Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8140 del 23/04/2020

Cassazione civile sez. III, 23/04/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 23/04/2020), n.8140

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32226-2018 proposto da:

M.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO

107, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO GELERA, rappresentato e

difeso dall’avvocato DIEGO ALFREDO CINQUETTI;

– ricorrente –

contro

A.G., in proprio e quale erede del defunto

F.D. (coniuge), F.R. e F.E. quali eredi di

F.D. (figli), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BALDO

DEGLI UBALDI, 66, presso lo studio dell’avvocato SIMONA RINALDI

GALLICANI, rappresentati e difesi dall’avvocato LUCA MARIO NELLO

PEDERNESCHI;

– controricorrenti –

e contro

F.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1329/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 27/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/01/2020 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA;

Fatto

FATTI DI CAUSA

F.D. e A.G., comproprietari e coltivatori diretti di terreni siti nel comune di (OMISSIS), convennero in giudizio M.D. per esercitare il riscatto di un fondo confinante con la loro proprietà, che era stato ceduto ai convenuto da tale P.G..

A sostegno della domanda evidenziarono che, sette mesi prima della detta vendita, il fondo era stato concesso in affitto a M.P., padre del convenuto; contestarono che detto affittuario rivestisse la qualità di coltivatore diretto (non ricorrendo il requisito del “rapporto quantitativo di forza lavoro”, voluto dalla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 31); esclusero, pertanto, che l’insediamento dell’affittuario fosse ostativo all’esercizio del loro diritto di prelazione.

Il Tribunale di Crema rigettò la domanda e la Corte di Appello di Brescia confermò la decisione di prime cure; in particolare, la Corte bresciana ritenne che l’insediamento dell’affittuario fosse stabile (con valutazione che andava compiuta “ex ante” rispetto all’atto di vendita ed a prescindere dai possibili effetti estintivi del rapporto agrario conseguenti all’avvenuto trasferimento del bene in favore di un membro della stessa famiglia coltivatrice) e che ricorressero, altresì, le condizioni per riconoscere all’affittuario la qualità di coltivatore diretto (L. n. 203 del 1982, ex art. 6); a tale ultimo proposito la Corte territoriale precisò che l’accertamento della qualità di coltivatore diretto doveva essere compiuto alla stregua della definizione contenuta nella L. n. 203 del 1982, art. 6 e tenendo conto sia dell’impegno correlato alla coltivazione del fondo di cui trattasi sia di quello richiesto dalla coltivazione degli altri fondi di cui disponeva M.P. e dall’allevamento dei capi di bestiame ivi presenti; considerò, altresì, che il nucleo familiare del M. era composto dalla moglie e dal figlio D., che “nell’azienda agricola lavoravano quattro dipendenti” e che il M. ricorreva a contoterzisti per la mietitura e la produzione dello sfibrato; concluse pertanto che, relativamente agli altri fondi, il rapporto unità lavorativa/superficie fondiaria lavorata era Inferiore a ha 15,18 pro capite” e che “permaneva quindi altra consistente forza lavoro per la coltivazione del fondi di (OMISSIS) (ha 1,22 pro capite) e per la partecipazione all’allevamento del bestiame (1/3 di 1/3 delle ore/anno per capo).

Con sentenza 8285/2014 questa S.C., ritenne inammissibile il primo motivo di ricorso presentato da F.D. e A.G. ed accolse il secondo; in particolare evidenziò che la motivazione offerta dalla sentenza impugnata, per quanto ampia, non risultava sufficiente a giustificare, sul piano logico-giuridico, la conclusione della Corte territoriale concernente il rispetto del parametro dell’apporto – da parte dei componenti della famiglia del M. – di almeno un terzo della forza lavorativa occorrente per le necessità di coltivazione; in definitiva, secondo la S.C., non essendo stato effettuato il computo delle giornate necessarie per la coltivazione dei fondi e per l’allevamento del bestiame, l’apprezzamento che aveva determinato il riconoscimento della qualità di coltivatore diretto in capo al M. non risultava adeguatamente motivato, privo come era di agganci a elementi (ulteriori rispetto a quello della mera estensione dei terreni) effettivamente idonei a giustificare la conclusione cui era pervenuto il giudice di merito.

Con sentenza 1329/2018 la Corte d’Appello di Brescia, quale giudice di rinvio designato dalla S.C. nella riferita sentenza, ha accolto la domanda di riscatto riguardo ai terreni di cui ai mappali (OMISSIS) del NCT del Comune di (OMISSIS) (unici per i quali risultava dimostrata l’adiacenza fisica” rispetto a quello – mappale (OMISSIS) – della parte avversa), ed ha condannato M.D., in ragione della soccombenza, al pagamento delle spese di lite relative ai vari gradi del giudizio di merito ed al giudizio di legittimità; in particolare la Corte territoriale, espletata CTU, ha escluso la sussistenza della condizione impeditiva rappresentata dalla coltivazione diretta del fondo da parte dell’affittuario M.P.; al riguardo ha innanzitutto precisato che, al fine di accertare che le giornate lavorative necessarie per la coltivazione del fondo e per l’allevamento del bestiame non superassero il triplo di quelle proprie del coltivatore e della sua famiglia, era necessario far riferimento non solo al fondo oggetto della vendita riscattata ma anche a tutti gli altri dei quali il coltivatore diretto risultava essere stato proprietario al momento della vendita; ha poi accertato, sulla base delle risultanze dell’espletata CTU, che la forza lavorativa di M.P. e dei familiari coauditori non costituisse almeno un terzo di quella occorrente per le normali necessità di coltivazione del fondo e per l’attività di allevamento del bestiame.

Avverso detta sentenza M.D. propone ricorso per Cassazione, affidato a quattro motivi ed illustrato anche da successiva memoria.

F.R. ed F.E., quali eredi del defunto genitore F.D., nonchè A.G., in proprio e quale erede del defunto marito F.D., resistono con controricorso, anch’esso illustrato da successiva memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – erronea interpretazione della L. n. 203 del 1982, art. 6 e L. n. 817 del 1971, art. 6 si duole che la Corte territoriale in sede di rinvio si sia riferita, nell’accertare la qualifica di coltivatore diretto di M.P., al complesso di attività lavorative alla cui gestione lo stesso era interessato (coltivazione del fondo di cui ai mappali (OMISSIS) di (OMISSIS), coltivazione del fondo di cui ai mappali (OMISSIS) di (OMISSIS), coltivazione del fondo di proprietà del figlio M.D., gestione allevamento di 5.000 suini e 400 bovini), e non invece al solo fondo oggetto di riscatto.

Il motivo è inammissibile.

La doglianza è in contrasto con l’accertamento già compiuto dalla Corte di Cassazione nella sentenza rescindente, con la quale è stato invero richiesto alla Corte territoriale in sede di rinvio una adeguata motivazione con riferimento all’apporto lavorativo relativamente ai fondi gestiti in complesso da M.P. (v. riferimento ad ha 15,18 di terreno) ed all’attività di allevamento (espressamente dalla S.C. ritenuta non meramente secondaria ed accessoria all’attività di coltivazione dei terreni).

Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – “difetto di motivazione o illogicità della stessa in ordine al calcolo dell’apporto lavorativo del coltivatore M.P.”, si duole che la Corte territoriale, nella determinazione di detto apporto, abbia fatto riferimento “tout court” a calcoli previdenziali ed assistenziali relativi al lavoro subordinato estranei alla realtà della vita agricola propria dei coltivatori diretti.

Il motivo è inammissibile.

La doglianza, invero, non indicando un fatto omesso dalla Corte territoriale, non è in linea con la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ratione temporis vigente, come interpretato da Cass. S.U. 8053/2014; la doglianza comunque tende ad una rivisitazione (non consentita in sede di legittimità) dell’accertamento fattuale compiuto dal Giudice del merito, ed è quindi inammissibile anche per detta ragione.

Con il terzo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5-erronea interpretazione della L. n. 590 del 1965, art. 8 e L. n. 817 del 1971, art. 7 si duole che la Corte territoriale in sede di rinvio, così come gli altri giudici del merito, si siano limitati ad esaminare la sussistenza del requisito della libertà del fondo oggetto di prelazione da vincoli contrattuali, senza invece procedere al necessario riscontro, in capo al richiedente il riscatto, degli altri presupposti richiesti dalla legge per ottenerlo (qualifica di proprietario coltivatore diretto con una certa attività di servizio, possesso di manodopera familiare proporzionata, mancata vendita biennale).

Il motivo è inammissibile sia perchè non in linea con la statuizione impugnata (che, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, si è interessata della sussistenza di alcuni dei detti requisiti, ritenendo essere dimostrata ed incontroversa la conduzione del fondo indicato in citazione da parte di F.D. e A.G. e la loro qualità di coltivatori diretti) sia perchè comunque sottopone all’esame di questa S.C. questione nuova, di cui non v’è cenno nella sentenza della S.C. rescindente, e di cuì pertanto la Corte territoriale in sede di rinvio non aveva l’obbligo di farsene carico; al proposito va peraltro ribadito che, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente (non adempiuto nel caso di specie), al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione.

Con il quarto motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – carenza ed illogicità della motivazione in ordine al carico delle spese, si duole che la Corte territoriale, avendo accolto solo in piccola parte le domande dei riscattanti, non abbia poi determinato il riparto delle spese in ragione della rispettiva soccombenza.

Il motivo è inammissibile sia perchè anch’esso non in linea con l’art. 360 c.p.c., n. 5 nuova formulazione, ratione temporis vigente, sia (comunque) perchè correttamente è stata disposta la condanna alle spese in ragione della soccombenza in esito all’esito complessivo del giudizio, senza che sussista alcun obbligo del giudice di compensazione.

In conclusione, quindi, il ricorso è inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato dichiarato inammissibile, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei resistenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 7.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2020

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