Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8147 del 11/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 11/04/2011, (ud. 15/12/2010, dep. 11/04/2011), n.8147

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Ministero dell’Economia e delle Finanze Agenzia delle Entrate

rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, nei cui

uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12, sono domiciliati;

– ricorrenti –

contro

C.R.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana, n. 13/17/05, depositata in data 28 febbraio 2005;

sentita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del 15

dicembre 2010 dal consigliere Dott. Pietro Campanile;

Udito l’Avv. Gen. dello Stato, Paola Maria Zerman, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

Udito il del Procuratore Generale della Repubblica, in persona del

Sostituto Dott. Immacolata Zeno, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – C.R., funzionario della Banca del Monte di Lucca, impugnava gli avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio delle II.DD. di Viareggio gli aveva contestato i redditi derivanti dall’attività di rivendita dei preziosi rimasti invenduti che egli stesso, quale stimatore dell’istituto di credito, in base al Regolamento del servizio pegni aveva l’obbligo di acquistare. Veniva, in particolare, contestata la valenza probatoria delle presunzioni cui era ricorso l’Ufficio, deducendosi che le vendite degli oggetti preziosi era avvenuta “sottocosto”.

1.1 – La Commissione tributaria regionale della Toscana, con la decisione indicata in epigrafe, in riforma della sentenza di primo grado (che aveva parzialmente accolto il ricorso del contribuente, relativamente all’entità delle sanzioni), accoglieva l’appello proposto dal C., affermando, anche sulla base dell’esito del giudizio penale conclusosi in maniera favorevole per il C., che nell’ipotesi – giudicata non inverosimile – che il funzionario avesse rivenduto a prezzi inferiori a quelli di costo i beni preziosi, la pretesa sarebbe risultata infondata non solo sotto il profilo del “quantum”, ma anche relativamente “all’an”.

Si aggiungeva che non era stata eseguita un’indagine accurata circa i prezzi di rivendita, osservandosi che, non potendosi teoricamente escludere margini di guadagno per il venditore, l’accertamento non appariva equamente fondato.

1.2 Avverso detta sentenza propongono ricorso il Ministero dell’economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, chiedendone la cassazione sulla base di tre motivi.

1.2 – L’intimato non svolge attività difensiva.

Diritto

2. – Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 degli artt. 2697, 2727 e 2728 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5.

2.1 – Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 2, 7 e 36, mentre con il terzo si prospetta la violazione dell’art. 654 c.p.p..

In sostanza, si censura la violazione dei criteri di natura probatoria applicabili alla fattispecie, ponendosi in evidenza, da un lato, l’incongruenza consistente nel rigetto della pretesa fiscale solo perchè ritenuta eccessiva (essendo il giudice tributario dotato del potere di ridurla entro i limiti della congruità) e, dall’altro, l’erronea attribuzione di rilevanza al giudicato formatosi in ambito penale.

2.2 – Detti motivi, tra loro intimamente connessi, possono essere congiuntamente esaminati.

Il ricorso è fondato.

La decisione impugnata si presenta sotto molti profili contraddittoria, implicando per altro le soluzioni adottate la denunciata violazione di legge.

Va premesso che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, non può darsi rilievo all’esito di un giudizio penale, stante l’autonomia del procedimento tributario, fondato, per altro, a differenza del primo, anche su presunzioni (Cass., 18 gennaio 2008, n. 1014).

Sotto tale profilo, vale bene richiamare il costante orientamento di questa Corte secondo cui l’accertamento sintetico, con metodo induttivo, consentito all’amministrazione finanziaria dalle norme contenute nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 5, consiste nell’applicazione di presunzioni, in virtù delle quali l’ufficio finanziario è legittimato a risalire da un fatto noto (nel caso di specie, acquisti di preziosi per somme di rilevante entità, sproporzionate rispetto al reddito di lavoro) a quello ignorato (sussistenza di un certo reddito e, quindi, di capacità contributiva). La suddetta presunzione genera peraltro l’inversione dell’onere della prova, trasferendo al contribuente l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà (Cass., 15 giugno 2010, n. 14434).

La Commissione tributaria regionale, anzichè esaminare la valenza delle presunzioni dedotte dall’Ufficio ed analizzare le difese, di natura probatoria, del contribuente, ha contrapposto al dato presuntivo una mera illazione, vale a dire la possibilità, del tutto ipotetica (per altro non corrispondente all’id quod plerumque accidit), che tutte le rivendite fossero avvenute a prezzo di costo, così valorizzando una circostanza che, per quanto sopra evidenziato, avrebbe dovuto essere dimostrata dal C..

Ma vi è di più. Si giunge a sostenere che “pur non essendo teoricamente esclusi margini di guadagno per il venditore, l’accertamento così come operato non appare equamente fondato”.

Codesta affermazione si fonda sul precedente rilievo inerente al giudizio di inadeguatezza per eccesso della “percentuale di ricarico del settore orafo”.

L’assunto, a ben vedere, si colloca in posizione nettamente contraddittoria con l’affermata (sia pure in base a una mera ipotesi) insussistenza di redditi, e comunque implica una grave violazione di legge, che attinge la natura stessa del processo tributario, che, sia pure attraverso l’impugnazione di un atto, coinvolge, nei limiti della devoluzione, il rapporto sottostante.

In altri termini, il giudice tributario non può limitarsi ad annullare un atto sol perchè giudichi la pretesa eccessiva, avendo il potere e il dovere di determinarne la portata, anche utilizzando gli strumenti istruttori e valutativi dei quali può legittimante disporre.

2.4 – La decisione impugnata, risultando il ricorso fondato sotto tutti i profili dedotti, deve essere cassata, con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Toscana, che esaminerà senza incorrere nel rilevato vizio motivazionale – il gravame alla luce dei principi enunciati, provvedendo altresì al regolamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Toscana.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta – Tributaria, il 15 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2011

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