Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8139 del 02/04/2010

Cassazione civile sez. I, 02/04/2010, (ud. 11/01/2010, dep. 02/04/2010), n.8139

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29305/2008 proposto da:

C.G. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14, presso l’avvocato

BARBANTINI Maria Teresa, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato CERRUTI DISMA VITTORIO, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEGLI INTERNI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1024/2008 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 12/08/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

11/01/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FELICETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Ministero dell’Interno, con citazione 3 novembre 1995, conveniva dinanzi al tribunale di Genova il Sig. C. G., esponendo che il Ministero della Giustizia rumeno, in applicazione della Convenzione di New York 20 giugno 1956, per il recupero degli alimenti all’estero, ratificata dall’Italia con L. 23 marzo 1958, n. 338, si era rivolto ad esso attore per ottenere, ai sensi dell’art. 2, paragrafo 2, della Convenzione, il recupero degli alimenti dovuti dal C. in favore del figlio minore A., da lui riconosciuto con atto in data 8 giugno 1989.

Chiedeva pertanto che egli fosse dichiarato tenuto al pagamento, in favore di detto figlio di un assegno mensile di L. 300.000, con decorrenza dalla data di nascita sino al raggiungimento della maggiore età, con condanna a pagare i ratei scaduti e non pagati, con interessi e rivalutazione. Il convenuto si costituiva eccependo, fra l’altro, che il contraddittorio doveva essere integrato nei confronti della madre del minore e chiedendo nel merito la reiezione della domanda. Il tribunale di Genova, con sentenza del 6 settembre 1999, dichiarava il C. tenuto al pagamento di un assegno mensile di L. 200.000 a decorrere dalla data della domanda. La sentenza veniva impugnata dal C. e, in contraddittorio con il Ministero dell’Interno, la Corte d’appello di Genova, con sentenza depositata il 12 agosto 2008 e notificata il 7 ottobre 2008, rigettava il gravame, ritenendo inammissibili i primi tre motivi per difetto di specificità. Il C. ha proposto ricorso avverso tale sentenza con atto notificato al Ministero dell’Interno, formulando due motivi. La parte intimata non ha depositato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 342 c.p.c. e degli artt. 101 e 102 c.p.c., nonchè dell’art. 2 della Convenzione di New York 20 giugno 1956, ratificata dall’Italia con L. 23 marzo 1958, n. 338, per non avere la Corte d’appello integrato il contraddittorio nei confronti della madre del minore. Si deduce al riguardo che l’appello è un mezzo d’impugnazione a critica libera e a carattere devolutivo, con finalità di “revisio prioris instantiae” e “le argomentazioni che l’appellante deve espressamente inserire nell’atto con cui impugna la sentenza del giudice del giudice di prime cure assumono non solo una rilevanza fondamentale perchè esse devono scardinare il fondamento logico-giuridico delle proposizioni contenute nella sentenza impugnata, ma svolgono anche la funzione d’individuare concretamente le statuizioni di primo grado oggetto di appello e definire l’ambito d’indagine del giudice di secondo grado”.

L’atto d’appello, in relazione a tali principi, secondo il ricorrente presentava i requisiti richiesti dall’art. 342 c.p.c. e la Corte d’appello avrebbe errato nell’avere ritenuto non necessaria detta integrazione del contraddittorio per il fatto che l’art. 2 della Convenzione ha attribuito la legittimazione ad agire al Ministero dell’Interno. Ne risulterebbe violato anche l’art. 24 Cost., sotto il profilo che sarebbe violato il diritto di esso ricorrente al contraddittorio nei confronti del soggetto che è, sotto il profilo sostanziale, suo “ineludibile contraddittore”.

Si formula in proposito il seguente quesito di diritto: “La disposizione di cui all’art. 2 della Convenzione di New York 20 giugno 1956, ratificata dall’Italia con L. 23 marzo 1958, n. 338, che attribuisce al Ministero dell’Interno la legittimazione in via esclusiva per il recupero degli alimenti all’estero può essere interpretata nel senso di escludere dal contraddittorio il genitore naturale straniero che propone l’istanza di assegno alimentare in forza della predetta Convenzione?”.

Il motivo va dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

Il quesito di diritto, per assolvere alla sua funzione (Cass. 7 aprile 2009, n. 8463) deve contenere, a pena d’inammissibilità del motivo, la sintetica indicazione della fattispecie concreta alla quale è riferito, della regola di diritto ad essa applicata dal giudice di merito e della diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie, cosicchè è inammissibile il motivo contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge (Cass. 30 settembre 2008, n. 24339; 17 luglio 2008, n. 19769), ovvero quale sia l’esatta intepretrazione di una disposizione di legge. Nel caso di specie il quesito non solo non risponde a tali requisiti, ma non è neppure in alcun modo rapportabile alla “ratio decidendi” della sentenza impugnata, la quale aveva dichiarato inammissibile il motivo di ricorso al quale il quesito si riferisce per difetto di specificità.

2. Con il secondo motivo si denuncia insufficiente motivazione della sentenza impugnata in relazione alla liquidazione e congruità dell’assegno alimentare.

Anche tale motivo è inammissibile.

Infatti, allorchè nel motivo di ricorso si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Cass. SS.UU. 31 marzo 2009, n. 7770; Cass. 25 febbraio 2009, n. 4556; Cass. SS.UU. 18 giugno 2008, n. 16528; Cass. 7 aprile 2008, n. 8897; 4 febbraio 2008, n. 2652; 13 febbraio 2008, n. 3441;

18 luglio 2007, n. 16002). Mancando nel motivo tale indicazione riassuntiva anche il secondo motivo deve essere dichiarato inammissibile.

Ne consegue l’inammissibilità dell’intero ricorso. Nulla va statuito sulle spese non avendo la parte intimata depositato difese.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2010

 

 

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