Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8142 del 02/04/2010

Cassazione civile sez. I, 02/04/2010, (ud. 11/01/2010, dep. 02/04/2010), n.8142

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13480/2008 proposto da:

L.F. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, V. CHIANA 87, presso l’avvocato MONELLO

Nunziata, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAGRO

FRANCESCO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositato il

09/02/2008, n. 28607 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

11/01/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FELICETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. L.F., lamentando la violazione dell’art. 6 della CEDU sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di durata di una causa dinanzi al tribunale di Siracusa, avente ad oggetto la dichiarazione di esistenza di un condominio e l’adozione delle relative tabelle condominiali, instaurato contro di lui nel novembre 1996 e definito con sentenza del febbraio 2007 che lo aveva visto soccombente, conveniva dinanzi alla Corte di appello di Messina il Ministero della Giustizia al fine di ottenere il risarcimento previsto dalla L. n. 89 del 2001, nella misura di Euro 9.320,00, oltre accessori. La Corte d’appello, con decreto 9 febbraio 2008, liquidava al ricorrente Euro 3.400,00, oltre interessi e spese di causa, in relazione a una irragionevole durata del processo protrattasi per circa sei anni e sei mesi per danno non patrimoniale.

Avverso tale decreto il L. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato al Ministero della Giustizia in data 8 maggio 2008. Il Ministero resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso si articola in tre motivi.

Con il primo si denunciano la violazione dell’art. 6, par. 1, 13 e 41 della CEDU e della L. n. 89 del 2001, art. 2. Esso si conclude con il seguente quesito: “Dal principio di sussidiarietà di cui all’art. 3 5 CEDU discende o meno che le giurisdizioni nazionali debbono interpretare e applicare il diritto interno in modo conforme alla Convenzione e l’ambito della valutazione equitativa affidata al giudice di merito è segnato o meno dal rispetto della CEDU, per come vive nelle decisioni di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, di tal che è configurabile in capo al giudice del merito un obbligo di tenere conto dei criteri di determinazione della riparazione applicata dalla Corte europea, valutando e accertando preliminarmente se la vittima della violazione dell’art. 6 abbia ottenuto nell’ordinamento interno a titolo d’indennizzo del danno una riparazione comparabile all’equa soddisfazione di cui all’art. 41 della Convenzione, da ritenersi appropriata e sufficiente e rapportata, appunto, a quella concessa dalla CEDU in casi simili, di tal fatta che la parte interessata non possa più considerarsi vittima nei termini di cui all’art. 34 della Convenzione?”.

Con il secondo motivo si denunciano omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’assenza di complessità del caso ed alla rilevanza della posta in gioco, nonchè violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6, par. 1, della CEDU. In proposito si formulano i seguenti quesiti di diritto: “Il parametro della rilevanza della posta in gioco è svincolato dall’esito positivo o negativo del giudizio e tale esito può valere a sminuire o acuire la posta in gioco con conseguente differente liquidazione del danno morale derivante dalla durata irragionevole del processo?” – “Il giudice di prime cure, nell’accertare la sussistenza della rilevanza della posta in gioco, nel caso in cui manchino elementi positivamente stabiliti, è vincolato, oltre all’esame della fattispecie concreta del caso, anche dalle precedenti valutazione espresse dalla Corte europea circa la rilevanza o meno degl’interessi dedotti in giudizio, effettuate dalla Corte in casi simili a quello in esame?” – “Spetta o no alla Corte europea individuare tutti gli elementi del fatto costitutivo del diritto all’equa riparazione, il quale fatto, pertanto, finisce con l’essere conformato dalla predetta Corte o il giudice interno può dissociarsi dalla giurisprudenza CEDU concedendo un’equa riparazione fissata in misura irragionevolmente difforme da quella riconosciuta dalla Corte sovrannazionale in casi simili?” Con il terzo motivo si denuncia la violazione degli artt. 1223, 1226 e 1256 cod. civ.; art. 6, part. 1, 13, 17 e 41 della CEDU; della L. n. n. 89 del 2001, art. 2. Il motivo si conclude con i seguenti quesiti di diritto: “Dal principio di sussidiarietà di cui all’art. 35 CEDU discende o meno che le giurisdizioni nazionali debbono interpretare e applicare il diritto interno in modo conforme alla Convenzione e l’ambito della valutazione equitativa affidata al giudice di merito è segnato o meno dal rispetto della CEDU, per come vive nelle decisioni di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, di tal che è configurabile in capo al giudice del merito un obbligo di tenere conto dei criteri di determinazione della riparazione applicata dalla Corte europea, valutando e accertando preliminarmente se la vittima della violazione dell’art. 6 abbia ottenuto nell’ordinamento interno a titolo d’indennizzo del danno una riparazione comparabile all’equa soddisfazione di cui all’art. 41 della Convenzione, da ritenersi appropriata e sufficiente e rapportata, appunto, a quella concessa dalla CEDU in casi simili, di tal fatta che la parte interessata non possa più considerarsi vittima nei termini di cui all’art. 34 della Convenzione?” – “Spetta o no alla Corte europea individuare tutti gli elementi del fatto costitutivo del diritto all’equa riparazione, il quale fatto, pertanto, finisce con l’essere conformato dalla predetta Corte o il giudice interno può dissociarsi dalla giurisprudenza CEDU concedendo un’equa riparazione fissata in misura irragionevolmente difforme da quella riconosciuta dalla Corte sovrannazionale in casi simili?” – “Permane in capo al Giudice a quo l’obbligo di supportare una decisione che si discosta irragionevolmente dagli standard CEDU con riscontri concreti rapportati a quei parametri dettati dalla giurisprudenza della CEDU?”.

2. Il ricorso va dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

I quesiti di diritto, previsti da tale norma a pena d’inammissibilità del ricorso, per assolvere alla loro funzione (Cass. 7 aprile 2009, n. 8463) debbono contenere la sintetica indicazione della fattispecie concreta alla quale si riferiscono, della regola di diritto ad essa applicata dal giudice di merito e della diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie, cosicchè sono inammissibili i motivi che non siano accompagnati da un quesito che risponda a tali caratteristiche, ma contenenti quesiti di diritto che si limitino a chiedere semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge (Cass. 30 settembre 2008, n. 24339; 17 luglio 2008, n. 19769), ovvero quale sia l’esatta intepretrazione di una disposizione di legge. Inoltre, con riferimento al secondo motivo del ricorso, va considerato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. Un. 31 marzo 2009, n. 7770) è ammissibile il motivo di ricorso con il quale si denuncino vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, ma in tal caso il motivo deve concludersi con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro al fine d’individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di diritto. Comunque, allorchè nel motivo si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Cass. SS.UU. 31 marzo 2009, n. 7770; Cass. 25 febbraio 2009, n. 4556; Cass. SS.UU. 18 giugno 2008, n. 16528; Cass. 4 febbraio 2008, n. 2652; Cass. 13 febbraio 2008, n. 3441; 18 luglio 2007, n. 16002).

Nessuno dei quesiti formulati nel ricorso risponde ai su detti requisiti, essendo il primo e il terzo del tutto astratti e privi di riferimento alla fattispecie concreta ed al contenuto della decisione impugnata, mentre il secondo contiene una commistione fra vizi di violazione di legge e vizi motivazionali e non risponde parimenti ai su detti requisiti. Ne deriva l’inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

PQM

LA CORTE DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida nella misura di Euro seicento, oltre le spese prenotate e prenotande a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2010

 

 

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