Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8131 del 02/04/2010

Cassazione civile sez. I, 02/04/2010, (ud. 15/12/2009, dep. 02/04/2010), n.8131

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16250/2008 proposto da:

P.V. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, FORO TRAIANO 1-A, presso l’avvocato SCHETTINI

Dario Ovidio, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

sul ricorso 20632/2008 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

P.V.;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

27/04/2007, N. 57184/05 R.G.A.D.;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

15/12/2009 dal Presidente Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto depositato in data 27.4.2007 la Corte d’Appello di Roma – pronunciando sulla domanda di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, proposta da P.V. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze in relazione al giudizio tributario definito dalla Commissione Tributaria Centrale con sentenza del 16.7.2004 – riteneva inammissibile il ricorso per essere stato depositato nel dicembre 2005, vale a dire oltre il termine di mesi sei dal passaggio in giudicato della sentenza.

Avverso detto decreto P.V. propone ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze che propone anche ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Pregiudizialmente i due ricorsi, il principale e l’incidentale, vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., riguardando lo stesso decreto.

Con il primo motivo del ricorso principale P.V. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., nonchè degli artt. 325 e 327 c.p.c.. Deduce che, essendo la sentenza della Commissione Tributaria divenuta definitiva in data 10.7.2005 per essere stata notificata all’Amministrazione l’11.5.2005, il ricorso introduttivo del presente giudizio deve ritenersi tempestivo in quanto notificato in data 27.12.2005. Sostiene altresì che, qualora la Corte d’Appello avesse ritenuto che fosse passata in giudicato al momento del suo deposito in quanto le decisioni della Commissione Tributaria non sarebbero impugnabili, una tale tesi è del tutto erronea in quanto dette sentenze sono ricorribili per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost..

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia in via subordinata omessa motivazione. Lamenta che la Corte d’Appello abbia dichiarato la tardività del ricorso in quanto presentato oltre il termine semestrale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4, senza però fornire alcuna motivazione in grado di ricostruire il percorso logico che ha determinato il suo convincimento.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale il Ministero dell’Economia e delle Finanze deduce la nullità del procedimento e della sentenza, sostenendo che il ricorso introduttivo non era stato notificato presso l’Avvocatura dello Stato ma direttamente presso l’Amministrazione, con la conseguenza che, non essendosi costituito, era mancata l’instaurazione di un corretto contraddittorio e con l’ulteriore conseguenza che non aveva potuto eccepire l’inammissibilità del ricorso in relazione al fatto che il giudizio presupposto verteva in materia tributaria la quale è esclusa dall’area di applicazione della L. n. 89 del 2001, in esame in quanto relativa all’esercizio di potestà impositiva dello Stato.

Gli esposti motivi di ricorso, pur nella sostanziale fondatezza del loro contenuto, devono dichiararsi inammissibili.

Risulta dagli atti ed è riconosciuto dalla stessa Amministrazione nel suo controricorso, che la decisione della Commissione Tributaria Centrale è stata depositata il 16.7.2004 e notificata in data 11.5.2005, mentre il ricorso avanti alla Corte d’Appello è stato depositato il 27.12.2005.

E’ evidente pertanto che, essendo la sentenza della Commissione Tributaria passata in giudicato il giorno 11.7.2005, il termine di sei mesi previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, con decorrenza dal momento in cui la decisione è divenuta definitiva, è stato pienamente rispettato con il suo deposito, come già rilevato, in data 27.12.2005.

Un tale rilievo dovrebbe comportare il rinvio degli atti alla Corte d’Appello per l’esame del merito, previa rituale integrazione in quella sede del contraddittorio mediante una corretta notifica all’Avvocatura Distrettuale del ricorso introduttivo anzichè, come è invece avvenuto, direttamente all’Amministrazione.

Va rilevata però la mancanza d’interesse da parte dell’odierno ricorrente alla prosecuzione del giudizio, attesa l’insussistenza, di regola, del diritto all’equa riparazione ai procedimenti tributari, come sostenuto dall’Amministrazione.

Il problema dell’applicabilità in tali giudizi della disciplina dell’equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole, prevista dall’art. 6 paragrafo 1 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU) ed introdotta nell’ordinamento interno dalla L. n. 89 del 2001, è stato già risolto negativamente sia dalla Corte Europea (CEDU Schontene Meldrum-Paesi Bassi del 9.12.1994 e successivamente Ferrazzini-Italia del 12.7.2001) che, più recentemente, da questa Corte (Cass. 11350/04; Cass. 17139/04; Cass. 21403/05; Cass. 21404/05).

In particolare la Corte Europea con la seconda delle due richiamate sentenze, dopo aver affermato il principio, secondo cui non è sufficiente ad attrarre il procedimento nell’ambito di quelli di natura civile cui fa riferimento la Convenzione il fatto che esso abbia ad oggetto “diritti suscettibili di valutazione patrimoniale”, ha rilevato che, comparando i vari sistemi tributari, è “tuttora dominante la qualifica pubblicistica del rapporto obbligatorio d’ imposta fra lo Stato sovrano ed il contribuente” in sede comunitaria e che conseguentemente il relativo contenzioso, indipendentemente dalla sua incidenza pecuniaria, non rientra fra quelli che hanno ad oggetto obbligazioni civili.

Da parte sua questa Corte, con le sopra indicate sentenze, richiamando le pronunce delle Sezioni Unite (1338 e 1340 del 2004), hanno sottolineato come l’approvazione della L. n. 89 del 2001, sia dipesa dall’esigenza di prevedere un rimedio giurisdizionale interno alle violazioni relative alla durata ragionevole dei processi al fine di realizzare il principio di sussidiarietà dell’intervento della Corte di Strasburgo, con la conseguente necessità di una perfetta simmetria fra il contenuto della norma nazionale e le prescrizioni comunitarie e come necessariamente la interpretazione della legge interna debba essere conformata a quella comunitaria e cioè nei termini in cui questa vive attraverso l’esegesi della Corte di Strasburgo.

Alla luce di tale principio la giurisprudenza nazionale in materia ha così ritenuto che anche in base alla norma interna devono considerarsi escluse dalla sua applicazione le controversie, come quella tributaria, che involgono la potestà impositiva dello Stato, non rientranti, in quanto tali, nell’ ambito della “materia civile”, pur non mancando però di precisare che anche in tale materia potrebbero rinvenirsi spazi di applicabilità allorchè non sia in contestazione la esistenza di un tale potere ma siano investiti aspetti consequenziali alla determinazione del tributo come, esemplificando, nell’ipotesi di un giudizio di ottemperanza ad un giudicato del giudice tributario (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70) o di richiesta di rimborso qualora, in tale secondo caso, la questione non ponga un problema di imposizione fiscale così da rientrare nell’area delle obbligazioni civili.

In presenza di un tale quadro giurisprudenziale da tempo consolidato il ricorrente avrebbe dovuto prospettare, nell’esporre la censura di ordine processuale, la presenza di un suo interesse alla prosecuzione del giudizio attraverso la specifica deduzione che il giudizio presupposto verteva su una richiesta di rimborso in cui non fosse in discussione il potere d’imposizione, come di regola invece avviene, e non limitarsi ad un generico riferimento ad un procedimento di rimborso d’imposta sull’indennità di buonuscita.

L’interesse all’impugnazione d’altra parte non può esaurirsi nella richiesta di una corretta pronuncia di ordine processuale (nel caso in esame la tempestività del ricorso introduttivo) ma deve essere basato sull’utilità giuridica che al ricorrente può derivare dall’accoglimento del gravame, utilità che, in mancanza di precisazioni sul carattere civilistico assunto dal giudizio presupposto, non può che essere escluso in radice.

Del pari inammissibile deve ritenersi, come già si è anticipato, il ricorso incidentale dell’Amministrazione.

La parte totalmente vittoriosa in appello (o nell’unico grado di merito) infatti è legittimata a proporre ricorso incidentale solo nell’ipotesi in cui intenda riproporre in cassazione l’eccezione del giudicato interno, mentre in tutti gli altri casi è priva di interesse processuale al ricorso (Cass. 1691/06; Cass. 3341/01).

Le esposte conclusioni comportano quindi la inammissibilità di entrambi i ricorsi.

Non avendo la Corte d’Appello, per le ragioni esposte, pronunciato nel merito, si impone in questa sede una decisione di tale contenuto ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, in quanto non sono necessari ulteriori accertamenti, decisione che, in ragione delle considerazioni espresse sull’inapplicabilità della disciplina sull’equa riparazione allorchè il giudizio presupposto sia di natura tributaria, non può che essere di rigetto della domanda introduttiva.

In considerazione della reciproca soccombenza, si ritiene di compensare le spese dell’intero giudizio.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi e li dichiara inammissibili. Pronunciando nel merito, cassa il decreto impugnato e rigetta la domanda. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2010

 

 

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