Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8130 del 22/04/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 5 Num. 8130 Anno 2016
Presidente: DI AMATO SERGIO
Relatore: IANNELLO EMILIO

3(
211(‘

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 15262/2013 R.G. proposto da
VALPHARMA INTERNATIONAL S.P.A.,

in persona dei suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e
difesa dall’Avv. Francesco Falcitelli del Foro di Roma ed elettivamente dorniciliato
presso lo studio dello stesso in Roma, Via Flaminia, 135, giusta procura speciale
a margine del ricorso,
– ricorrente –

contro
AGENZIA DELLE ENTRATE,
in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la
rappresenta e difende,
– controrkorrente –

Data pubblicazione: 22/04/2016

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche n.
71/7/2012, depositata il 22/05/2012.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’8 febbraio
2016 dal Relatore Cons. Emilio Iannello;
udito l’Avv. Francesco Falcitelli per la ricorrente;
udito l’Avvocato dello Stato Alessia Urbani Neri per la controricorrente;

Mastroberardino, la quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso o in
subordine il rigetto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Sulla base delle risultanze di un p.v.c. redatto in data 31/3/2008 dalla
Guardia di Finanza di Pesaro, all’esito di una verifica fiscale presso la sede in
Pennabilli (Rimini) della Valpharma International S.p.A., l’Agenzia delle entrate,
Ufficio di Pesaro, notificava a quest’ultima distinti avvisi di accertamento con i
quali provvedeva a rettifica, ai fini Irpeg (dal 2004 Ires) e Irap, dei redditi
dichiarati per gli anni 2003, 2004, 2005 e 2006, per la ritenuta indeducibilità dei
costi e componenti negativi di reddito qui di seguito sinteticamente indicati:
i) in relazione a tutti e quattro gli anni predetti, era esdusa, ai sensi dell’art.
110, comma 7, T.U.I.R., la deducibilità – per la parte eccedente il valore normale
commisurato nel 2% del fatturato – dei costi (pari a C 443.691,69 per l’anno
2003; C 936.597,50 per l’anno 2004; C 893.191,58 per l’anno 2005; C
1.561.182,80 per l’anno 2006) per «prestazioni di servizi infragruppo» rese da
Valpharma S.A. con sede in Serravalle (Repubblica di San Marino), avendo
l’ufficio ritenuto configurabile nella fattispecie l’ipotesi da detta norma prevista
del c.d. transfer pricing;

il) con riferimento agli anni di imposta 2005 e 2006 l’ufficio riteneva inoltre
Illegittima la deduzione di costi per «consulenze tecniche» pari, rispettivamente,
a C 47.066,67 e a C 85.723,33, in quanto riconducibili a quelli incrementativi del
valore delle immobilizzazioni immateriali (software), deducibili, ai sensi dell’art.

2

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.ssa Paola

103 T.U.I.R., in misura non superiore a un terzo del costo;
iii) con riferimento poi ai solo anno di imposta 2006 l’ufficio escludeva, ai
sensi dell’art. 102, comma 6, T.U.I.R., la deducibilità delle

manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione»

*spese di
per la parte

eccedente il 5% dei costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili;
iv) in relazione allo stesso anno d’imposta era infine esclusa la deducibilità

quanto imputabili, ai sensi dell’art. 109, comma 1, T.U.I.R., per il principio di
competenza, all’esercizio successivo.
I ricorsi avverso detti avvisi separatamente proposti dalla società – con i
quali essa contestava la fondatezza di ciascuno dei suindicati rilievi oltreché la
legittimità e l’omessa motivazione dell’aumento della sanzione applicabile per
l’anno 2005 – erano respinti dalla adita C.T.P. di Pesaro con altrettante sentenze
depositate tra il 6/3/2009 e il 7/4/2010.
2. I gravami separatamente interposti, con i quali la società iterava le
medesime contestazioni, erano poi rigettati, previa riunione, dalla C.T.R. della
Marche, con sentenza n. 71/7/2012 depositata in data 22/5/2012.
2.1. In particolare, quanto ai costi sostenuti per prestazioni rese dalla
società sanmarinese Valpharnna S.A., riteneva la C.T.R. legittima la riconduzione
delle transazioni al fenomeno del transfer pricing, reputando sussistenti nella
fattispecie entrambi i presupposti richiesti dall’art. 110, comma 7, T.U.I.R. e,
segnatamente, sia l’esistenza di una situazione di controllo societario (nel caso di
specie esercitato dalla società estera), sia il superamento del valore normale
delle prestazioni rese (determinato ai sensi dell’art. 9 del medesimo Testo
Unico).
2.1.1. Sotto il primo profilo, richiamata la circolare del Ministero delle
Finanze n. 32/1980, reputava la C.T.R. non vincolante, ai finì in esame, la
nozione civilistica di controllo societario quale dettata dall’art. 2359 cod. civ. e
che, piuttosto, avuto riguardo alle finalità della norma fiscale – tesa a contrastare

3

dei costi per sopravvenienze passive per un ammontare di € 1.282.207,28, in

Il trasferimento degli utili da paesi ad elevata ftscalità a paesi nei quali la
pressione fiscale è meno aggressiva, ricorrendo a valori (prezzi) alterati rispetto
a quelli normali e determinati nell’ambito di transazioni infragruppo – essa
postulasse un più ampio concetto di controllo nel quale ben poteva essere
ricondotto il caso di specie. Valorizzava in tal senso il fatto che, per espressa
previsione contrattuale, la contribuente, priva di per sé di alcuna struttura

della prima, l’incarico di provvedere in esclusiva alla commercializzazione dei
propri prodotti, risultando con ciò realizzata l’ipotesi contemplata nella citata
interpretazione ministeriale che, fra le circostanze ritenute sintomatiche
dell’influenza anche solo potenziale di una società sulle decisioni imprenditoriali
di altra società, indica anche la vendita di prodotti fabbricati dall’altra impresa e
l’impossibilità di funzionamento dell’impresa senza il capitale, i prodotti e la
cooperazione dell’altra.
2.1.2. Quanto poi al presupposto oggettivo (eccedenza dei costi dichiarati
rispetto al valore normale delle prestazioni rese) la C.T.R. respingeva la tesi
difensiva secondo cui i dati messi a confronto dall’ufficio erano eterogenei e non
erano pertanto idonei a giustificare la valutazione di anormalità della provvigione
riconosciuta alla società estera nella percentuale del 10% del fatturato.
Osservava al contrario che quelle prese a raffronto (contratti di
cornmercializzazione tra Va)pharma S.a. e la società siriana Ararat Trading, e tra
Valpharma S.A. e Ricerchimica S.p.a.) erano transazioni fra loro certamente
comparabili In quanto attinenti alla commercializzazione di prodotti farmaceutici
e che la fatturazione da parte di Ararat Trading S.p.a. di commissioni di extra o

over price non poteva concorrere alla comparazione riguardando essa prestazioni
ulteriori.
Quanto infine alla commisurazione del valore normale delle prestazioni in
questione, la C.T.R. reputava corretto il riferimento da parte dell’ufficio alla
percentuale del 2% a tal fine indicata nella circolare ministeriale quale parametro

4

commerciale, aveva affidato alla società estera, titolare del 24% del capitale

utilizzabile per le cessioni di beni immateriali, atteso che nel p.v.c. si dava atto
che la provvigione pattuita tra V.I. e V.S.A. era qualificata anche come royalty e
considerato che, comunque, la detta percentuale non appariva irragionevole o
incoerente.
3. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la V.I. sulla base di
sette motivi; resiste l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.

fissazione dell’udienza».
MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con Il primo motivo la società ricorrente deduce – ai sensi dell’art. 360,
comma primo n. 3, cod. proc. civ. – violazione o falsa applicazione dell’art. 110,
comma 7,

in relazione alla ritenuta sussistenza dei presupposti

soggettivi richiesti per l’applicazione della disciplina sul c.d. transfer pricing.
Sostiene al riguardo che, benché la norma del testo unico non richiami
espressamente l’art. 2359 cod. civ., la nozione di controllo cui essa fa riferimento
debba da quest’ultima comunque desumersi e che di contro nessun rilievo possa
attribuirsi alla interpretazione ministeriale di cui alla circolare n. 37 del 22
settembre 1980, anche perché condizionata dalla diversa indicazione normativa
allora esistente che richiedeva al riguardo l’esistenza di una

«influenza

dominante», presupposto poi sostituito da quello del controllo societario. Rileva
quindi che nel caso di specie non sussiste alcuna delle condizioni richieste dalla
norma codicistica per la configurabilità di una situazione di controllo.
Soggiunge che, comunque, diversamente da quanto affermato nella
sentenza impugnata, essa ricorrente aveva fatto riferimento anche alla sopra
citata circolare per contestare la sussistenza nella specie di alcuna delle
situazioni sintomatiche di controllo societario in essa considerate. Rileva al
riguardo che la stessa agenzia aveva nel caso di specie espressamente
riconosciuto l’indipendenza di V.I. rispetto a V.S.A..
5. Con il secondo motivo di ricorso la V.I. deduce – ai sensi dell’art. 360,

La società ha depositato «memoria e contestuale istanza per la sollecita

comma primo n. 3, cod. proc. civ. – violazione o falsa applicazione dell’alt 110,
comma 7, in relazione alla ritenuta sussistenza dei presupposti oggettivi
richiesti per l’applicazione della disciplina suddetta.
Lamenta che i giudici di secondo grado: non hanno correttamente valutato
che i contratti presi a raffronto, stipulati dalla consociata V.S.A. con i singoli
clienti, attengono a transazioni differenti e non sovrapponibili all’accordo

Ricerchimica S.p.a. e V.S.A. aveva ad oggetto I trasferimenti a Merck Generics

delle registrazioni relative ad un dato prodotto, quello concluso tra V.I. e V.S.A.
concerneva la fornitura a Merck Generics di un prodotto medicinale diverso);
hanno omesso di rilevare gli errori di valutazione commessi dall’ufficio nella
Individuazione della natura delle prestazioni oggetto dell’accordo predetto,
ritenendo che lo stesso afferisse a cessioni di beni immateriali per le quali la Vi.
avrebbe dovuto corrispondere a V.S.A. delle royalties (come tali regolabili sulla
base delle indicazioni contenute nel capitolo V – punto 6 della menzionata
circolare n. 32 del 1980) e non considerando che invece tale accordo aveva ad
oggetto una specifica attività di procacciamento di affari svolta

da V.S.A. in

favore di V.I. (come tale regolabile secondo le indicazioni contenute nel capitolo
VI – servizi infragnippo – della medesima circolare); non hanno valutato che, in
ogni caso, le percentuali applicate nei confronti di Ararat Trading e Ricerchimica
S.p.a. dovevano essere sommate, ai fini della predetta comparazione, a quelle
relative ai compensi corrisposti a titolo di extra o over price, dal che sarebbe
emerso la piena comparabilità dei prezzi praticati.
6. Con il terzo motivo di ricorso la VI. deduce – ai sensi dell’art. 360,
comma primo n. 3, cod. proc. civ. – violazione o falsa applicazione dell’art. 112
cod. proc. civ. e del principio di tipicità dell’avviso di accertamento, per avere la
C.T.R. respinto la censura con la quale, nell’atto d’appello, si denunciava vizio di
ultrapetizione della sentenza appellata per avere i giudici di primo grado fondato
Il proprio convincimento su fatti diversi rispetto a quelli posti a base degli avvisi

6

commerciale concluso nel 2002 con V.I. (in particolare, mentre il contratto tra

di accertamento e segnatamente sul difetto dei requisiti di inerenza e di certezza
dei costi, oltre che di contiguità degli stessi.
7. Con il quarto motivo di ricorso fa V.I. deduce – ai sensi dell’art. 360,
comma primo n. 3, cod. proc. civ. – violazione o falsa applicazione dell’art. 103
T.U.I.R. in relazione alla confermata valutazione degli interventi di consulenza
tecnica sul software aziendale eseguiti negli anni 2005 e 2006 alla stregua di

conseguente deducibilità dei costi relativi in quote annuali costanti pari ad un
terzo del costo complessivo, a fronte dell’opposta tesi difensiva secondo cui si
era trattato invece di interventi unicamente finalizzati a mantenere l’utilità
medesima offerta dal software di base e come tali da considerarsi quali spese
correnti, in quanto ripetitive da un esercizio all’altro, e quindi componenti
negativi di reddito interamente deducibili nell’esercizio in cui essi vengono
sostenuti.
Richiamati i principi contabili nazionali e internazionali rileva la ricorrente
che le prestazioni contrattualmente previste dalle parti non prevedevano
significativi miglioramenti del software originariamente acquistato (S.A.P. e
Database Oracle).
8, Con il quinto motivo la ricorrente deduce – sempre ai sensi dell’art. 360,
comma primo n. 3, cod. proc. civ. – violazione o falsa applicazione dell’art. 12,
comma 5, digs. 18 dicembre 1997, n. 472, in relazione alla ritenuta legittimità
dell’applicazione di una sanzione aumentata del 75% su quella base applicabile,
nel caso di concorso di violazioni e continuazione.
Premesso che tale aumento era motivato, nell’avviso di accertamento
relativo all’anno 2005, oltre che in ragione della applicazione del cumulo giuridico
delle sanzioni irrogabild per le violazioni contestate con riferimento anche agli

anni precedenti (2003 e 2004) e della rilevanza degli importi accertati, anche
con il rilievo che la società aveva posto in essere un comportamento artificioso,
lamenta che i giudici d’appello, nel respingere la censura proposta sul punto

7

«migliorie tese all’aumento significativo dell’utilità del software» e alla ritenuta

specifico, hanno omesso di indicare quale sia stato il comportamento artificioso a
tal fine valorizzabile.
Osserva al riguardo che, posto che negli avvisi di accertamento relativi ai
precedenti anni l’ufficio non ha operato alcun aumento della sanzione base,
quello applicato nell’avviso relativo all’anno 2005 deve presumersi riferito al solo
ulteriore rilievo ivi contenuto concernente la deduzione dei costi sostenuti per

valutazione in termini di artificiosità del comportamento tenuto.
Lamenta comunque al riguardo anche la carenza nell’atto impositivo di
alcuna motivazione esauriente accettabile, in violazione dell’art. 7 legge 27 luglio
2000, n. 212.
9. Con il sesto motivo la ricorrente deduce ancora – ai sensi dell’art. 360,
Gomma primo n. 3, cod. proc. civ. – violazione o falsa applicazione di norme di
diritto e, segnatamente, dell’art. 109 T.U.I.R. in relazione alla ritenuta
illegittimità del recupero a tassazione nell’anno 2006 di una sopravvenienza
passiva dall’ufficio invece ritenuta imputabile, per il principio di competenza,
all’esercizio successivo.
Trattandosi di componente negativa di reddito, per un complessivo importo
di euro 1.282.207,28, derivante dalla definizione di una controversia tra V.I. e
la cliente Mitsubishi Pharma Corporation, ha rilevato la C.T.R. che la stessa può
considerarsi definita soltanto in virtù degli accordi sottoscritti nell’anno 2007,
essendosi in quello precedente le parti «scambiate corrispondenze e semplici

bozze di accordo, sviluppatosi secondo un iter imposto non soltanto dalla
rilevanza della posta ma anche dal fatto che la contestazione ha investito in un
secondo momento un’ulteriore quantità di prodotti (“lotti fallati”)»; soltanto nel
2007, dunque – secondo la C.T.R. – «si è formato il titolo giuridico che tale

componente ha reso certa … nell’an e nel quantum».
Rileva di contro la ricorrente, passate in rassegna le tappe della vicenda, che
già nel dicembre 2006, attraverso uno scambio di e-mail e con l’approvazione da

8

consulenze tecniche: rilievo, questo, per Il quale – assume – non si giustifica la

parte del consiglio di amministrazione, si era perfezionato l’accordo con la
controparte e che in tale contesto corretta doveva ritenersi la contabilizzazione
della sopravvenienza negativa già in quello esercizio, secondo un principio di
prudenza imposto dall’art. 2423-bis, primo comma, n. 1, cod. civ. e secondo
anche quanto chiarito dei principi contabili nazionali e da autorevole dottrina
aziendalistica. Rimarca, al riguardo, che la certezza richiesta dalla norma non

pagamento del corrispettivo.
Evidenzia infine di avere chiesto, sin dal primo grado di giudizio, dichiararsi
l’estinzione dell’obbligazione tributaria per compensazione ai sensi dell’art. 8,
comma 1, legge 27 luglio 2000, n. 212 e che su tale richiesta i giudici di merito
non si sono pronunciati.
10. Con il settimo motivo la ricorrente deduce infine – ai sensi dell’art. 360,
comma primo n. 3, cod. proc. civ – violazione o falsa applicazione dell’art. 102,
comma 6, in relazione alla ritenuta indeducibilità integrale dei costi
relativi all’utilizzo di manodopera interna per la manutenzione di beni.
Secondo i giudici d’appello correttamente l’ufficio ha escluso che tali spese
riguardino il personale, chiara essendo la diversa qualificazione delle stesse
risultante dagli atti societari ed essendo comunque indifferente che, ai fini degli
esposti interventi di manutenzione, sia stato in qualche misura, peraltro non
provata, impiegato personale dipendente.
La C.T.R. ha altresì escluso la sussistenza del dedotto errore di calcolo per
mancata ricomprensione dei costi di acquisto dei beni rilevando che la
percentuale di deducibilità è

«esattamente rapportata al costo complessivo dei

beni materiali ammortizzabili quale risultante all’inizio dell’esercizio dal registro
dei beni ammortizzabili».
Entrambe tali valutazioni sono censurate nei termini detti dalla contribuente
che: quanto alla prima, rileva che non esiste norma che giustifichi l’inserimento
del costo della manodopera interna, impiegati anche nell’attività di riparazione

9

implica la definitività dell’elemento reddituale, né, quindi, l’incasso o il

manutenzione dei beni dell’impresa e di proprietà di terzi, tra quelli il cui limite di
deducibllità è pari al 5% (rimarcando come i verificatori, a sostegno della ripresa
fiscale, citino esclusivamente la circolare 4 marzo 1982, n. 11, riguardante II
diverso settore dell’autotrasporto per conto terzi); quanto alla seconda lamenta
l’omessa considerazione tra i richiamati costi anche di quelli sostenuti per
l’acquisto di beni effettuato nei corso dell’esercizio.
Nella sopra citata «memoria e contestuale istanza per la sollecita

fissazione dell’udienza* la ricorrente, oltre a insistere nei motivi di ricorso, ha
altresì eccepito la nullità dell’atto impositivo perché sottoscritto da funzionario
delegato da altro funzionario privo del necessario potere in quanto posto a capo
dell’ufficio in virtù di nomina illegittima, poiché effettuata ai sensi dell’articolo 8,
comma 24, d.i. 2 marzo 2012, n. 16, convertito con modificazioni dalla legge 26
aprile 2012, n. 44, dichiarato Illegittimo dalla Corte costituzionale con sentenza
n. 37 del 25 febbraio 2015.
12.

Va preliminarmente rilevata l’inammissibilità e, comunque,

l’infondatezza dell’eccezione di nullità degli avvisi impugnati per la prima volta
sollevata dalla contribuente nel corso del presente giudizio, con memoria del
1019/2015.
12.1. Sotto il primo profilo appare preliminare e assorbente il rilievo per cui
– come questa Corte ha avuto modo di ribadire di recente proprio in relazione
alla questione in questa sede prospettata – è inammissibile il motivo di ricorso
con il quale il contribuente deduce per la prima volta in Cessazione, senza aver
presentato il motivo nel ricorso originario, davanti alla C.T.P., che l’atto è firmato
da un incaricato con funzioni dirigenziali e non da un dirigente a seguito di
concorso pubblico in quanto «quand’anche si trattasse di argomenti deducibili,

indipendentemente dalle preclusioni che regolano il rito tributario, essi sarebbero
stati comunque introdotti in violazione dei principi che regolano il rito in
Cassazione, non potendo in nessun caso la Corte apprezzare le circostanze di
fatto che costituiscono il presupposto sostanziale degli assunti del contribuente, il

lo

11.

cui onere di allegazione e prova in ordine a detti fatti appare comunque
manifesto e imprescindibile» (Cass. 20 ottobre 2015 n. 21307).
A fortiori tale inammissibilità deve predicarsi con riferimento a censura che,
come nella specie, non è introdotta con ii ricorso per cassazione ma con
successiva memoria.
Al riguardo è utile anche rammentare che – come pure questa Corte ha in

esame – «alla sanzione della nullità comminata dal d.P.R. n. 600 del 1973, art.

42, comma 3, all’avviso di accertamento privo di sottoscrizione, delle indicazioni
e della motivazione di cui al precedente comma 2, o al quale non risulti allegata
la documentazione non anteriormente conosciuta dal contribuente, al pari delle
altre norme che prevedono analoghe ipotesi di nullità degli atti tributari nelle
diverse discipline d’imposta, non è direttamente applicabile il regime normativo
di diritto sostanziale e processuale dei vizi di nullità dell’atto amministrativo – che
hanno trovato riconoscimento positivo nella legge n. 241 del 1990, art. 21septies e sistemazione processuale nel d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 31,

comma 4, (C.P.A.) nell’autonoma azione di accertamento della nullità sottoposta
a termine di decadenza, oltre che nella attribuzione del potere di rilevazione ex
affido da parte del Giudice amministrativo – atteso che l’ordinamento tributario

costituisce un sottosistema del diritto amministrativo, con il quale è in rapporto
di species ad genus, potendo pertanto trovare applicazione le norme generali
sugli atti del procedimento amministrativo soltanto nei limiti in cui non siano
derogate o non risultino incompatibili con le norme speciali di diritto tributario
che disciplinano gli atti del procedimento impositivo, ostando, alla generale
estensione del regime normativa di diritto amministrativo, la scelta operata dal
legislatore, nella sua piena discrezionalità politica, di ricomprendere nella
categoria unitaria della nullità tributaria indifferentemente tutti i vizi ritenuti tali
da inficiare la validità dell’atto tributario, riconducendoli, indipendentemente
dalla peculiare natura di ciascuno, nello schema della invalidità-annullabilità,

11

più occasioni evidenziato, da ultimo anche con riferimento alla questione qui in

dovendo essere gli stessi tempestivamente fatti valere dal contribuente mediante
impugnazione da proporsi, con ricorso, entro il termine di decadenza di cui al
cligs. n. 546 del 1992, art 21, in difetto del quale il provvedimento tributario pure se affetto da vizio nullità – si consolida, divenendo definitivo e legittimando
l’Amministrazione finanziaria alla riscossione coattiva della imposta. Consegue
che si pone in oggettivo conflitto con il sistema normativo tributario

impositivo affetto da nullità, tale vizio possa comunque essere fatto valere per la
prima volta dal contribuente con la impugnazione dell’atto consequenziale,
ovvero che, emergendo il vizio dagli stessi atti processuali, possa, comunque,
essere rilevato di ufficio dal Giudice tributario, anche in difetto di norma di legge
che attribuisca espressamente tale potere» (v. Cass., Sez. 5, n. 22803 del
09/11/2015; Sez. 5, n. 18448 del 18/09/2015, Rv. 636451).
12.2. In ogni caso il rilievo deve considerarsi infondato anche nel merito,
atteso che – come questa Corte ha avuto modo di chiarire – in ordine agii avvisi
di accertamento in rettifica e agli accertamenti d’ufficio, il d.P.R. n. 600 del
1973, art. 42, impone sotto pena di nullità che l’atto sia sottoscritto dal «capo

dell’ufficio» o «da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato», senza
richiedere che il capo dell’ufficio o il funzionario delegato abbia a rivestire anche
una qualifica dirigenziale, ancorché una simile qualifica sia eventualmente
richiesta da altre disposizioni. In esito alla evoluzione legislativa e
ordinamentale, sono impiegati della carriera direttiva, ai sensi della norma
evocata, i «funzionari della terza area» di cui al contratto del comparto agenzie
fiscali per il quadriennio 2002-2005. In questo senso la norma individua l’agente
capace di manifestare la volontà della amministrazione finanziaria negli atti a
rilevanza esterna, identificando quale debba essere la professionalità per legge
idonea a emettere quegli atti (v. Sez. 5, n. 22800 del 09/11/2015; Sez. 5, n.
22810 del 09/11/2015).
13. È infondato il primo motivo di ricorso.

12

l’affermazione secondo cui, in difetto di tempestiva impugnazione dell’atto

13.1. La normativa sul

transfer pricing

ha la finalità di consentire

all’Amministrazione finanziaria un controllo dei corrispettivi applicati alle
operazioni commerciali eici finanziarie intercorse tra società collegate e/o
controllate residenti in nazioni diverse, al fine di evitare che vi siano
aggiustamenti artificiali di tali prezzi, determinati dallo scopo di ottimizzare il
carico fiscale di gruppo, ad esempio, canalizzando il reddito verso le società

La disciplina italiana del transfer pricing è contenuta nell’articolo 110, 7
comma, T.U.I.R. a tenore del quale 4ei componenti del reddito derivanti da

operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o
indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla
stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale dei
beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma
del 2° comma, se ne deriva aumento del reddito; la stessa disposizione si applica
anche se ne deriva una diminuzione del reddito, ma soltanto in esecuzione degli
accordi conclusi con le autorità competenti degli Stati esteri a seguito delle
speciali “procedure amichevoli” previste dalle convenzioni internazionali contro le
doppie imposizioni sui redditi. La presente disposizione si applica anche per i
beni ceduti e i servizi prestati da società non residenti nel territorio dello Stato
per conto delle quali l’impresa esplica attività di vendita e collocamento di
materie prime o merci o di fabbricazione o lavorazione di prodotti».
La norma costituisce – in conformità con le linee guida fissate dall’ad. 9 del
modello di convenzione fiscale OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo

sviluppo economico) sulla determinazione dei prezzi di trasferimento per le
imprese multinazionali e per le amministrazioni finanziarie (1995-2010) – una
deroga al principio per cui, nel sistema di imposizione sul reddito, questo viene
determinato sulla base dei corrispettivi pattuiti dalle parti della singola
transazione commerciale.
Nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia, che

13

dislocate in aree o giurisdizioni caratterizzate da una fiscalità più mite.

seguono il Modello OCSE, invero, il fenomeno del transfer pricing è affrontato
nell’art. 9, il quale, nell’obiettivo di coordinare le concorrenti potestà fiscali degli
Stati rispetto alle fattispecie con elementi di estraneltà, onde evitare la doppia
imposizione internazionale, attribuisce agii Stati contraenti la possibilità di
assoggettare a tassazione anche gli utili che sarebbero stati realizzati se le
imprese residenti nei due Stati avessero regolato le loro relazioni commerciali o

indipendenti.
Nelle ipotesi in cui tali corrispettivi risultino, dunque, scarsamente attendibili
e possano essere manipolati in danno del Fisco italiano, come nel caso degli
scambi transnazionali tra soggetti i cui processi decisionali sono condizionati,
poiché funzionali ad un unitario centro di interessi, i corrispettivi medesimi sono
sostituiti, per volontà di legge, dai «valore normale» dei beni o dei servizi
oggetto dello scambio, qualora tale sostituzione ricada, in concreto, a vantaggio
del Fisco italiano.
Più precisamente, ai verificarsi di determinati presupposti soggettivi
(impresa residente ed impresa non residente e legame di controllo tra le due), il
legislatore prevede la sostituzione del prezzo praticato con il valore normale,
ossia con un valore non alterato dalle strategie fiscali del gruppo e calcolato
tenendo conto dei prezzi di mercato.
13.2. Fondamentale per l’applicazione della disciplina in esame è, dunque, il
fatto che l’operazione sia posta in essere tra imprese in rapporto di controllo.
Di tale concetto, però, né la norma interna né quella contenuta nel Modello
OCSE forniscono una definizione.
Per colmare tale lacuna parte della dottrina e della giurisprudenza di merito
fanno riferimento alla nozione civilistica di controllo di cui all’articolo 2359, primo
comma, cod. civ., in relazione alla quale possono considerarsi controllate
solamente: «i) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei

voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; 2) le società in cui un’altra società

14

finanziarie in base alle condizioni che sarebbero state convenute tra imprese

dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea
ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in
virtù di particolari vincoli contrattuali con essa».
Altra parte della dottrina e

come sopra s’è detto – la sentenza qui

impugnata considerano, invece, questa nozione troppo limitativa sia sotto il
profilo soggettivo, sia sotto quello oggettivo.

condivisa e che quindi infondate siano le censure sul punto svolte dalla
ricorrente.
Militano in favore della tesi estensiva ragioni di carattere testuale e
soprattutto teleologiche, legate allo scopo antielusivo della norma fiscale.
Sotto il primo profilo varrà anzitutto rimarcare che, come detto, la norma
fiscale non rinvia per la definizione del concetto all’articolo 2359 del codice civile:
circostanza questa che non può apparire casuale e priva di significato ove si
consideri che numerose sono invece le norme, in ambito fiscale ed anche nello
stesso T.U.1.R., che,

nel richiamare il concetto di controllo, lo definiscono

espressamente: a volte per rinvio espresso all’art. 2359 del codice civile

[v. art.

38-bis comma 5, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in tema di rimborso del credito Iva in ambito di
gruppo; v. anche, all’interno dello stesso T.U.I.R., l’art. 73 comma 5-quater, 98, ora abrogato, in tema
di thin capitalization; l’art. 155; l’art. 167, in tema di società estere controllate (CFC); i lari 175];

altre volte con limitato riferimento al comma 1, n. 1 del predetto art. 2359

[v.

T.U.I.R. art. 96, comma 2, come modificato dall’art. 4, comma 1, lett. a), d.lgs. 14 settembre 2015, n.
147; artt. 117, comma 1, e 130, comma 1, in terna di consolidato; artt. 177 e 178 in tema di scambi
di partecipazioni infragruppo];

definizione [art.

altre volte ancora ne danno una autonoma e specifica

73, ult. co ., d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633].

Manca dunque una nozione generale di controllo, ai fini fiscali, a cui riferirsi
e, d’altro canto, lo stesso non sempre integrale richiamo all’art. 2359 cod. civ., le
volte in cui a questo il legislatore fa esplicito rinvio, impediscono di considerarlo
quale sicuro riferimento sussidiario.

15

Reputa questa Corte che quest’ultima opzione interpretativa meriti di essere

Il silenzio serbato nella ipotesi in esame appare, dunque, espressivo di una
precisa scelta della volontà del legislatore di non vincolare la nozione di controllo
fiscale a quella civilistica.
Indice testuale in tal senso è del resto anche rappresentato dal fatto che,
per la identificazione del soggetto interno cui applicare la disciplina di contrasto
al fenomeno del transfer pricing in presenza di una situazione di controllo, la

di società, cui mal si attaglierebbe dunque il concetto di controllo quale definito
dall’art. 2359 cod. civ., facendo questo riferimento esclusivamente a rapporti tra
due o più società).
La scelta appare poi sicuramente funzionale ai fini perseguiti dal legislatore
fiscale, certamente diversi e non sovrapponibili a quelli della norma civilistica e
rispetto ai quali non può non tenersi conto nella Interpretazione della norma
dell’esigenza di assegnare alla stessa un tasso di elasticità che la renda capace di
attagliarsi alle varie ipotesi in cui, indipendentemente dalla ricorrenza dei rigidi
requisiti civilistici, possa apprezzarsi l’influenza di un’impresa sulle decisioni
imprenditoriali di un’altra.
In tale prospettiva appare evidente che un concetto di controllo circoscritto a
vincoli contrattuali od azionari risulta troppo riduttivo, non permettendo di
sconfinare in considerazioni di fatto di carattere meramente economico essenziali
per disciplinare un fenomeno fiscale come quello del transfer pricing.
Condivisibile appare in tal senso il richiamo da parte della C.T.R. alle
Indicazioni fornite dalla Circolare ministeriale n. 32 del 22 settembre 1980 che,
ancorché ovviamente non vincolante per l’interprete, offre tuttavia una chiave di
lettura della norma che appare da un lato non smentita dal dato testuale e
dall’altro coerente alle sue finalità antielusive.
Secondo tale circolare «il concetto di controllo deve essere esteso ad ogni

ipotesi di influenza economica potenziale o attuale desumibile da singole
circostanze» tra le quali – per quel che in questa sede interessa –

16

«a) vendita

norma usa il termine «impresa» (concetto ovviamente più ampio e comprensivo

esclusiva di prodotti fabbricati dall’altra impresa; b) impossibilità

di

funzionamento

la

dell’impresa senza il capitale, i

prodotti e

cooperazione tecnica dell’altra impresa; … l) controllo di approvvigionamento
o di sbocchi; … m) in generale tutte le ipotesi in cui venga esercitata
potenzialmente o attualmente un’influenza sulle decisioni imprenditoriali».
13.3. Ciò posto non resta che rilevare che la C.T.R. ha adeguatamente

situazione di controllo alla luce in particolare delta previsione contrattuale in virtù
della quale la contribuente, priva di per sé di alcuna struttura commerciale,
aveva affidato alta società estera, titolare del 24% del capitale della prima,
l’incarico dì provvedere in esclusiva alla commercializzazione dei propri prodotti,
ragionevolmente vedendo in ciò realizzata l’ipotesi contemplata nella citata
interpretazione ministeriale che, fra le circostanze ritenute sintomatiche
dell’influenza anche solo potenziale di una società sulle decisioni imprenditoriali
di altra società, indica – come detto – anche la vendita di prodotti fabbricati
dall’altra impresa e l’impossibilità di funzionamento dell’impresa senza il capitale,
i prodotti e la cooperazione dell’altra.
La C.T.R. ha anche espressamente considerato al riguardo l’obiezione
opposta dalla ricorrente circa la riconosciuta (dall’ufficio) esistenza di una

«indipendenza tecnica» rispetto alla società consociata, rilevando che «tale
indipendenza … è stata apprezzata, in sede di verifica, unicamente sotto il profilo
tecnico dichiarato dalle parti e non è dunque estensibile … all’aspetto decisionale
e concretamente gestionale dell’attività di impresa».
Trattasi con ogni evidenza di un accertamento in fatto congruamente
argomentato sotto il profilo logico come tale non sindacabile in questa sede,
tantorneno sotto il profilo della violazione di legge, l’unico specificamente dedotto
dal ricorrente con la censura in esame.
14. è invece inammissibile il secondo motivo di ricorso.
La censura omette di indicare specificamente l’affermazione in diritto

17

motivato il convincimento espresso circa la ricorrenza, nella specie, di una

contenuta nella sentenza gravata che si assume in contrasto con le norme che si
pretendono violate.
Le contestazioni mosse dalla ricorrente afferiscono per vero più
propriamente alla giustificazione offerta in sentenza circa la determinazione del
valore normale delle prestazioni rese dalla società estera controllante, muovendo
esse pertanto non già sul piano della interpretazione della norma e della corretta

della ricognizione della fattispecie concreta quale emersa dalle risultanze di
causa e, dunque, impingendo il diverso tema della coerenza e adeguatezza della
motivazione.
Peraltro anche sotto tale versante, a prescindere dalla sua incoerenza
rispetto alla tipologia del vizio dedotto, le critiche svolte si risolvono nella mera
reiterazione di argomenti difensivi già specificamente considerati dai giudici
d’appello e posti ad oggetto di una valutazione esaustiva e congruamente
motivata, alla quale il ricorrente si limita a ben vedere a inammissibilmente
contrapporre in termini sostanzialmente assertivi un diverso giudizio di parte.
15. Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile, poiché non si confronta
con la effettiva ratio decidentii della sentenza impugnata.
L’accertamento impugnato, siccome desumibile dalla motivazione trascritta
nello stesso ricorso per cassazione (pag. 66) non contestava l’inerenza dei costi
ma solo la loro congruità. In questa linea si è coerentemente mosso anche il
giudice d’appello che, emendando l’erroneo (e peraltro solo incidentale e
comunque aggiuntivo) riferimento al requisito dell’inerenza contenuto nella
sentenza di primo grado, ha confermato la legittimità dell’operato
dell’amministrazione proprio in quanto fondato sulla divisata sussistenza dei
presupposti del c.cl. transfer pricing, senza dunque attribuire – ma anzi
espressamente escludendo – alcun rilievo al difetto del requisito di inerenza dei
costi. Donde l’evidente inconferenza della censura della ricorrente che postula
una inesistente concorrente incidenza nella decisione impugnata di

18

ricognizione della fattispecie astratta da essa prevista, quanto piuttosto su quello

considerazioni legate a tale requisito.
16. è altresì inammissibile il quarto motivo per difetto di specificità.
A supporto della insistita tesi difensiva della riconducibilità degli interventi
eseguiti nel 2005 e nel 2006 sugli applicativi in uso alla contribuente a mera
manutenzione degli stessi, questa si limita a richiamare i principi contabili,
nazionali e internazionali, senza tuttavia calarli nella fattispecie concreta, quale

andrebbe ricondotta a quelle categorie di intervento in astratto considerate di
carattere meramente manutentivo e non migliorativo o implementativo del
software di base già acquisito.
Al riguardo la

C.T.R.

motiva adeguatamente il proprio opposto

convincimento, tra l’altro rimarcando la mancanza di emergenze idonee a fornire
riscontri del dedotto carattere ripetitivo delle spese, donde anche sotto tale
profilo (propriamente motivazionale, estraneo dunque al dedotto vizio di
violazione di legge) un rilievo possibile di aspeciflcità della censura, in quanto
omette di confrontarsi appieno con la motivazione della sentenza ma si risolve,
inammissibilmente, nella mera assertiva proposizione di una valutazione opposta
a quella espressa nella sentenza impugnata.
17. è anche inammissibile li quinto motivo di ricorso.
Con esso invero la ricorrente denuncia come violazione di legge quello che
Invece costituisce una tipica valutazione discrezionale affidata al giudice del
merito, senza che parte ricorrente formuli un’adeguata critica in punto di
motivazione che possa superare l’altrimenti inammissibile revisione del relativo
giudizio. Risulta nuova e comunque palesemente infondata la denuncia di
violazione dell’art. 7 st. contr.
18. È invece fondato e merita accoglimento il sesto motivo di ricorso.
Al sensi dell’art. 109, comma 1, T.U.I.R.

«i ricavi, le spese e gli altri

componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme del presente capo
non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di

19

accertata in sentenza, e senza dunque spiegare le ragioni per le quali questa

competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio
di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo
l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali
condizioni».
Si ricava da tale disposizione che, ai fini della imputazione dei componenti
negativi di reddito, in mancanza di diverse disposizioni specifiche, la regola è

in favore del principio di cassa, solo laddove vi sia incertezza nell’an o
indeterminabilità nel quantum.

in altri termini, i componenti negativi che

concorrono a formare il reddito possono essere imputati all’anno di esercizio in
cui ne diviene certa l’esistenza – o determinabile in modo obiettivo l’ammontare qualora di tali qualità fossero privi nel corso dell’esercizio di competenza (Sez. 5,
n. 3368 del 12/02/2013, Rv. 625271).
La giurisprudenza di questa Corte ha però al riguardo costantemente
evidenziato che tale determinabilità non può essere rimessa alla mera volontà
delle parti, con una scelta discrezionale dell’esercizio cui imputare il costo (Cass.
Sez. 5, n. 24526 del 20/11/2009, Rv. 610765), ma può essere desunta, oltre
che dall’indicazione contrattuale del corrispettivo, da strumenti ed elementi
diversi (cfr., da ultimo, Cass. n. 13252 dei 26/06/2015; Sez. 5, n. 9068 del
06/05/2015; v. anche Sez. 6 – 5, n. 18237 del 24/10/2012, Rv. 624228; Sez. 5,
n. 24526 del 2009, cit.; Sez. 5, n. 10988 del 14/05/2007, che – in una
fattispecie in cui la ricorrente assumeva che li costo ed il titolo giuridico
dell’utilizzazione di macchinari nel periodo 1985-1992 era stato determinato solo
con una transazione intervenuta nel 1992, sicché non essendo il detto costo
assolutamente determinabile prima di allora, in difetto di accordo tra le parti,
correttamente era stato correlato all’esercizio del 1992, quando cioè era
divenuto oggettivamente determinato – nell’enunciare il principio sopra riportato
ha Invece ritenuto che l’obblettiva determinabilità sancita dalla legge non è
collegata o collegabile alla manifestazione della volontà delle parti sul costo,

20

rappresentata dal principio di competenza e che la stessa può essere derogata,

essendo, altrimenti, ad esse demandata la scelta di stabilire a quale esercizio di
competenza imputare la relativa componente del reddito d’impresa, sicché il
mancato accordo delle parti non significa necessariamente che il costo non sia,
prima dell’accordo stesso, obbiettivamente determinabile, potendo a tal fine
soccorrere strumenti diversi, quale la parametrazione ad altre operazioni simili,
al valore di mercato dei beni utilizzati in rapporto al numero delle ore di utilizzo

La sentenza Impugnata, nel confermare la legittimità della ripresa a
tassazione degli oneri imputati dalla società all’esercizio 2006 rappresentati dal
debito restitutorio e risarcitorio sorto in dipendenza della vendita di prodotti
difettosi, ha adottato una regola di giudizio (e quindi di valutazione degli
elementi acquisiti) non coerente con l’accolta esegesi della norma quale sopra
Illustrata, avendo essa Infatti, da un lato, considerato irrilevante l’ipotesi che la
sopravvenienza passiva potesse ritenersi certa nell’an e determinata nel
quantum già nel 2006 in ragione dello scambio tra le parti di corrispondenza e di
bozze dell’accordo transattivo, declinando per tal motivo il relativo accertamento
sulla base delle emergenze processuali («quand’anche potesse darsi per sicura
l’esistenza dl una componente negativa del reddito

dall’altro, attribuito

decisiva rilevanza alla formazione del titolo giuridico fr.. soltanto nell’anno
successivo (il 2007) si è formato il titolo giuridico …»),

così delineando una

direzione argomentativa esattamente opposta a quella invece indicata dalla
norma che, per esigenze di corretta e non strumentale contabilizzazione e
Imputazione fiscale, lega il presupposto di deducibilità alla certezza e
determinabilità dei costo e non necessariamente ad una formale e definitiva
manifestazione di volontà delle parti.
19. è infine inammissibile il settimo motivo di ricorso.
Anche in tal caso, invero, viene prospettata come violazione di legge una
mera contestazione di quello che emerge dalla sentenza impugnata come un
accertamento dì fatto su base documentale circa l’identificazione della causale di

21

dei medesimi).

spesa, senza che parte ricorrente, anche in ossequio al principio di
autosufficienza, formuli un’adeguata critica in punto di motivazione che possa
superare l’altrimenti inammissibile revisione del merito.
20. In accoglimento pertanto del sesto motivo di ricorso la sentenza
impugnata va cassata con rinvio alla C.T.R. delle Marche che, in diversa
composizione, dovrà provvedere, nella determinazione dell’esercizio cui imputare

acquisiti al processo alla luce del principio sopra enunciato.
Al giudice di rinvio è demandato anche il regolamento delle spese del
presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; dichiara inammissibili il secondo,
il terzo, il quarto, il quinto e il settimo; accoglie il sesto motivo e, per l’effetto,
cassa la sentenza impugnata con rinvio alla C.T.R. delle Marche, in diversa
composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso l’8/2/2016

le sopravvenienze passive ivi descritte, a nuova valutazione dei dati fattuali

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA