Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8130 del 02/04/2010

Cassazione civile sez. I, 02/04/2010, (ud. 09/12/2009, dep. 02/04/2010), n.8130

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26538/2008 proposto da:

C.P. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CALATAFINI 41, presso l’avvocato ELISABETTA

BULDO, rappresentato e difeso dall’avvocato PASTORE Gaetano, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente-

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

nonchè da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.P.;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

12/04/2008, n. 2789/07 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

09/12/2009 dal Presidente Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale e rigetto del ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto depositato in data 12.4.2008 la Corte d’Appello di Napoli – pronunciando sulla domanda di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, proposta da C.P. nei confronti del Ministero della Giustizia in relazione al procedimento di esecuzione promosso dal Banco di Napoli con atto di pignoramento immobiliare notificato il 30.4.1996 e definito, dopo l’aggiudicazione dell’immobile per la complessiva somma di Euro 374.435,00 e la sua assegnazione, in data 28.2.2007 con la dichiarazione di estinzione da parte del giudice dell’esecuzione – determinava, sulla base dell’intera vicenda processuale, la durata ragionevole in anni tre e quella non ragionevole in anni 8, liquidando a titolo di danno non patrimoniale la somma di Euro 8.000,00, pari ad Euro 1.000,00 per ciascun anno.

Disattendeva invece la richiesta di riconoscimento del danno patrimoniale riferita alla maturazione degli interessi sulla somma ricevuta in mutuo, osservando che gli interessi erano dipesi dall’inadempimento dello stesso C. che non aveva provveduto al tempestivo pagamento dell’obbligazione di restituzione della somma ricevuta in mutuo e non già dalla durata del procedimento esecutivo.

Avverso detto decreto C.P. propone ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura .

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia che propone anche ricorso incidentale affidato a due motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Pregiudizialmente i due ricorsi, il principale e l’incidentale, vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., riguardando lo stesso decreto.

Con il primo motivo del ricorso principale C.P. denuncia violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, con riferimento agli artt. 2056 e 1223 c.c., limitatamente al mancato riconoscimento dei danni patrimoniali, sostenendo che il maggiore esborso dovuto per il maturare degli ulteriori interessi legali e convenzionali costituisce un effetto immediato e diretto, sulla base di una normale sequenza causale, della durata eccessiva del procedimento esecutivo.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione, deducendo l’assoluta irrilevanza della argomentazione della Corte d’Appello che fa discendere il danno patrimoniale collegato ai maggiori interessi unicamente dalla sua inadempienza senza considerare che il punto nodale è costituito non già dal comportamento del debitore ma dalla durata eccessiva del procedimento che certamente ha inciso sulla sua entità in un rapporto di causalità naturale.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile d’ufficio ai sensi dell’art. 366 bis C.P.C. – applicabile “ratione temporis” nel caso in esame essendo stato il decreto depositato in data 27.4.2008 – per l’omessa formulazione dei quesiti.

Quanto al primo motivo, prospettato come violazione di legge, il ricorrente avrebbe dovuto far seguire l’esposizione della censura da una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta all’esame del giudice di legittimità (Sez. Un. 7258/07; Cass. 23153/07 e molte altre successive), mentre in ordine al secondo motivo relativo al difetto dì motivazione, la censura dopo la sua formulazione avrebbe dovuto contenere il momento di sintesi in grado di circoscriverne i limiti (Sez. Un. 20603/07; Sez. Un. 11652/08 e molte altre successive).

In mancanza non può che applicarsi la citata disposizione e dichiarare l’inammissibilità del ricorso principale.

Con il primo motivo del ricorso incidentale il Ministero della Giustizia denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2. Lamenta che la Corte d’Appello abbia riconosciuto il danno non patrimoniale “in re ipsa” senza considerare che il C., non essendosi costituto, non avesse assunto la veste di parte ma si fosse posto in una situazione di mera soggezione, priva peraltro dell’alea sull’esito del procedimento. Deduce altresì che la maggiore durata del procedimento si era risolta in un vantaggio per il debitore escusso in conseguenza della rivalutazione degli immobili nel frattempo intervenuta e che l’unico soggetto danneggiato da tale maggiore durata è da ritenersi lo stesso creditore.

Orbene, priva di fondamento giuridico è la tesi secondo cui nel giudizio di esecuzione il debitore, non costituendosi, non assume la veste di parte ma da luogo ad una situazione di mera soggezione.

Dal momento in cui, a seguito della notifica del titolo esecutivo e del precetto, si procede al pignoramento dei beni del debitore ed inizia così il procedimento esecutivo, il debitore è certamente parte interessata, ancorchè rimanga passivo non proponendo una sua opposizione, e la sua posizione è equiparabile ai fini in esame alla parte contumace nel giudizio di cognizione. Non v’è motivo quindi per escludere in linea di principio il diritto a conseguire l’equa riparazione per la ritardata definizione del giudizio di esecuzione.

Del tutto generico è poi l’assunto secondo cui la maggiore durata del procedimento avrebbe comportato un vantaggio al debitore in virtù della rivalutazione del valore degli immobili pignorati. Al di là di ogni considerazione di ordine giuridico sulla validità di una tale tesi, non v’è dubbio che, trattandosi di una questione di fatto, prima ancora che giuridica, la prospettazione avrebbe richiesto, in ogni caso, un accertamento in sede di merito costituito nel rapportare il valore raggiunto dall’immobile all’entità dell’importo assunto dal debito a seguito alle maggiorazioni per interessi ed eventualmente per rivalutazione monetaria.

Con il secondo motivo il Ministero denuncia omessa e/o insufficiente motivazione. Sostiene che, nella determinazione del danno, la Corte d’Appello non ha considerato che la maggiore durata del procedimento si è tradotta in un vantaggio per il debitore che ha fruito del terreno pignorato per tutto il tempo della procedura.

La censura è inammissibile in quanto, indipendentemente da ogni valutazione sulla sua rilevanza ai fini in esame, manca di autosufficienza, non essendo stato dedotto, pur in assenza di qualsiasi riferimento al riguardo nel decreto impugnato, se la circostanza prospettata in questa sede, vale a dire la permanenza del debitore nell’immobile pignorato durante tutta la procedura esecutiva, fosse stata portata all’attenzione della Corte d’Appello con una specifica deduzione. E non v’è dubbio che, trattandosi ancora una volta di una questione di fatto, avrebbe dovuto essere accertata, se ritenuta rilevante, in quella sede.

La reciproca soccombenza giustifica la compensazione integrale delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi. Dichiara inammissibile il ricorso principale.

Rigetta l’incidentale. Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2010

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