Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8139 del 11/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 11/04/2011, (ud. 15/12/2010, dep. 11/04/2011), n.8139

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

M.A., SORIT SPA, GOMBONE AGRICOLA SRL IN LIQUIDAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 31/2005 della COMM. TRIB. REG. di PERUGIA,

depositata il 17/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2010 dal Consigliere Dott. MARIAIDA PERSICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato ZERMAN PAOLA MARIA, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società Gommone Agricola in liquidazione s.r.l.,ricorreva avverso l’avviso di liquidazione emesso per Irpeg ed Ilor per gli anni d’imposta 1991 e 1992: eccepiva tra altro, per quanto qui interessa, la mancata applicazione dell’istituto della continuazione e della progressione delle violazioni relative alle due annualità. La Commissione Tributaria Provinciale, accogliendo parzialmente, annullava iscrizione a ruolo relativa alle sanzioni per mancata applicazione dell’istituto della continuazione.

L’agenzia proponeva appello avverso tale decisione censurando la mancata rideterminazione della pena da parte del giudice di primo grado, in luogo del disposto annullamento dell’iscrizione a ruolo, dovendo essere il giudice che prende cognizione dell’ultima violazione a rideterminare la sanzione complessiva.

L’adita Commissione Tributaria Regionale, contumace la contribuente, in riforma dell’impugnata sentenza, rideterminava le sanzioni irrogate applicando il principio della continuazione; calcolava le stesse partendo dal minimo edittale.

Contro tale decisione, di cui in epigrafe, ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate con ricorso articolato su di un motivo unico.

L’intimata non ha controdedotto.

Motivazione:

L’agenzia denuncia con il ricorso in esame la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè ex art. 360 c.p.c., n. 5, il vizio di motivazione. Denuncia che il giudice dell’appello ha – erroneamente perchè in extrapetizione – pronunciato sull’entità della sanzione, sulla quale la contribuente non aveva mai, nè con il ricorso introduttivo nè nella fase dell’appello nella quale era rimasta contumace, proposto alcuna eccezione.

La censura è infondata, a prescindere dai profili di inammissibilità della stessa sotto il profilo dell’autosufficienza del ricorso, con riferimento alla prima parte della stessa, ed alla genericità della doglianza con riferimento al vizio di motivazione meramente enunciato.

Come questa Corte ha costantemente affermato (ex plurimis Cass. n. 1170 del 2004) ” Se è vero che la Corte di Cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, quale indubbiamente il vizio di ultra o extrapetizione, è anche giudice del fatto ed ha il potere – dovere di esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia, per il sorgere di tale potere – dovere è necessario, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per i principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale.” Nel caso di specie il ricorrente non ha riprodotto gli atti del processo di merito (in particolare il ricorso introduttivo è atto di appello) confermativi della sua tesi di mancata richiesta da parte del contribuente di valutazione del quantum della sanzione e quindi di pronuncia in extrapetizione. In tal modo, mancando al dovere di autosufficienza del ricorso, non ha messo la Corte in grado di esercitare il suo compito istituzionale di controllo di legalità.

A tanto aggiungasi la riflessione a cui necessita il principio già enucleato da questa Corte che ha affermato (Cass. n. 25376 del 2008):

“Il processo tributario non è annoverabile tra quelli di impugnazione-annullamento, bensì tra quelli di impugnazione-merito, in quanto non diretto alla mera eliminazione dell’atto impugnato ma alla pronunzia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’amministrazione finanziaria; ne consegue che il giudice, ove ricorrono i necessari presupposti processuali della sua rituale investitura, ha il potere-dovere di esaminare anche tutti i possibili aspetti del potere sanzionatorio esercitato dall’ente impositore, nonchè il potere di determinare (nell’ambito delle richieste delle parti) l’entità delle sanzioni effettivamente dovute. Quando il giudice è investito della valutazione di un atto impositivo che non ha correttamente determinato la sanzione (nel caso di specie, per non avere applicato l’istituto della continuazione D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 12), non deve limitarsi a dichiarare la nullità dell’atto medesimo, ma deve provvedere a rideterminare l’entità delle sanzioni effettivamente dovute (nell’ambito delle richieste delle parti).” Nel caso di specie è pacifico, risultando anche dalla scarna sentenza impugnata oltre che dal ricorso stesso, che il giudice dell’appello, in accoglimento dell’appello dell’ufficio, ha ritenuto che, riconosciuta l’illegittimità della sanzione irrogata per mancata applicazione dell’istituto della continuazione, non dovesse essere disposto l’annullamento della relativa iscrizione a ruolo, ma dovesse essere rideterminata l’entità delle sanzioni effettivamente dovute in relazione al fatto portato alla sua cognizione. Nell’ambito di tale suo potere-dovere il giudice dell’appello ha ritenuto, con valutazione in fatto incensurabile in tale sede, che la sanzione congrua per la fattispecie come portata al suo esame dalle parti fosse quella calcolata partendo da minimo edittale.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alle spese del giudizio di legittimità atteso che l’intimato non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2011

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