Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8140 del 23/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 23/03/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 23/03/2021), n.8140

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9366-2019 proposto da:

TOR SRL – TRUCK ON RAIL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA B. TORTOLINI 30,

presso lo studio dell’avvocato PLACIDI, rappresentata e difesa

dall’avvocato NICOLA MILANO;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI FONTEVIVO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 37, presso lo

studio dell’avvocato MARCELLO FURITANO, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati MARCO ZANASI, CECILIA FURITANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2341/5/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELL’EMILIA ROMAGNA, depositata l’08/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. VITTORIO

RAGONESI.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione tributaria provinciale di Parma, con sentenza n. 305/17, sez. 2, rigettava il ricorso proposto dalla TOR srl Truck on rail avverso l’avviso di accertamento (OMISSIS) per IMU 2013 e 2014.

Avverso detta decisione la società proponeva appello innanzi alla CTR Emilia Romagna che, con sentenza n. 2341/2018, rigettava l’impugnazione.

Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la contribuente sulla base di tre motivi.

Ha resistito con controricorso e memoria il Comune di Fontevivo. La causa è stata discussa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., e decisa con motivazione semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente contesta la sentenza impugnata in ordine alla mancanza di adeguata motivazione da parte degli avvisi di accertamento.

Con il secondo motivo contesta la mancanza di motivazione in ordine alla irrogazione delle sanzioni.

Con il terzo motivo deduce la mancata presa in considerazione del limitato godimento dei beni immobili per cui è causa.

Il primo motivo del ricorso è inammissibile.

La società ricorrente non ha riportato nel ricorso i brani rilevanti degli avvisi di accertamento in relazione ai quali ha dedotto il vizio di mancanza di adeguata motivazione.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso. (ex plurimis Cass. n. 16147/17).

Da ciò consegue che la doglianza non può avere accesso in questa sede di legittimità.

Il secondo motivo è manifestamente infondato.

In ordine alle sanzioni, la Commissione regionale ha rigettato l’appello relativamente alla mancanza di motivazione da parte degli avvisi di accertamento ma lo ha accolto in relazione alla necessità di procedere alla irrogazione di una sanzione unitaria anzichè di una pluralità di sanzioni ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12 comma 5.

Quanto al rigetto, che è l’aspetto che qui rileva, la CTR ha rilevato che “trattandosi di un effetto automatico ricondotto all’inadempimento del contribuente alcuna motivazione particolare, oltre all’omesso versamento deve configurarsi a carico del comune tanto più che la sanzione è stata irrogata nella misura fissa stabilita dalla legge di settore accolto l’appello parzialmente”.

Trattasi di motivazione non solo esistente ma anche corretta e del tutto adeguata in relazione alla semplicità della questione prospettata.

Il terzo motivo è inammissibile prima ancora manifestamente infondato.

La sentenza impugnata ha sul punto affermato quanto segue: “E’ pacifico che la contribuente, proprietaria di beni immobili per un valore complessivo di 5 milioni non abbia assolto, a decorrere dall’anno 2012, l’obbligo di versare le imposte locali sui fabbricati di appartenenza. Il mancato impiego dei beni non produce, come prospettato dall’appellante, una perdita del loro possesso….”.

Tale motivazione è del tutto adeguata oltre che conforme ai principi di legge inerenti il presupposto dell’impugnazione e ripetutamente ribaditi da questa Corte secondo cui “il presupposto dell’ICI non è il possesso dell’immobile, ma la proprietà o altro diritto reale, non una relazione di mero fatto, quindi, ma una relazione giuridicamente qualificata, invero dimostrabile iuris tantum con le annotazioni catastali (Cass. 15 giugno 2010, n. 14420; Cass. 24 maggio 2017, n. 13061)”(Cass. n. 25308/17)

Ciò posto, la ricorrente non ha contestato di essere proprietaria degli immobili come affermato dal giudice di appello, ma ha posto unicamente una questione priva di rilevanza alcuna poichè l’utilizzazione o meno degli immobili è circostanza del tutto irrilevante ai fini della soggezione all’imposta essendo questa costituita dalla esistenza della proprietà o altro diritto reale sull’immobile.

Il ricorso va dunque respinto.

Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 11.000,00 oltre spese prenotate a debito. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2021

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