Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8134 del 02/04/2010

Cassazione civile sez. I, 02/04/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 02/04/2010), n.8134

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29611/2007 proposto da:

C.A. (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA Alfonso Luigi,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

11/10/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

16/12/2009 dal Consigliere Dott. ANTONIO DIDONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p.1.- La Corte d’appello di Napoli – adita da C.A. al fine di conseguire l’equa riparazione per la lamentata irragionevole durata di un processo pendente dal 3.7.1997 al 24.10.2005 dinanzi al TAR Campania (avente ad oggetto richiesta di adeguamento TFR e altro) – con il decreto impugnato ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri a pagare alla parte ricorrente la somma di Euro 5.416,65 a titolo di danno non patrimoniale nonchè al rimborso delle spese processuali.

La Corte di merito, in particolare, ha accertato in tre anni il periodo di ragionevole durata del processo presupposto ed ha, per il ritardo di circa 5 anni, quantificato l’indennizzo in Euro 5.416,65 (Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo), attribuendo il bonus di Euro 2.000,00.

Per la cassazione di tale decreto C.A. ha proposto ricorso affidato a 8 motivi.

La P.D.C.M. resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.2.- Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001 e Convenzione europea per i diritti dell’uomo, come interpretata dalla Corte europea) lamentando, in estrema sintesi, che la Corte di appello non abbia ritenuto direttamente applicabile la C.E.D.U., sia erroneamente applicando la normativa italiana in contrasto con la C.E.D.U., dimenticando che la L. n. 89 del 2001, costituisce diretta applicazione della C.E.D.U. – specie art. 6 -, sia disattendendo la giurisprudenza europea e l’interpretazione, i parametri dalla stessa enunciati e la relativa elaborazione ermeneutica.

Con i restanti motivi il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione e lamenta che il Giudice del merito:

a) non ha tenuto conto in sede di liquidazione delle spese dei parametri europei ai quali doveva adeguarsi;

b) non ha motivato la liquidazione delle spese;

c) ha erroneamente applicato la tariffa professionale, richiamando le voci relative ai procedimenti speciali anzichè quelle relative al processo contenzioso.

p.3.- Osserva la Corte che il ricorso è fondato nei limiti infrascritti.

Relativamente alla questione dì cui al primo motivo, ammissibile e rilevante per l’incidenza su quelle ulteriori, va ribadito il principio enunciato dalle S.U., in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea. Siffatto dovere opera entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001 (sentenza n. 1338 del 2004) e, come affermato dalla Corte costituzionale – contrariamente all’assunto dell’istante, che si palesa perciò manifestamente erroneo – al giudice nazionale “spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme.

Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1” (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007).

Resta dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla “non applicazione” della norma interna, in virtù di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria. In questi termini è il principio che può essere enunciato in relazione al quesito formulato con il primo motivo, che rivela la manifesta infondatezza della censura, nei termini in cui è stata proposta.

Quanto alla censura sub a), va ricordato che “nei giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la liquidazione delle spese processuali della fase davanti alla Corte di appello deve essere effettuata in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano, e non deve tener conto degli onorari liquidati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, i quali attendono al regime del procedimento davanti alla Corte di Strasburgo, posto che la liquidazione dell’attività professionale svoltasi davanti ai giudici dello Stato deve avvenire esclusivamente in base alle tariffe professionali che disciplinano la professione legale davanti ai tribunali ed alle corti di quello Stato” (Sez. 1^, Sentenza n. 23397 del 11/09/2008). Peraltro, effettivamente “il processo camerale per l’equa riparazione del diritto alla ragionevole durata del processo va considerato quale procedimento avente natura contenziosa, nè rientra tra quelli speciali di cui alle tabelle A) e B) allegate al D.M. 8 aprile 2004, n. 127 (rispettivamente voce 50, paragrafo 7 e voce 75, paragrafo 3), per tali dovendo intendersi, ai sensi dell’art. 11 della tariffa allegata al D.M. n. 127 cit., i procedimenti in Camera di consiglio ed in genere i procedimenti non contenziosi” (Sez. 1^, Sentenza n. 25352 del 17/10/2008). Per contro, la Corte di appello ha espressamente richiamato proprio tali ultime voci della tariffa.

In proposito, poi, va ricordato che “la parte che intende impugnare per cassazione la sentenza di merito nella parte relativa alla liquidazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato ha l’onere dell’analitica specificazione delle voci della tariffa professionale che si assumono violate e degli importi considerati, al fine di consentirne il controllo in sede di legittimità, senza bisogno di svolgere ulteriori indagini in fatto e di procedere alla diretta consultazione degli atti, giacchè l’eventuale violazione della suddetta tariffa integra un’ipotesi di error in iudicando e non in procedendo” (Sez. 2^, Sentenza n. 3651 del 16/02/2007) e, nella concreta fattispecie, il ricorrente ha allegato al ricorso copia della parcella depositata dinanzi alla Corte territoriale.

In applicazione di tali principi, la considerazione che il decreto ha liquidato i diritti in euro 70,00 esplicitamente richiamando la Tab.

A-7, 50-B e la Tab. B-3-75 rende palese la fondatezza della censura, dovendo invece applicarsi la Tab. B-1 (per i diritti) e la Tab. A-4 per gli onorari, ovviamente relativamente alle sole voci per le quali è stata documentata l’attività svolta.

Entro questi limiti i mezzi possono essere accolti.

Il decreto va quindi cassato limitatamente al capo concernente le spese e la causa decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, mediante la liquidazione delle spese dovute per il giudizio di merito, in applicazione delle regole sopra indicate.

Le spese di legittimità vanno compensate per due terzi, sussistendo giusti motivi, stante il limitato e parziale accoglimento del ricorso.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente le spese del giudizio:

che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti e Euro 490,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario;

che compensa in misura di 2/3 per il giudizio di legittimità, gravando l’Amministrazione del residuo 1/3 e che determina per l’intero in Euro 330,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2010

 

 

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