Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8127 del 22/04/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 8127 Anno 2016
Presidente: DI AMATO SERGIO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24267/2009 R.G. proposto da
LEONE GIROLAMO,
rappresentato e difeso dagli Avv.ti Giuseppe Ferraro dei Foro di Caltanissetta
e Luigi Isabella Valenzi del Foro di Roma; elettivamente domiciliato presso Io
studio di quest’ultimo in Roma, via Pompeo Ugonio, n. 3, per procura margine
del ricorso,

– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE,
in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la
rappresenta e difende,

– controricorrente

Data pubblicazione: 22/04/2016

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia n.
56/01/08, depositata il 3/10/2008.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27 gennaio
2016 dal Relatore Cons. Emilio Iannello;
udito per il ricorrente l’Avv. Luigi Isabella Valenzi;
udito l’Avvocato dello Stato Pasquale Pucciarello per la controricorrente;

Augustinis, il quale ha concluso per il rigetto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Girolamo Leone impugnava, con quattro distinti ricorsi, avanti la C.T.P. di
Agrigento, gli avvisi di accertamento per maggiori imposte Irpef ed Ilor relative
agli anni 1997, 1998, 1999 e 2000, nei suoi confronti emessi in data 31/5/2005
sulla base di determinazione sintetica dei redditi operata, ai sensi del d.P.R. 29
settembre 1973, n. 600, art. 38, a seguito di controllo nei confronti della società
Leonplast s.a.s. di Leone Diego & C., dal quale era emerso che lo stesso aveva in
essa effettuato nel 2002 conferimenti per C 293.000,00 ed aveva, inoltre,
acquistato nel 2001 quote di capitale per C 10.329,00.
Con i proposti ricorsi il contribuente deduceva che: nel 2001 egli non aveva
effettuato alcun conferimento in favore della Leonplast s.a.s. ma aveva solo
acquistato dal fratello Calogero Leone quote della predetta società per l’importo
di lire 6 milioni, e ciò con il proprio reddito conseguito in Germania, dove era
rimasto stabilmente dal 1992 al 2001; i conferimenti del 2002 (per euro
293.000) erano stati effettuati dal fratello Diego Leone, a valere sulle
disponibilità del conto corrente di cui era titolare presso la filiale di Verona del
Banco di Roma: disponibilità derivanti da operazioni di cambio di marchi tedeschi
in lire italiane, effettuate nel periodo 1994-2001 per un ammontare complessivo
di circa C 1.900.000 e a loro volta alimentate dal reddito prodotto in Germania,
non tassabile in Italia, in forza della convenzione italo-tedesca del 1989 contro le
doppie imposizioni ratificata con legge 24 novembre 1992, n. 459.

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udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Umberto De

L’adita C.T.P., riuniti i ricorsi, li accoglieva ritenendo che, avendo

Il

contribuente dato prova che il reddito era stato prodotto all’estero, per il
principio del divieto della doppia imposizione, questo non poteva essere
nuovamente sottoposto a tassazione in Italia.
In accoglimento dell’appello proposto dall’ufficio e in parziale accoglimento
dell’appello incidentale condizionato proposto dal contribuente, la C.T.R. Sicilia,

opposti, escludendo dagli elementi posti a fondamento della determinazione
sintetica gli acquisti di quote sociali operati nel 2001, con conseguente parziale
annullamento, in parte qua, dei corrispondenti avvisi.
Rilevavano in sintesi i giudici di secondo grado, per quel che in questa sede
ancora interessa, che – pur dovendosi considerare il contribuente residente fin
dal 1992 in Germania, per avere ivi stabilito sin da quella data i suoi «interessi

vitali», e ciò ai sensi dell’art. 4, comma 2, lett. a) legge n. 459/1992, di ratifica
della convenzione del 1989 tra la Repubblica italiana e la Repubblica federale di
Germania per evitare le doppie imposizioni sul redditi – ciò tuttavia non bastava
ad escludere la tassabilità in Italia del reddito in questione, in difetto di prova da
parte del contribuente che il reddito impiegato per i conferimenti posti a base
della determinazione sintetica fosse stato prodotto in Germania. A tal fine,
secondo la C.T.R., non poteva ritenersi sufficiente la dimostrazione che tali
conferimenti fossero stati effettuati con «denaro del fratello Diego Leone, a

valere sulle disponibilità del conto corrente intrattenuto da quest’ultimo presso la
filiale di Verona del Banco di Roma» e che tali disponibilità fossero a loro volta
derivate da operazioni di cambio di marchi tedeschi in lire italiane nel periodo
1994-2001, ciò ancora non dimostrando che tale disponibilità in valuta estera
fosse frutto di redditi prodotti in Germania dall’interessato.
2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione Girolamo Leone
articolando cinque motivi, corredati da quesiti formulati ai sensi dell’art. 366-bis
cod. proc. civ., applicabile ratione temporis; resiste l’Agenzia delle entrate con

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con sentenza n. 56/01/08 del 3/10/2008, confermava parzialmente gli avvisi

controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..

MOTIVI DELLA DECISIONE
3. Con il primo motivo di ricorso Girolamo Leone deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 53 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e dell’art. 342 cod.
proc. civ., in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 cod. proc. civ., per avere

proposto dall’Agenzia delle entrate in quanto non supportato da specifici motivi
di impugnazione; rileva infatti il ricorrente che, con tale motivo, si censurava la

sentenza di primo grado per non aver accertato che il contribuente aveva
prodotto all’estero il reddito sinteticamente determinato ai sensi dell’art. 38
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, senza considerare che tale accertamento era
in realtà contenuto nella decisione impugnata e senza quindi offrire alcun
argomento teso a confutarne la validità.
4. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 112 cod.
i
proc. civ., in relazione allo art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., per
avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi sulla suddetta eccezione di
inammissibilità del secondo motivo d’appello.
5. Con il terzo motivo – rubricato violazione e falsa applicazione dell’art. 38,
comma 4, d.P.R. n. 600 del 1973, nonché degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc.
civ. – si deduce che l’accertamento sintetico ex art. 38, comma 4, d.P.R. n. 600
del 1973, è fondato sul presupposto che fino al 18/01/2001 (data a decorrere
dalla quale il contribuente risulta iscritto nell’A.I.R.E., Anagrafe degli italiani
residenti all’estero) il ricorrente medesimo fosse residente in Italia, con
conseguente assoggettamento a tassazione in questa nazione dei redditi
ovunque prodotti, laddove detta presunzione relativa deve ritenersi superata
dalla prova che il contribuente medesimo è residente all’estero in forza di
convenzione italo-germanica del 1989 ratificata in Italia con legge n. 459 del
1992 e nel suddetto Stato estero deve veder tassati i propri redditi. Secondo il

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omesso di rilevare l’eccepita inammissibilità del secondo motivo dell’appello

ricorrente, inoltre, tale prova (della residenza in Germania) sollevava

il

contribuente dall’onere di dimostrare che i conferimenti fossero stati eseguiti con
denaro del fratello ovvero con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a
titolo d’imposta atteso che, quand’anche tali redditi fossero stati prodotti nello
Stato estero in evasione di imposta, Ivi avrebbero comunque dovuto essere
accertati e tassati.

600 del 1973, art. 38, comma 6 (vigente ratione temporis), nonché degli artt.
115 e 116 cod. proc. chi., il ricorrente chiede a questa Corte «se la idonea

documentazione di cui al comma 6 dell’art. 38 citato nel caso di accertamento
sintetico a carico di soggetti di cui si è accertata la residenza in uno stato estero
col quale vige convenzione –

– deve ritenersi raggiunta con la prova che gli

incrementi patrimoniali sono stati effettuati con denaro ricevuto da parente (nel
caso di specie, fratello) di cui ne è provata la disponibilità su c/c bancario
cosicché eventuali accertamenti dovevano riguardare il parente che aveva
prodotto reddito estero (nel caso di specie marchi tedeschi D.M. cambiati in lire
italiane e versati su c/c) che, tuttavia, anche se non dichiarato nello Stato
straniero, ivi doveva essere accertato e tassato (
provare l’entità del reddito estero (

) e non è invece necessario

) che potrebbe essere stato prodotto in

evasione di imposta in quello Stato estero».
7. Col quinto motivo, denunciando vizio di motivazione, il ricorrente deduce
che la motivazione della sentenza impugnata è contraddittoria per il fatto che i

6. Col quarto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del d.P.R. n.

giudici d’appello hanno accertato che il ricorrente era residente in Germania, ma
hanno poi ritenuto assoggettabile a tassazione in Italia il reddito che lo stesso
doveva aver ivi prodotto «compresi i soldi che il fratello Leone Diego gli aveva

dato per i conferimenti nella Leonplast s.a.s. ossia i marchi tedeschi “cambiati”
in lire italiane presso la filiale di Verona del Banco di Roma».
8. e infondato il primo motivo di ricorso.
Si ricava, invero, dall’atto d’appello, cui questa Corte ha diretto accesso

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cl

trattandosi di questione processuale, che con il secondo motivo di gravame
l’Agenzia si doleva non già del mancato accertamento tout court, da parte del
giudice di primo grado, del fatto cui la norma tributaria riconnette l’effetto di
paralizzare l’accertamento induttivo (ossia dell’essere, il reddito recuperato a
tassazione, prodotto all’estero), ma ben diversamente dei fatto che a tale
accertamento – che dunque non era affatto disconosciuto o postulato

base delle mere affermazioni del contribuente e in assenza di prova.
Si trattava in altre parole di una censura che impingeva non la mancanza
dell’accertamento ma l’adeguatezza della sua motivazione, in ragione della
contestata sussistenza di elementi idonei a suffragarlo.
La C.T.R., dunque, non decampa affatto dai limiti segnati dalla domanda, dal
contenuto della sentenza impugnata e dai motivo di gravame ma, al contrario, lo
accoglie ritenendo effettivamente ingiustificato, alla stregua degli elementi
raccolti, l’accertamento operato dal primo giudice.
Donde l’insussistenza dell’errar in procedendo denunciato.
9. È altresì infondato il secondo motivo.
Secondo pacifico insegnamento della giurisprudenza di legittimità non
ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un
punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita
di rigetto sul medesimo (v. in tal senso Cass., Sez. 1, n. 5351 del 08/03/2007,
Rv. 595288, in un caso in cui la S.C. ha ravvisato il rigetto implicito
dell’eccezione di inammissibilità dell’appello nella sentenza che aveva valutato
nel merito i motivi posti a fondamento del gravame).
Nei caso di specie raccoglimento da parte della C.T.R. del secondo motivo di
gravame comporta evidentemente l’implicito rigetto della eccezione di
inammissibilità dello stesso.
10. à invece fondato Il quarto motivo di ricorso, il cui esame si appalesa
preliminare e assorbente rispetto agli altri.

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insussistente dall’appellante – il primo giudice fosse bensì pervenuto ma sulla

La C.T.R. ha escluso che fosse idoneo a contrastare la presunzione di
maggior reddito derivante dai conferimenti in s.a.s. il fatto (affermato in
sentenza) che tali conferimenti risultano effettuati – si legge testualmente – «con
denaro del fratello Leone Diego …, a valere sulle disponibilità del c/c intrattenuto
da quest’ultimo presso la filiale di Verona del Banco di Roma».

È questo un accertamento in fatto che non risulta contestato in causa,

di tale operazione, uno scopo estintivo di precedenti obbligazioni (contratte dal
fratello Diego nei confronti dell’odierno ricorrente) o un intento liberale che
consenta di ricondurre comunque il predetto denaro a risorse finanziarie di
pertinenza del contribuente, non potendosi pertanto nemmeno escludere che
l’intestazione dei conferimenti, con denaro di Leone Diego ma a nome dei
contribuente, sia frutto di una mera interposizione – fittizia o fiduciaria in questa
sede non importa – che come tale potrebbe al più giustificarne una ripresa a
tassazione nei confronti del primo, ma non del secondo.
Ne deriva pertanto una chiara distonia tra la fattispecie cosi come accertata
in sentenza e la norma applicata.
Questa infatti legittima la presunzione, da parte dell’amministrazione
finanziaria, di un reddito maggiore di quello dichiarato dal contribuente sulla
base di elementi indiziar’ dotati dei caratteri della gravità, precisione e
concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. e, in particolare, per quel che in
questa sede interessa, in ragione della «spesa per incrementi patrimoniali», la
quale si presume sostenuta «salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in
quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei cinque precedenti»

(art. 38, comma 5, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nel testo applicabile alla
fattispecie ratione temporis).
Quanto alla prova contraria – che la stessa disposizione faculta e onera il
contribuente a offrire – essa è bensì testualmente riferita, nei successivo comma
6, al fatto che «il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è

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nemmeno essendosi da alcuno ipotizzato, tanto meno in sentenza, a fondamento

costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta
alla fonte a titolo» (circostanze queste che postulano pur sempre che la spesa
sia stata affrontata con risorse finanziarie comunque di pertinenza o nella diretta
disponibilità del contribuente); non può dubitarsi però che,

a fortiori, il

fondamento stesso del ragionamento presuntivo venga meno in radice ove si
dimostri che l’incremento patrimoniale di che trattasi sia stata effettuato – come

L’efficacia impeditiva della presunzione di tale circostanza risulta ora anche
espressamente affermata dalla nuova formulazione della norma (art. 38, comma
4, d.P.R. cit. come sostituito dall’art. 22, comma 1, d.l. 31 maggio 2010, n. 78,
convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), a mente della quale infatti la
prova contraria può concernere (anche) il fatto che il finanziamento della spesa
per incremento patrimoniale sia avvenuto «con redditi diversi da quelli posseduti

nello stesso periodo»: locuzione riferibile ovviamente anche al caso di redditi
soggettivamente diversi ossia provenienti o comunque direttamente imputabili
ad altri.
Benché la detta novella, per espressa disposizione transitoria, abbia effetto

«per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non
è ancora scaduto alla data di entrata in vigore», non è dubitabile che, per la
parte citata, essa valga in realtà solo ad esplicitare l’ambito coperto dalla
presunzione semplice suscettibile di essere posta a fondamento
dell’accertamento e contrastabile dalla prova contraria, secondo un criterio logico
di inerenza degli elementi presunti rispetto al fatto da provare (maggior reddito
Imponibile) già necessariamente implicito nella precedente formulazione.
Nel caso in esame, dunque, la C.T.R. avendo confermato la legittimità della
rettifica operata dall’ufficio, pur in presenza della prova – da essa stessa
affermata come acquisita – che i conferimenti fossero stati effettuati

«con

denaro del fratello Leone Diego …, a valere sulle disponibilità del c/c intrattenuto
da quest’ultimo presso la filiale di Verona del Banco di Roma» è

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incorsa in

nella specie – con denaro altrui.

violazione della norma succitata ricostruendone il contenuto in termini non
corretti e traendone pertanto per il caso di specie una regola di giudizio non
conforme a quella legale.
11. In accoglimento del detto motivo, la sentenza impugnata va pertanto
cassata, rimanendo assorbito l’esame dei motivi terzo e quarto di ricorso
(quest’ultimo peraltro proponendo in parte, sotto il profilo del vizio di

circostanza processua ‘mente accertata).
Non prospettandosi la necessità, né, sia pure in astratto, la possibile
rilevanza di eventuali ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel
merito ex art. 384 c.p.c., con l’accoglimento integrale del ricorso introduttivo
proposto dal contribuente.
La natura della controversia giustifica l’integrale compensazione delle spese
di entrambi I gradi del giudizio di merito.
L’amministrazione resistente va invece condannata al pagamento, in favore
del ricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da
dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso; accoglie il quarto e dichiara
assorbiti il terzo e il quinto; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel
merito, accoglie integralmente il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado
proposto da Girolamo Leone.
Compensa tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito e
condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese relative al presente
giudizio di legittimità, liquidate in € 7.000,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso il 27/1/2016

motivazione, la medesima doglianza relativa alla omessa valutazione della detta

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