Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 814 del 15/01/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 814 Anno 2013
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 4734-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE (063633910019, in persona del
Direttore pro tempore, rappresentato e difeso
dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui
Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI, 12;
– ricorrente 2012
3832

contro

DOTTOR NUOCI GIUSEPPE NOCGPP59C13A223D, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 114, presso
lo studio dell’avvocato VALLEBONA ANTONIO, che lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;

Data pubblicazione: 15/01/2013

– controri correnti –

avverso la sentenza n. 7607/2009 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 12/02/2010 r.g.n. 6270/08;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/11/2012 dal Consigliere Dott. VITTORIO

udito l’Avvocato GALLUZZO GIANNA (AVVOCATURA);
udito l’Avvocato PISANI CARLO per delega ANTONIO
VALLEBONA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

NOBILE;

R.G. 4734/2011
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Giudice del lavoro del Tribunale di Roma del 20-6-2007
Giuseppe Nucci, premesso di essere stato assunto dall’Agenzia delle Entrate

2005 per un periodo di cinque anni e di aver cessato tale incarico
anticipatamente per recesso dell’Agenzia ex art. 2 comma 161 dl. 262/2006,
conv. con 1. n. 286/2006, con conseguente rientro nell’Arma dei Carabinieri
(con una retribuzione mensile di euro 4.763,09), deduceva l’illegittimità
dell’anticipata cessazione dell’incarico, sollevando questione di legittimità
costituzionale della norma citata e chiedeva il risarcimento del danno pari alla
differenza tra quanto avrebbe percepito in esecuzione del contratto a termine
fino alla pattuita data di cessazione e la minor somma a lui spettante presso
l’amministrazione di provenienza, oltre al risarcimento del danno consistente
nella perdita del reddito da locazione e nelle spese di ristrutturazione
(dell’appartamento di proprietà che aveva dovuto occupare a seguito del
rilascio dell’alloggio di servizio dell’Arma), del danno alla professionalità e del
danno esistenziale, il tutto per la complessiva somma di euro 516.088,30.
I:Agenzia delle Entrate si costituiva e resisteva al ricorso.
Il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma, con sentenza del 3-4-2008,
respingeva il ricorso e compensava le spese.
Avverso la detta sentenza il Nucei proponeva appello, chiedendone la
riforma, allegando l’intervenuta sentenza della Corte Costituzionale n. 161 del
2008, con riferimento alla normativa applicata nella fattispecie.

quale “dirigente di seconda fascia” con contratto a tempo determinato dal 2-5-

L’Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio deducendo
l’inapplicabilità della sentenza della Consulta al caso di specie e resistendo al
gravame.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 12-2-2010, in

l’effetto condannava l’Agenzia delle Entrate al pagamento in favore del Nucci
della somma di curo 156.338,30, con gli interessi legali sulle somme
annualmente rivalutate fino al soddisfo, oltre alla metà delle spese del doppio
grado.
In sintesi la Corte territoriale, alla luce della intervenuta sentenza della
Corte Costituzionale n. 161 del 2008, ritenuta direttamente applicabile nella
fattispecie, accertava la illegittimità della cessazione anticipata dell’incarico ed
accoglieva la domanda risarcitoria, nella misura pari alla differenza tra la
retribuzione che il Nucci avrebbe percepito fino alla scadenza dell’incarico e la
retribuzione percepita nell’amministrazione di appartenenza. La Corte
d’Appello rigettava, poi, le altre domande.
Per la cassazione di tale sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto
ricorso con tre motivi.
Il Nucci ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente, posto che (dato pacifico) al Nucci era
stato conferito un incarico dirigenziale ai sensi dell’art. 19 comma 6 del d.lgs.
165/2001, in sostanza lamenta che, contrariamente a quanto ritenuto dalla
Corte d’Appello la sentenza della Corte Costituzionale n. 161 del 2008 non
riguardava affatto la fattispecie in esame, in quanto, per dichiarare la
2

riforma della pronuncia di primo grado, accoglieva in parte la domanda e per

illegittimità costituzionale dell’art. 2 comma 161 del dl. 262/2006 in relazione
all’art. 19 comma 6 in oggetto, la Corte Costituzionale è intervenuta con
l’ulteriore autonoma pronuncia n. 81 resa il 5-3-2010.
In specie la ricorrente rileva che la cessazione automatica dell’incarico

161/2008 “esclusivamente con riferimento al personale non appartenente al
ruolo dei dirigenti dell’amministrazione conferente (di cui all’art. 23 del d.lgs.
n. 165/2001) ma appartenenti al ruolo dirigenziale di altra amministrazione,
ossia a coloro ai quali è stato conferito un incarico ai sensi dell’art. 19, comma
5 bis, del d.lgs. n. 165/2001”, per cui “rimaneva del tutto estranea alla
declaratoria di incostituzionalità la parte della disposizione che prevede la
cessazione automatica degli incarichi conferiti ai sensi del successivo comma
6”. Soltanto, quindi, con la successiva pronuncia n. 81 del 5-3-2010
(intervenuta successivamente alla pubblicazione della sentenza della Corte
d’Appello) la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale
dell’art. 2 comma 161 del dl. 262/2006 nella parte relativa agli incarichi
conferiti al personale di cui al comma 6 dell’art. 19 del d.lgs. 165/2001.
Con il secondo motivo, posto che la disposizione, sulla base della quale
l’Agenzia delle Entrate aveva posto in essere la cessazione anticipata
dell’incarico conferito al Nucci, era rimasta vigente fino al 5-3-2010, la
ricorrente deduce che “la pronuncia di incostituzionalità ha effetto retroattivo
ma tale effetto …non consente di qualificare come illecito il comportamento
dell’amministrazione antecedentemente alla pronuncia che ne abbia sancito
l’incostituzionalità ed è pertanto inidonea a fondare la pretesa risarcitoria con
cui si rivendichi il ristoro di conseguenze dannose che siano asseritamente
3

dirigenziale è stata dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n.

derivate”, non essendo l’ipotetico danno “imputabile al comportamento
dell’amministrazione”.

fP

In particolare la ricorrente rileva che la retroattività delle pronunce di
illegittimità costituzionale riguarda la antigiuridicità delle disposizioni (o

delle pronunce della Corte Costituzionale ex art. 136 Cost.), neanche ai
rapporti pregressi, non ancora “esauriti”, ma non consente di “configurare
retroattivamente, quanto fittiziamente, la “colpa” del soggetto che, prima della
declaratoria di incostituzionalità, abbia “conformato” il proprio comportamento
alle disposizioni (o norme), solo successivamente, investite da quella
declaratoria”, con la conseguenza che erroneamente la Corte d’Appello “ha
riconosciuto fondata la pretesa risarcitoria del Nucci a fronte di un
comportamento dell’Agenzia immune da profili di imputabilità per il periodo
antecedente alla dichiarazione di incostituzionalità della norma che ha disposto
la cessazione degli incarichi” in oggetto, avvenuta soltanto il 5-3-2010.
In sostanza, secondo la ricorrente nella fattispecie “non viene in
discussione la retroattività della pronuncia di incostituzionalità con
conseguente illegittimità della cessazione anticipata dell’incarico conferito al
dott. Nucci, bensì tale effetto non è suscettibile di produrre conseguenze di
tipo risarcitorio in capo all’amministrazione in quanto la cessazione non è
comunque imputabile all’Agenzia stessa, in capo alla quale non è ravvisabile
alcun profilo di colpa”. D’Altra parte il Nucci con il ricorso introduttivo si era
limitato ad avanzare una pretesa meramente risarcitoria e non aveva chiesto la
reintegra nel posto di lavoro.

norme) investite, non più applicabili (dal giorno successivo alla pubblicazione

Con il terzo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte
in cui ha ritenuto che l’Agenzia avrebbe con il proprio comportamento
“comunque violato i principi generali di correttezza e buona fede, non potendo
automaticamente ritenere cessato il rapporto non confermato”. All’uopo la

riconducibile alla volontà del legislatore e non imputabile all’Agenzia delle
Entrate”, la quale non poteva “esimersi dal dare applicazione” alla norma di
legge ed “era vincolata al contenuto della norma stessa che prevedeva un
effetto automatico di cessazione del rapporto”.
11 primo motivo è fondato e va accolto.
Osserva il Collegio che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 161 del
2008 ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 161, del
decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 , convertito, con modificazioni,dall’art. I.
comma 1, della legge 24 novembre 2006, n. 286, nella parte in cui dispone che
gli incarichi conferiti al personale non appartenente ai ruoli di cui all’art. 23 del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, conferiti prima del 17 maggio 2006,
cessano ove non confermati entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore
del presente decreto”.
In particolare la Corte, partendo dalle “modalità di conferimento degli
incarichi di dirigenza generale dello Stato” ha evidenziato: a) che “innanzitutto,
i predetti incarichi possono essere attribuiti a personale inserito nel cosiddetto
<

articolato in due fasce (art. 23 del d.lgs. n. 165 del 2001)”; b) che “in secondo
luogo, le funzioni dirigenziali possono essere conferite, entro il limite del 10
per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia

ricorrente deduce che, all’epoca, tale cessazione “era direttamente

dei ruoli di cui all’art. 23, e del 5 per cento della dotazione organica di quelli di
seconda fascia, < medesimo articolo 23», purché dipendenti da “altre” amministrazioni
pubbliche (art. 19, comma 5-bis, del citato d.lgs. n. 165 del 2001), vale a dire

posto da conferire”; e) che “infine, è prevista la possibilità che ciascuna
amministrazione attribuisca la titolarità di tali uffici dirigenziali, a tempo
determinato, a < professionale», in possesso dei requisiti specificamente previsti dal comma 6
dello stesso art. 19”.
Con esplicito riferimento, poi, alla seconda tipologia indicata (incarichi di
cui all’art. 19, comma 5 bis, citato), che veniva in rilievo in quella sede, la
Corte, sulla scia della precedente pronuncia n. 103 del 2007 (concernente la
declaratoria di incostituzionalità dell’art. 3 comma 7 della legge n. 145 del
2002) ha affermato che la norma denunciata “prevedendo la immediata
cessazione del rapporto dirigenziale alla scadenza del sessantesimo giorno
dall’entrata in vigore del decreto-legge n. 262 del 2006, in mancanza di
riconferma”, parimenti violava “in carenza di idonee garanzie procedimentali, i
principi costituzionali di buon andamento e imparzialità e, in particolare, <<il
principio di continuità dell’azione amministrativa che è strettamente correlato a
quello di buon andamento dell’azione stessa».” “Ciò in quanto la previsione
di una anticipata cessazione ex lege del rapporto in corso – in assenza di una
accertata responsabilità dirigenziale

impedisce che l’attività del dirigente

possa espletarsi in conformità ad un nuovo modello di azione della pubblica
amministrazione, disegnato dalle recenti leggi /riforma della pubblica

da amministrazioni dello Stato diverse da quelle nel cui ambito è collocato il

amministrazione, che misura l’osservanza del canone dell’efficacia e
dell’efficienza <>”.

riferimento alla tipologia di incarichi indicata specificamente nel comma 6
dell’art. 19 citato, ha affermato che, le medesime ragioni valgono “anche
quando l’incarico dirigenziale esterno sia stato conferito non a dirigenti
dipendenti da altre amministrazioni, ma a soggetti privi di status dirigenziale,

non sia rinvenibile nei ruoli dell’amministrazione”. “Anche in presenza di tali
incarichi”, infatti, l’amministrazione “è tenuta a garantire la distinzione
funzionale tra attività di indirizzo politico amministrativo e attività gestionale,
in attuazione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità
dell’azione dei pubblici poteri.”.
Tanto rilevato è evidente che, trattandosi nella fattispecie di incarico
conferito ex art. 19, comma 6, del d.lgs. 165 del 2001 (dato pacifico in causa),
soltanto con la sentenza della Corte Costituzionale n. 81 del 2010 è stato
dichiarato incostituzionale il presupposto legislativo della risoluzione
anticipata del rapporto de quo.
La precedente sentenza n. 161 del 2008, infatti, ha riguardato soltanto gli
“incarichi conferiti al personale non appartenente ai ruoli di cui all’art. 23 del
d.lgs. n. 165 del 2001”, rientranti nella seconda tipologia sopra richiamata,
contemplata dall’art. 19, comma 5 bis, dello stesso d.lgs. 165 del 2001.
Del resto se così non fosse stato e se la pronuncia del 2008 avesse
riguardato anche gli incarichi ex art. 19, Gomma 6, dello stesso d.lgs., la Corte
Costituzionale nel 2010, anziché provvedere come sopra, avrebbe
semplicemente dichiarato inammissibile la relativa questione di illegittimità
costituzionale, in quanto priva di oggetto.

che abbiano <›, che

Peraltro il Tribunale di Roma, nell’ordinanza di rimessione del 24-2-2009,
già aveva evidenziato che al di là del mero tenore letterale della parte
dispositiva, l’esame complessivo della precedente sentenza n. 161 del 2008
rivelava chiaramente come la Corte Costituzionale avesse inteso “avere

pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 e munito di

staius dirigenziale (sebbene non appartenente ai ruoli di cui all’art. 23), cui si
riferisce il comma 5 bis dell’art. 19” dello stesso d.lgs..
Soltanto, quindi, con la sentenza n. 81 del 2010 si è completato il quadro
relativo alla incostituzionalità dello spoils system transitorio o una tantum, di
cui al d.i. 286/2006, con riferimento agli incarichi come quello ricoperto dal
Nucci (per lo ,spoils system a regime, con riferimento all’art. 19, comma 8,
citato, nel testo vigente prima dell’entrata in vigore dell’art. 40 del d.lgs. n. 150
del 2009, v. le successive C. Cost. n. 124/201 l e n. 246/2011; per la legittimità,
invece, dello spoils system riguardante i dirigenti apicali o comunque assegnati
agli uffici di diretta collaborazione legati da un rapporto strettamente fiduciario
con l’organo di governo v. C. Cost. n. 304/2010).
In tali sensi va quindi accolto il primo motivo.
Parimenti fondati risultano, poi, il secondo e il terzo motivo, connessi fra
loro.
Premesso che nella fattispecie è stata avanzata soltanto la mera pretesa
risarcitoria del danno conseguente alla illegittimità della risoluzione

anle

ternpus del rapporto a termine relativo all’incarico dirigenziale e parametrato
alle differenze retributive fino alla scadenza del previsto termine (senza
richiesta alcuna in ordine alla prosecuzione del rapporto stesso), rileva il
9

esclusivo riguardo al personale comunque dipendente di amministrazioni

Collegio che questa Corte già con la sentenza delle Sezioni Unite 21-8-1972 n.
2697, ha affermato il principio secondo cui “nel campo dell’illecito, inteso in
senso lato, la retroazione della pronuncia d’incostituzionalita è limitata in
quanto se può riconoscersi efficacia retroattiva alla cosiddetta antigiuridicità,

colpevolezza. Pertanto la colpa, intesa quale atteggiamento psichico del
soggetto, mentre non può sussistere riguardo ad un comportamento autorizzato
od imposto da una norma cogente, anche se incostituzionale, fino a che essa sia
in vigore ed efficace; peraltro non viene in essere retroattivamente per la
caducazione della norma stessa posto che in tale ipotesi la retroazione della
dichiarazione d’incostituzionalita si risolverebbe nella statuizione di una
inammissibile finzione di colpa.”
Tale principio è stato costantemente ribadito da questa Corte e le stesse
Sezioni Unite (v. Cass. S.U. 30-7-1993 n. 8478) hanno anche chiarito che la
c.d. retroattività delle pronunce di incostituzionalità “è limitata alla
“antigiuridicità” delle disposizioni (o norme), che ne siano investite. Queste,
infatti, non sono più applicabili – a far tempo dal giorno successivo alla
pubblicazione delle pronunce della Corte (art. 136 Cost.) (non solo ai rapporti
giuridici futuri, ma) neanche ai rapporti pregressi, che non siano ancora
“esauriti”. Le pronunce stesse, tuttavia, non consentono di configurare retroattivamente, quanto fittiziamente (vedi S.U. 2767-72) – la “colpa” del
soggetto che – prima della declaratoria di incostituzionalità – abbia
“conformato” il proprio comportamento alle disposizioni (o norme), solo
successivamente, investite da quella declaratoria. Esula, pertanto, la
responsabilità – per tale comportamento – ove la “colpa” dell’agente, appunto,
10

non può ammettersi che si configuri retroattivamente la cosiddetta

sia elemento essenziale dell’illecito, che ne risulti configurabile. Infatti è,
proprio, il difetto della “colpa” che – pur ricorrendone tutti gli altri requisiti
essenziali – esclude la stessa configurabilità – in comportamenti “conformi” a
disposizioni (o norme), solo successivamente, dichiarate incostituzionali – non

obbligazioni pecuniarie, ma anche di qualsiasi illecito contrattuale od
extracontrattuale (vedi, per tutte, S.U. 2767-72, cit., 1576-71, sez. lav. 22497), nonché dell’inadempimento legittimante la risoluzione del contratto (vedi
sez. 3, n. 4195-74). Ad opposta conclusione devesi, invece, pervenire ove la
“colpa” dell’agente non sia elemento essenziale della fattispecie considerata”
(come in quel caso di specie relativo agli interessi sui crediti previdenziali.)
In tale quadro si è, quindi, sviluppata la giurisprudenza successiva, così
più volte riaffermandosi il principio secondo cui “l’efficacia retroattiva delle
sentenze dichiarative dell’illegittimità costituzionale di una norma, se comporta
che tali pronunzie abbiano effetto anche in ordina ai rapporti svoltisi
precedentemente (eccettuati quelli definiti con sentenza passata in giudicato e
le situazioni comunque definitivamente esaurite) non vale a far ritenere illecito
il comportamento realizzato, anteriormente alla sentenza di incostituzionalità,
conformemente alla norma successivamente dichiarata illegittima, non potendo
detto comportamento ritenersi caratterizzato da dolo o colpa” (v. Cass. 26-71996 n. 6744, cfr. Cass. 3-2-1999 n. 941, Cass. 10-2-1999 n. 1138, Cass. 14-41999 n. 3702, Cass. 5-6-2000 n. 7487, Cass. 12-11-2002 n. 15879, Cass. 4-52004 n. 8432, Cass. 22-7-2004 n. 13731, Cass. 13-11-2007 n. 23565).
A tale indirizzo il Collegio intende dare continuità, trattandosi nella
fattispecie di semplice pretesa risarcitoria da illecito contrattuale, in relazione
11

solo della responsabilità (ex art. 1224 C.C.), per inadempimento di

alla quale non è certamente ravvisabile una ipotesi (pur sempre eccezionale) di
responsabilità che prescinda dalla colpa, (elemento che accomuna la
responsabilità contrattuale a quella aquiliana, seppure la prima abbia un

frg

particolare diverso regime probatorio – art. 1218 c.c., rispetto all’art. 2043 c.c. –

Ciò ancor più se si considera che la pubblica amministrazione (nella
specie Agenzia delle Entrate) era comunque tenuta a conformarsi alla norma di
legge fino alla pronuncia di incostituzionalità (ex artt. 97 e 136 Cost.) e che
prima di tale pronuncia neppure era configurabile una violazione dei principi di
correttezza e buona fede nella applicazione “passiva” del decreto legge,
convertito, che fissava semplicemente una cessazione automatica degli
incarichi de quibus non confermati entro sessanta giorni dalla sua entrata in
vigore, null’altro essendo al riguardo imposto dal legislatore alla
amministrazione pubblica.
Pertanto, atteso che, in generale, in caso di illegittima risoluzione
anticipata del rapporto di lavoro a termine spetta al lavoratore il risarcimento
dei danno commisurato alle retribuzioni che lo stesso avrebbe maturato fino
alla scadenza del termine (v. fra le altre Cass. 8-6-1995 n. 6439, Cass. 1-72004 n. 12092, Cass. 22-12-2008 n. 29936) e considerato che nella fattispecie
l’illecito è imputabile ed il danno è risarcibile solo dal giorno successivo alla
pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 81 del 2010, deve
ritenersi che siano dovute al Nucci soltanto le differenze retributive che
sarebbero spettate da tale giorno fino alla scadenza del termine previsto in
contratto (1-5-2010).

12

),

In tal senso va accolto il ricorso e l’impugnata sentenza va cassata con
rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, la quale,
statuendo anche sulle spese di legittimità, provvederà attenendosi ai principi
sopra riaffermati.

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per
le spese, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.
Roma 15 novembre 2012

P.Q.M.

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