Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8134 del 29/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 29/03/2017, (ud. 13/12/2016, dep.29/03/2017),  n. 8134

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Ferderico – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17058-2015 proposto da:

S.B., C.F. (OMISSIS), S.S. C.F. (OMISSIS),

domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONIO

CARBONELLI, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

CROMODORA WHEELS S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

LIVIO ANDRONICO 24, presso lo studio dell’avvocato MARIA TERESA

LOIACONO ROMAGNOLI, rappresentata e difesa dall’avvocato CLAUDIO LA

GIOIA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 139/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 23/04/2015 R.G.N. 356/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2016 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito l’Avvocato ANTONIO CARBONELLI;

udito l’Avvocato ILARIA ROMAGNOLI per delega Avvocato CLAUDIO LA

GIOIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 23.4.2015 la Corte d’appello di Brescia rigettava il gravame di S.B. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che ne aveva respinto, per intervenuta decadenza L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 4, la domanda volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità dei contratti di somministrazione in forza dei quali egli aveva lavorato presso Cromodora Wheels s.p.a. nel periodo dal gennaio 2007 all’agosto 2012, contratti che il lavoratore aveva impugnato solo in data 9.10.2013.

Per la cassazione della sentenza ricorre il lavoratore affidandosi a un motivo. La società resiste con controricorso, poi ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1- Con l’unico motivo di ricorso è prospettata falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 6 come modificato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32 in relazione agli artt. 11 e 14 preleggi, per avere la Corte territoriale affermato l’applicabilità, a partire dall’1.1.2012, del termine di decadenza di cui al novellato L. n. 604 del 1966, art. 6 anche ai contratti di somministrazione stipulati prima dell’entrata in vigore della L. n. 183 del 2010, art. 32 (24.11.2010), sebbene si tratti di norma irretroattiva, come desumibile anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 155/2014 nonchè dalla previsione della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 39 che ha espressamente previsto l’applicazione del secondo termine di decadenza di 180 giorni ai licenziamenti intimati dopo la data di entrata in vigore di detta legge (e quindi, dopo il 18.7.2012). Nè può invocarsi l’espressa previsione dettata dal comma 4 dell’art. 32 per i contratti a tempo determinato, in quanto fattispecie distinta dai contratti di somministrazione.

2- Il motivo non è fondato.

La denunzia, che viene dedotta richiamando la “falsa applicazione” della L. n. 604 del 1966, art. 6 come novellato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1, attiene, più correttamente, alla corretta interpretazione della disposizione richiamata (non già ad una errata sussunzione) e, in particolare, del comma 4 dell’art. 32 citato, e pone il problema di verificare l’esatto campo di applicazione dello ius superveniens rispetto a fattispecie negoziali già esaurite alla data di entrata in vigore della novella legislativa.

3. In ordine al termine di operatività nei confronti dei contratti di somministrazione delle decadenze previste dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, questa Corte ha recentemente espresso un orientamento (sentenza n. 2420/2016) in base al quale ha ritenuto che sia le suddette decadenze sia la conseguente proroga di cui al comma 1 bis medesimo articolo (introdotto dal D.L. n. 225 del 2010, art. 2, comma 54 convertito con modificazioni dalla L. n. 10 del 2011, c.d. decreto “mille proroghe”), si applicano anche ai contratti a termine in somministrazione scaduti alla data di entrata in vigore della legge stessa (24 novembre 2010), senza la necessità di una specifica previsione di deroga all’art. 11 preleggi, atteso che la nuova norma non ha modificato la disciplina del fatto generatore del diritto ma solo il suo contenuto di poteri e facoltà, suscettibili di nuova regolamentazione perchè ontologicamente e funzionalmente distinti da esso e non ancora consumati, dovendosi pertanto escludere ogni profilo di retroattività”.

Tale pronuncia si è posta in consapevole contrasto con altra decisione di questa Corte (Sez. 6, ordinanza n. 21916/2015, successivamente ribadita dalla medesima Sezione con ord. n. 2462/2016) che, invece, ha sostenuto che – in tema di somministrazione di lavoro – il regime della decadenza di cui al novellato L. n. 604 del 1966, art. 6 (esteso dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4) e la conseguente proroga di cui al comma 1 bis medesimo articolo si applicano ai soli contratti a termine in somministrazione in corso alla data di entrata in vigore della legge stessa (24 novembre 2010), e non anche a quelli già scaduti a tale data, in assenza di una previsione analoga a quella dettata per i contratti a termine in senso stretto. Queste decisioni hanno richiamato la sentenza della Corte costituzionale n. 155 del 2014, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, lett. b), sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., evidenziando come un contratto di lavoro subordinato, con una clausola appositiva del termine viziata, non può essere assimilato ad altre figure illecite, per cui non è irragionevole la scelta legislativa di applicare retroattivamente un più rigoroso e gravoso regime della decadenza alla sola categoria dei contratti a termine già conclusi, lasciando immutato per il passato un più favorevole regime per altre forme contrattuali o atti datoriali, come il recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, il trasferimento del lavoratore, la cessione del contratto di lavoro in caso di trasferimento d’azienda e la somministrazione di lavoro irregolare.

4. Questa Corte ritiene maggiormente convincente la ricostruzione esegetica che ritiene applicabile la novella legislativa della L. n. 604 del 1966, art. 6 (nonchè il differimento dell’operatività della disciplina al 31.12.2011) anche ai contratti a termine in somministrazione scaduti alla data di entrata in vigore della legge stessa (ossia al 24.11.2010).

Invero, ai fini di una corretta interpretazione della disposizione in esame, giova rimarcare che:

– non può giovare il richiamo alla sentenza della Corte cost. n. 155 del 2014 che non prende autonoma posizione sulla correttezza dell’interpretazione proposta dal giudice remittente, ma si limita ad effettuare lo scrutinio di legittimità costituzionale della norma, come interpretata dall’ordinanza di rimessione in cui si ipotizzava un’irragionevole disparità di trattamento fra l’ipotesi del contratto a termine di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, lett. b, e le altre disciplinate dallo stesso articolo;

lo stesso art. 32, comma 1 bis introdotto dal cd. decreto “mille proroghe”, ha assicurato un adeguato arco temporale di adattamento alla nuova e più rigorosa disciplina di cui non si avrebbe avuto alcun bisogno se la decadenza non fosse stata applicabile anche a contratti cessati prima dell’entrata in vigore della legge;

un’apposita previsione sarebbe stata necessaria per derogare alla regola dell’art. 11 preleggi e munire di retroattività la norma, mentre nel caso in esame non si è in presenza di una retroattività propriamente detta, ma solo dell’assoggettamento d’un diritto, già acquisito, ad un termine di decadenza per il suo esercizio;

secondo un risalente, ma pur sempre attuale, insegnamento della S.C. (sentenze nn. 2705/1982, 2743/1975) non sussiste infatti retroattività quando la nuova norma disciplini status, situazioni e rapporti che, pur costituendo effetti di un pregresso fatto generatore siano da questo distinti ontologicamente e funzionalmente e quindi suscettibili di una nuova regolamentazione mediante l’esercizio di poteri e facoltà non consumati sotto la precedente disciplina, come è appunto il caso dell’introduzione d’un termine di decadenza, ove prima non ve ne erano, in cui il potere d’azione era già sorto ma non ancora consumato.

Ebbene, la previsione di un regime di decadenza in sostituzione della imprescrittibilità dell’azione di nullità del termine apposto al contratto di somministrazione ha inciso su una situazione in fieri che non si era ancora consumata e, pertanto, la novella non incide sul fatto generatore, ovvero sul contratto di somministrazione asseritamente illegittimo e sui suoi effetti sostanziali, ma sul diverso procedimento impugnatorio, ancora in corso.

5. Le argomentazioni esposte sono corroborate dagli stessi argomenti sviluppati dal ricorrente (seppur con obiettivo inverso) e relativi all’espressa previsione, nella L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 39, (c.d. legge Fornero), dell’applicazione del nuovo termine decadenziale di 180 giorni (anzichè 270) solamente ai licenziamenti intimati dopo l’entrata in vigore della legge nonchè, nella direttiva 1999/70/CE concernente il recepimento dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, dell’esclusione dei contratti di somministrazione dall’ambito di applicazione della direttiva stessa.

Invero, la disposizione della Legge Fornero invocata dal ricorrente si correla strettamente con la previsione, in forza della medesima legge (art. 1, comma 38), dell’introduzione di un termine più breve per la proposizione dell’azione giudiziaria (o per la richiesta di arbitrato) e, dunque, si è resa necessaria proprio per derogare al principio generale, desumibile dall’art. 11 preleggi, che avrebbe reso applicabile (con decorrenza dall’entrata in vigore della legge, e quindi, dal 18.7.2012) il nuovo termine anche ai licenziamenti precedentemente irrogati. Nello stesso senso, va altresì notato che analoga disposizione è stata dettata dalla medesima Legge Fornero, art. 1, comma 12, con riguardo alla novellata sequenza temporale decadenziale introdotta per i contratti a termine, in modo da dilazionare nel tempo l’applicazione di detti termini (120 giorni per l’impugnazione stragiudiziale e 180 giorni per la proposizione del ricorso giudiziale o l’arbitrato) e circoscriverla alle cessazioni di contratti intervenute in data successiva all’1.1.2013.

6. Con riguardo alla normativa comunitaria, l’espressa esclusione, dal campo di applicazione della direttiva 1999/70/CE, dei lavoratori “messi a disposizione di un’azienda utilizzatrice da parte di un’agenzia di lavoro interinale” (4 interlinea del Preambolo) dimostra che il legislatore europeo – ritenendo accumulabili tutte le prestazioni rese, a tempo determinato, a favore di datore di lavoro che fosse, o meno, anche il sostanziale utilizzatore della prestazione – ha ritenuto opportuno escludere espressamente il lavoro interinale dall’alveo della normativa al fine di rendere inequivocabile il campo di applicazione oggettivo dell’intervento.

7. D’altra parte, questa Corte (ex multis, sentenze nn. 9203/2014, 15434/2014; 24233/2014; 13563/2015; 14406/2015; 22824/2015; 17467/2016; 18312/2016; 18579/2016; 19920/2016 cfr. anche S.U. n. 4913 del 2016) – ritenendo applicabile il differimento (previsto dalla Legge di conversione n. 10 del 2011del D.L. n. 225 del 2010) al 31.12.2011 dell’operatività del regime decadenziale del novellato L. n. 604 del 1966, art. 6 a tutte le ipotesi contemplate dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 3 e 4, – ha già implicitamente ritenuto che il termine (decadenziale) di 270 giorni si applichi non solo ai licenziamenti intimati prima del 24.11.2010 (data di entrata in vigore della L. n. 183 del 2010) ma anche a tutte le ipotesi precedentemente non assoggettate all’onere di impugnativa stragiudiziale (tra cui i contratti di somministrazione, di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, a lett. d)).

8. Inoltre, è stato recentemente ribadito (Cass. n. 13598/2016) che il termine decadenziale di 270 giorni, di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 1, (come modificato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32) si applica anche ai licenziamenti intimati prima dell’entrata in vigore della L. n. 183 del 2010, in quanto detta norma non ha posto delimitazioni temporali – ad eccezione di quanto disposto all’art. 32, comma 1 bis – per l’applicazione del nuovo regime di impugnativa del licenziamento, nè può ritenersi che abbia portata retroattiva, in quanto disciplina “status”, situazioni e rapporti che, pur derivando da un pregresso fatto generatore, ne sono ontologicamente distinti e, quindi, suscettibili di nuova regolamentazione mediante esercizio di poteri e facoltà non consumati nella precedente disciplina. Medesimo principio ossia che il termine di decadenza connesso al deposito del ricorso giudiziario (con esclusione del ricorso cautelare, Cass. n. 19919/2016) è applicabile anche ai licenziamenti intimati ed impugnati prima dei 24.11.2010 – è stato ribadito ancor più recentemente, sottolineandosi che proprio il differimento disposto dal D.L. n. 225 del 2010 consente di ritenere conforme al principio di eguaglianza e di ragionevolezza la sostituzione tra due istituti diversi quali il preesistente termine quinquennale e la decadenza dal diritto di azione (Cass. n. 18312/2016).

L’introduzione del nuovo termine di decadenza con efficacia “ex nunc” non determina violazione dell’art. 24 Cost. o dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali della UE o degli artt. 6 e 13 CEDU, perchè arco temporale quantitativamente congruo per la conoscibilità della nuova disciplina, attesa anche la proroga disposta “in sede di prima applicazione” dal citato comma 1 bis.

9. Nel caso della L. n. 183 del 2010, art. 32 il possibile decorso di un termine apprezzabilmente ampio tra l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento (da effettuarsi entro 60 giorni dalla comunicazione del recesso anche secondo il previgente L. n. 604 del 1066, art. 6) e l’azione giudiziaria ovvero l’insussistenza di limiti temporali (in caso di azioni imprescrittibili) potevano configurare situazioni prolungate di assoluta incertezza per le parti che il legislatore ha ritenuto di disciplinare mediante l’introduzione di un doppio regime di decadenza esteso ad una ampia rosa di ipotesi, assetto più severo che è stato bilanciato da un congruo differimento dell’efficacia della novella (D.L. n. 225 del 2010), senza che si possa ravvisare – in tale bilanciamento – un “regolamento irrazionale” (Cass. S.U. n. 15352/2015, di seguito esposta) delle due contrapposte esigenze (garanzia di una sollecita definizione delle controversie, da una parte, ed affidamento a fruire del termine prescrizionale, dall’altra). Invero, come sottolineato da questa Corte (cfr. S.U. n. 4913/2016 e Cass. n. 24258/21016), proprio la disciplina contenuta nel D.L. n. 225 del 2010 consente di applicare il nuovo regime decadenziale a fattispecie (licenziamenti o altre ipotesi regolate dall’art. 32 I. n. 183 del 2010) intervenute prima del 24.11.2010, in quanto la rimessione in termini al 31.12.2011 risponde alla “ratio legis” di risolvere, in chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all’introduzione “ex novo” del suddetto termine di decadenza.

La soluzione adottata nel caso di specie, concernente i contratti di somministrazione stipulati o conclusi prima dell’entrata in vigore della L. n. 183 del 2010, art. 32(24.11.2010), si inquadra, pertanto, coerentemente, nell’ambito dell’orientamento di recente consolidato da parte di questa Corte che – con numerose e distinte pronunce (innanzi citate) – ha ritenuto applicabile ai licenziamenti e alle altre ipotesi regolate dalla L. n. 183 del 2010, art. 32 e risalenti a periodo precedente il 24.11.2010, sia il nuovo regime decadenziale sia il differimento al 31.12.2011 disposto dal D.L. n. 225 del 2010, proprio in considerazione del ragionevole bilanciamento effettuato dal legislatore tra esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e difesa del lavoratore.

10. Infine, soluzione interpretativa del medesimo tenore è stata adottata dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 15352/2015) con riguardo alle prestazioni indennitarie per epatite post trasfusionale contratte in epoca antecedente all’entrata in vigore della L. n. 238 del 1997 che ha introdotto il termine triennale di decadenza, da ritenersi applicabile (dalla data di entrata in vigore della norma) anche alle situazioni insorte precedentemente. Le Sezioni Unite hanno rilevato che il ragionevole affidamento nella permanenza nel tempo di un determinato assetto regolatorio ben può essere inciso in senso peggiorativo, in presenza di un determinato interesse pubblico che imponga interventi normativi diretti a incidere anche su posizioni consolidate, a condizione che venga rispettato il limite della proporzionalità dell’incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti (cfr., da ultimo, C. cost. 10 marzo 2015 n. 56). In contesti di tal fatta, l’art. 252 disp. att. c.c. assume il valore di regola generale, come già ritenuto da questa Corte, anche a Sezioni Unite (Cass. S.U. 7 marzo 2008 n. 6173), che ha ribadito sul punto un’ analoga affermazione della Corte costituzionale (C. Cost. 3 febbraio 1994 n. 20).

11. In conclusione, il ricorso va rigettato con l’enunciazione del seguente principio di diritto: “La decadenza di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, e la conseguente proroga di cui al comma 1 bis del medesimo articolo, si applicano anche ai contratti a termine in somministrazione cessati o stipulati prima della data di entrata in vigore della legge stessa (24 novembre 2010)”.

12. In considerazione del contrasto tra i primi orientamenti di questa Corte in ordine al termine di operatività delle decadenze previste dalla L. n. 183 del 2010, art. 32 le spese di questo giudizio sono compensate tra le parti.

13. Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2017

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