad un parametro di normalità e non di mero rilievo quantitativo;

3. Omesso o totalmente erroneo esame dei fatti decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, dell’esistenza di incremento di produzione legittimante la somministrazione e del riferimento a tale incremento dell’assunzione a termine con mansioni ad esso collegate viene dedotto con il terzo motivo, sul rilievo che non si spiega nella sentenza perchè documenti e prova per testi, senza alcuna analisi dei capitoli di prova, non siano stati rispettivamente valutati ed ammessa a fronte dell’allegazione dell’esistenza di una punta intensa di attività;

4. con il quarto motivo, si ascrivono alla decisione impugnata violazione dell’art. 115 c.p.c., con riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., e contraddittorietà ed illogicità della motivazione circa la mancata ammissione delle prove, con particolare riguardo alla prova per testi articolata nuovamente in sede di gravame;

5. infine, con il quinto, è dedotta violazione della L. n. 183/201, art. 32, commi 5 e 7;

6. va premesso che l’indicazione delle ragioni in sede contrattuale nei sensi riportati è stata valutata dalla giurisprudenza di legittimità sufficientemente specifica, laddove, esaminandosi una situazione sovrapponibile dal punto di vista della indicazione terminologica della causale, si è affermato che le punte di intensa attività “non fronteggiabili con il ricorso al normale organico risultano sicuramente ascrivibili nell’ambito di quelle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore, che consentono, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, il ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato e che il riferimento alle stesse ben può costituire valido requisito formale del relativo contratto, ai sensi dell’art. 21, comma 1, lett. c, della legge stessa” (Cass.21 febbraio 2012, n.2521 e Cass. 16.10.2014 n. 21001, ove tale causale è stata ritenuta assistita da un grado di specificità sufficiente a soddisfare il requisito di forma del contratto di somministrazione sancito dall’art. 21, comma 1, perchè idonea a dare adeguatamente conto delle ragioni giustificative del ricorso a tale tipologia contrattuale, senza la necessità di ulteriore dettaglio);

7. tuttavia, deve considerarsi che, al di là di tale questione, la decisione impugnata ha preso in esame l’ulteriore profilo, ugualmente dirimente, della verifica di effettività della causale enunciata, osservando che, pur non potendo il controllo giudiziario sulle ragioni che consentono la somministrazione estendersi, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 3, al merito delle scelte dell’utilizzatore, al punto di sindacarne l’opportunità e/o la convenienza (v. pag. 17 della sentenza della Corte d’appello di Venezia impugnata), ha rilevato che la genericità di quanto indicato con riguardo alla provenienza degli ordini, alla descrizione delle mansioni del lavoratore somministrato ed alle altre circostanze atte a qualificare la percentuale di incremento dedotta ed il nesso causale tra assunzione somministrata e picco di produzione non è stata superata neppure sul piano delle prove articolate nel corso del giudizio, posto che “le indicazioni più specifiche espresse da Dalì con la capitolazione delle prove per testi non possono essere raffrontate con il contenuto dei contratti collegati” e che “inoltre ed in ogni caso non è precisato, neppure in termini percentuali o di approssimazione, l’incremento del fabbisogno in relazione all’organico coperto ed in forza”;

8. tali argomentazioni si pongono come motivazione concorrente ed alternativa rispetto a quella che attiene alla legittimità della causale, posto che, anche ove ritenuta quest’ultima sussistente, in ogni caso la verifica andava estesa al piano probatorio;

9. anche sul punto la giurisprudenza di legittimità si è espressa (Cass. 8 maggio 2012, n. 6933, cui si rinvia anche per i richiami e, e, da ultimo, Cass. 20.5.2014 n. 21001, nonchè, tra le altre, Cass. 2521 del 2012, Cass. 15610 del 2011, Cass. 8120 del 2013), affermando che questo accertamento è di competenza del giudice di merito e quindi, se motivato in maniera adeguata e priva di contraddizioni, non può essere rivalutato in sede di legittimità;

10. al riguardo non colgono nel segno le censure espresse nel terzo e quarto motivo – da trattare congiuntamente per la evidente connessione delle questioni che ne costituiscono il fondamento, pur nella diversità di enunciazione del vizio dedotto – posto che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, il giudizio sulla superfluità o genericità della prova testimoniale è insindacabile in cassazione, involgendo una valutazione di fatto che può essere censurata soltanto se basata su erronei principi giuridici, ovvero su incongruenze di ordine logico (Cass. 18222/2004);

11. nel caso di specie, il ricorrente si è limitato a censurare la pronuncia di inammissibilità, senza fornire alcun elemento che in termini coerenti con le affermazioni contenute in sentenza contrastasse puntualmente la valutazione del giudice di merito (Cass. 11.1.2018 n. 500), senza considerare che, qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l’omessa valutazione di prove documentali, egli, per il principio di autosufficienza, ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (Cass. 29.12.2017 n. 31203, Cass. 16 ottobre 2007, n. 21621; Cass. 25 agosto 2006, n. 18506);

12. peraltro, il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci la mancata ammissione di un mezzo istruttorio, è onerato, a pena d’inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza che risulta ora tradotto nelle puntuali e definitive disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non solo della specifica indicazione del mezzo istruttorio richiesto e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, ma anche della puntuale indicazione e trascrizione del contenuto del provvedimento censurato, così da rendere immediatamente apprezzabile dalla Suprema Corte il vizio dedotto (cfr Cass. n. 14107 del 07/06/2017);

13. occorre, conclusivamente, rilevare che nella specie la motivazione della Corte d’Appello che non ammetteva le prove chieste assumendone, nella sostanza, la mancanza di decisività, non è adeguatamente censurata, limitandosi la ricorrente a riprodurre nel terzo e nel quarto motivo i capitoli di prova senza specifiche deduzioni sul punto. La critica è, quindi, inammissibile e mira, tra l’altro, sotto l’apparente denunzia del vizio di violazione di legge (art. 115 c.p.c.) ad un nuovo vaglio diretto delle deduzioni istruttorie inammissibile in sede di legittimità (cfr., da ultimo Cass. 25.10.2017 n. 25374);

14. il rigetto del terzo e quarto motivo determina, per quanto detto in ordine alla natura concorrente/alternativa della motivazione sul controllo di effettività della causale del contratto di somministrazione, l’assorbimento del primo e del secondo;

15. va, invece, accolto il quinto motivo, stante la pacifica applicabilità della L. n. 183 del 2010, anche alle conseguenze risarcitorie connesse all’accertamento di somministrazione irregolare, con richiamo a Cass. 29.5.2013 n. 13404, Cass. 17.1.2013 n. 1148 e, da ultimo, Cass. 17540/2014 e Cass. 18046 del 2014, alle cui argomentazioni si rimanda anche per i riferimenti a C.G.U.E. C-290/12 dell’11.4.2013 già intervenute sulla specifica questione dell’applicabilità della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, al contratto di lavoro interinale e per l’affermazione del principio secondo cui “L’indennità prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, trova applicazione ogni guai volta vi sia un contratto di lavoro a tempo determinato per il quale operi la conversione in contratto a tempo indeterminato e, dunque, anche in caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore che abbia chiesto ed ottenuto dal giudice l’accertamento della nullità di un contratto di somministrazione lavoro, convertito – ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, u.c., in un contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione”;

16. la sentenza va, pertanto cassata in relazione al motivo accolto e la causa deve rinviarsi al giudice del rinvio indicato in dispositivo per la determinazione dell’indennità in base ai criteri di legge;

17. allo stesso giudice è demandata la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto motivo, rigetta il terzo ed il quarto, assorbiti i primi due, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Trieste.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2018

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