Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8135 del 23/04/2020

Cassazione civile sez. III, 23/04/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 23/04/2020), n.8135

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4406-2018 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SALLUSTIANA

26, presso lo studio dell’avvocato GIULIO RAFFAELE IPPOLITO,

rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO RAFFIO;

– ricorrente –

contro

ALLIANZ SPA, nelle persone dei procuratori speciali, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA L. BISSOLATI 76, presso lo studio

dell’avvocato TOMMASO SPINELLI GIORDANO, che la rappresenta e

difende;

ISTITUTO NEUROLOGICO MEDITERRANEO NEUROMED SRL, in persona del

Presidente del CDA e Legale Rappresentante, domiciliato ex lege in

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato

e difeso dall’avvocato NICOLINO IACOVONE;

AMISSIMA ASSICURAZIONI SPA, già CARIGE ASSICURAZIONI SPA, in persona

del procuratore speciale Dott. A.C., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA L. BISSOLATI 76, presso lo studio

dell’avvocato TOMMASO SPINELLI GIORDANO, che la rappresenta difende;

– controricorrenti –

e contro

I.G., UNIPOL ASSICURAZIONI SPA, REALE MUTUA

ASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 399/2016 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 20/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/01/2020 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

Fatto

RILEVATO

che:

M.F. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Isernia l’Istituto NEurologico Mediterraneo – NEuromed s.p.a. e I.G. chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti all’intervento chirurgico di asportazione di un’ernia dal disco “L1-L2” che aveva determinato postumi invalidanti al livello di deambulazione. Si costituirono i convenuti chiamando in causa le rispettive società assicuratrici. Il Tribunale adito, previa CTU, rigettò la domanda. Avverso detta sentenza propose appello il M.. Con sentenza di data 20 dicembre 2016 la Corte d’appello di Campobasso rigettò l’appello.

Osservò la corte territoriale, con riferimento all’eccepita nullità della CTU per mancanza delle fasi di osservazioni dei consulenti di parte ed eventuali controdeduzioni del consulente, che tutte le operazioni peritali erano avvenute alla presenza del consulente di parte del M. (Dott. C.G.) e che l’appellante non aveva opposto specifiche argomentazioni a quelle del Tribunale, ed in particolare: al consulente di parte era stata inviata la relazione di CTU; nel successivo incontro il Dott. C., presa visione della bozza di consulenza, aveva sollevato generiche osservazioni orali, riservandosi di presentare note scritte che però non aveva fatto pervenire, neanche entro il termine prorogato su richiesta del CTU; non poteva accordarsi una proroga alla parte, non essendo prevista la comunicazione della proroga disposta in favore del CTU ed essendo onere della parte chiedere una proroga per sopravvenuta indisponibilità del proprio consulente. Aggiunse, con riferimento alla questione del consenso informato, che in violazione dell’art. 342 c.p.c. l’appellante non aveva considerato la motivazione del Tribunale, secondo cui l’insussistenza di un valido consenso informato era stata dedotta dopo la scadenza del termine per il deposito delle memorie ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 4, (peraltro l’istanza sarebbe stata inammissibile perchè fondata su fatti costitutivi diversi dalla pretesa risarcitoria).

Osservò inoltre la corte territoriale che decisivo per la risoluzione della controversia era che nella stessa memoria depositata a supporto dell’appello, e redatta dal Dott. R., era stato affermato che negli interventi di chirurgia vertebrale vi era la possibilità di complicanze, soprattutto in presenza di gravi ed irreversibili sequele neurologiche e settiche come nel caso di specie, così come riconosciuto dal CTU. Aggiunse che era opportuno trascrivere gli argomenti del CTU, adoperati per giungere alla (condivisibile) conclusione dell’esclusione di colpa medica, anche perchè in grado di lumeggiare l’infondatezza dei rilievi di segno contrario del consulente di parte appellante (l’atteggiamento attendista da prospettare al paziente stante l’assenza di urgenza, le pecche in fase di diagnosi, l’errore nella manovra chirurgica, la cattiva gestione della fase successiva). Esponendo il contenuto della CTU, precisò il giudice di appello quanto segue: in base all’entità della sintomatologia dolorosa e soprattutto in base alla sensibile compressione delle strutture nervose, corretta era stata la scelta di intervenire chirurgicamente; sia la preparazione che l’esecuzione dell’intervento era stata corretta; il sopravvenuto danno al paziente, pur se dipendente dall’atto chirurgico, non era ascrivibile all’intervento, ma alle complicanze di un intervento di tale tipo ed in particolare si doveva supporre che con le manovre chirurgiche eseguite, pur con tutti gli accorgimenti del caso, si era accentuata la sofferenza su base ischemica cui erano già soggette in modo marcato le radici nervose. Concluse quindi nel senso che il Tribunale aveva vagliato le osservazioni svolte dall’attore e le aveva disattese con corretti e condivisibili motivi.

Ha proposto ricorso per cassazione M.F. sulla base di sei motivi e resistono con distinti controricorsi Istituto NEurologico Mediterraneo – NEuromed s.p.a., Amissima Assicurazioni s.p.a. e Allianz s.p.a.. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. E’ stata presentata memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 att., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva il ricorrente che la decisione impugnata è affetta da motivazione apparente in quanto si limita a rinviare alla decisione di primo grado ed a trascrivere il contenuto della relazione di CTU senza alcuna esplicitazione delle ragioni di condivisione e senza avere argomentato in ordine alle contestazioni mosse avverso il contenuto erroneo della consulenza.

Il motivo è infondato. Va rammentato in via preliminare che la sentenza d’appello può essere motivata “per relationem”, purchè il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicchè dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass. 5 agosto 2019, n. 20883; 5 novembre 2018, n. 28139; 19 luglio 2016, n. 14786). La corte territoriale ha dato conto delle ragioni della conferma della decisione di primo grado.

In primo luogo, come si evince dall’illustrazione della ratio decidendi, determinante per il giudice di appello è che nella “memoria” tecnica allegata all’appello si riconosca ciò che ha evidenziato lo stesso CTU, e cioè la possibilità di complicanze, soprattutto in presenza di gravi ed irreversibili sequele nEurologiche e settiche come nel caso di specie. Nella motivazione si valorizza in modo particolare la convergenza sul punto fra le conclusioni del CTU e quelle del parere tecnico di parte.

In secondo luogo non risponde a verità che il giudice del gravame non si sia confrontato con i rilievi tecnici di parte. Al riguardo va subito precisato che i rilievi in questione non provengono dal consulente di parte nominato in sede di CTU in primo grado, ma da una “memoria” prodotta con l’appello e redatta da un diverso tecnico, come si evince dalla motivazione della sentenza impugnata. Trattasi pertanto di mere allegazioni difensive, rispetto alle quali non vi è un obbligo di analitica confutazione da parte del giudice, essendo sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter logico seguito, implicitamente disattendendo gli argomenti morfologicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Cass. 29 luglio 2011, n. 16650; 11 febbraio 2002, n. 1902). Il giudice di appello ha elencato i temi posti dai rilievi di parte (l’atteggiamento attendista da prospettare al paziente stante l’assenza di urgenza, le pecche in fase di diagnosi, l’errore nella manovra chirurgica, la cattiva gestione della fase successiva) e ha richiamato i singoli passaggi della CTU, reputati idonei al fine di evidenziare, come si legge nella motivazione, “l’infondatezza” delle argomentazioni di segno contrario.

Con il secondo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva il ricorrente che nella motivazione vi è assoluta carenza di osservazioni in ordine ai rilievi critici mossi dal Dott. R. e che la corte d’appello si è astenuta dal valutare l’unico elemento certo ed incontrovertibile, rappresentato dai danni fisici irreversibili e dalle sofferenze emersi dopo l’intervento. Aggiunge che, avendo lo stesso CTU collegato i danni fisici all’intervento chirurgico, incomprensibili e contraddittorie appaiono le conclusioni del medesimo CTU, il quale non ha poi dato conto delle lacune rappresentate nella perizia di parte (assenza di esami pre-operatori, atteggiamento attendista da prospettare al paziente, negligenze post-operatorie), e che alla luce di tali rilievi fondata era la richiesta di rinnovo della CTU.

Il motivo è inammissibile. Nella censura si indica quale fatto omesso, rilevante ai fini del denunciato vizio motivazionale, esclusivamente la circostanza del pregiudizio alla salute conseguente all’intervento chirurgico. Trattasi all’evidenza di fatto esaminato dal giudice di appello ed eziologicamente ricondotto alle complicanze del tipo di intervento. Per il resto la censura verte sulla mancata considerazione dei rilievi tecnici di parte (integrante eventualmente una censura di motivazione apparente), su cui si rinvia a quanto osservato a proposito del precedente motivo, e sulle incongruenze della CTU ed il mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione della consulenza, che costituiscono profili rimessi al giudizio di fatto del giudice di merito ed alla sua valutazione discrezionale (cfr. Cass. 20 agosto 2019, n. 21525). Dalla motivazione della sentenza impugnata si evincono le ragioni per le quali il giudice di merito ha ritenuto superflua la rinnovazione della CTU, e cioè la ritenuta esaustività, anche con riferimento ai rilievi di parte proposti in sede di appello, della consulenza eseguita in primo grado.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.. Osserva il ricorrente che la CTU, come eccepito nella prima difesa successiva al deposito della stessa, è affetta da nullità relativa, non essendo stato comunicato al consulente di parte il nuovo termine per il deposito della CTU, il quale non aveva così avuto la possibilità di prendere in considerazione le istanze delle parti.

Il motivo è inammissibile. Il giudice di appello ha affermato che, con riferimento alla questione della nullità della CTU, l’appellante “non ha contrapposto alcuna specifica e coerente argomentazione di segno contrario”. In tal modo deve intendersi che abbia ritenuto inammissibile ai sensi dell’art. 342 c.p.c. il motivo di appello per difetto di specificità. Tale ratio decidendi non risulta impugnata, sicchè la censura è priva di decisività.

Ad ogni buon conto va rammentato che in tema di consulenza tecnica d’ufficio, ai sensi dell’art. 194 c.p.c., comma 2, e dell’art. 90 disp. att. c.p.c., comma 1, alle parti va data comunicazione del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni peritali, mentre analogo obbligo di comunicazione non sussiste quanto alle indagini successive, incombendo sulle parti l’onere d’informarsi sul prosieguo di queste al fine di parteciparvi (fra le tante da ultimo Cass. 18 marzo 2014, n. 6195).

Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112,345,342,163 e 167 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva il ricorrente, con riferimento al consenso informato, che non vi era stata violazione del principio di specificità nel motivo di appello perchè, se è vero che nella domanda originaria era stato richiesto il risarcimento di tutti i danni “sofferti dall’attore in conseguenza dell’intervento chirurgico”, è anche vero che l’attore aveva manifestato la volontà di conseguire l’integrale risarcimento di tutte le voci di danno, ivi compresa la mancanza del consenso informato. Aggiunge che nei rilievi mossi alla CTU si era fatto riferimento alla mancanza del consenso informato e che sull’assenza di consenso informato vi era stata la non contestazione dei convenuti. Osserva ancora che con la proposizione della domanda nell’atto di appello si era solo meglio specificata la domanda proposta in primo grado.

Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c.. Osserva il ricorrente che la questione dell’assenza del consenso informato poteva ritenersi acquisita per effetto del principio di non contestazione e del mancato assolvimento dell’onere della prova sul punto da parte dei convenuti.

Con il sesto motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva il ricorrente che il giudice di appello ha omesso di esaminare la circostanza che la domanda risarcitoria in primo grado era stata proposta anche sotto il profilo della mancanza del consenso informato e la circostanza della non contestazione da parte dei convenuti. Aggiunge che il quesito formulato dal giudice al CTU aveva ad oggetto anche il rispetto delle norme di carattere deontologiche, fra le quali doveva intendersi anche il dovere di acquisizione del consenso informato del paziente, e che al consenso informato si riferisce anche la sentenza nella parte in cui richiama la memoria tecnica del Dott. R., che contemplava la necessità del consenso per iscritto.

I motivi dal quarto al sesto, da valutare unitariamente in quanto connessi, sono inammissibili. Va premesso che nel caso in cui l’attore abbia chiesto con l’atto di citazione il risarcimento del danno da colpa medica per errore nell’esecuzione di un intervento chirurgico (e, quindi, per la lesione del diritto alla salute), e domandi poi in corso di causa anche il risarcimento del danno derivato dall’inadempimento, da parte dello stesso medico, al dovere di informazione necessario per ottenere un consenso informato (inerente al diverso diritto alla autodeterminazione nel sottoporsi al trattamento terapeutico), si verifica una “mutatio libelli” e non una mera “emendatio”, in quanto nel processo viene introdotto un nuovo tema di indagine e di decisione, che altera l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, tanto da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in precedenza (Cass. 13 ottobre 2017, n. 24072; 15 novembre 2013, n. 25764). L’istanza in discorso costituisce mutamento rilevante al livello della causa petendi, trattandosi di domanda impostata su presupposti di fatto e su conseguenti situazioni giuridiche non prospettati in precedenza, che comportano l’immutazione dei fatti costitutivi del diritto fatto valere (Cass. 3 settembre 2007, n. 18513). Determinante ai fini dell’apprezzamento se nella domanda originaria fosse inclusa anche quella risarcitoria per assenza del consenso informato è dunque l’indicazione dei fatti costitutivi.

Con riferimento alla causa petendi il motivo di censura è carente dal punto di vista dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 perchè non indica se, fra i fatti costitutivi della domanda, vi fosse un qualche riferimento alla questione del consenso informato. Il riferimento al solo petitum non è idoneo ad assolvere l’onere processuale indicato. L’inammissibilità della censura con riferimento alla presenza nella domanda originaria della circostanza del consenso informato rende privi di rilevanza i riferimenti ad un’asserita non contestazione da parte dei convenuti, al contenuto del quesito rivolto al CTU ed agli altri spunti processuali menzionati poichè manca il presupposto decisivo della tempestiva proposizione della relativa domanda.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 – quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore di Istituto NEurologico Mediterraneo – NEuromed s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, con distrazione in favore del procuratore anticipatario e che liquida in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore di Amissima Assicurazioni s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore di Allianz s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2020

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