Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8126 del 23/04/2020

Cassazione civile sez. III, 23/04/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 23/04/2020), n.8126

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso -2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, (OMISSIS), persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FLAMINIA 135, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI GIAMMARIA,

rappresentata e difesa dagli avvocati MAURIZIO CIMETTI, GIUSEPPE

PARENTE;

– ricorrente –

contro

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 23,

presso lo studio dell’avvocato CINZIA DE MICHELI, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato LUIGIA DI GIOVINE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1171/2017 del TRIBUNALE di TORINO, depositata

il 02/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/01/2020 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con ricorso notificato a partire dal 07/12/2017 l’Agenzia delle Entrate – Riscossione chiede, affidandosi a due motivi, la cassazione della sentenza n. 1171 del 02/03/2017 del Tribunale di Torino, l’appello avverso la quale è stato dichiarato inammissibile con ordinanza indicata come resa il 27/09/2017 e comunicata a mezzo p.e.c. il 09/10/2017, di accoglimento dell’opposizione di A.A., proposta con ricorso iscritto a ruolo il 13/06/2016, all’ipoteca ai suoi danni iscritta in forza di sette cartelle esattoriali, per rilevata maturazione della prescrizione quinquennale dei crediti azionati;

resiste con controricorso l’ A.;

per l’adunanza camerale del 09/01/2020, mentre il Pubblico Ministero non produce requisitoria scritta, il controricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., del penultimo periodo come inserito dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. f), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

la ricorrente articola due motivi di censura, col primo dei quale deduce “violazione dell’art. 2946 c.c. on relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)”: in particolare, ritenendo la gravata sentenza viziata per non avere applicato il termine di prescrizione ordinario decennale ex art. 2946 c.c., trattandosi di crediti iscritti a ruolo ed oggetto di cartelle di pagamento non impugnate dalla parte debitrice;

l’Agenzia erariale, premesso di ben conoscere la pronuncia di Cass. Sez. U. n. 23397/16, invoca comunque la prescrizione ordinaria decennale in base ad ordini di argomentazioni prospettati come ulteriori e diversi: benchè vada esclusa l’actio iudicati in ragione della letterale formulazione dell’art. 2953 c.c., la natura di titolo esecutivo del ruolo esattoriale comporterebbe, al momento della formazione del primo e col suo conseguente richiamo nella cartella, una novazione oggettiva e soggettiva delle singole obbligazioni in origine dovute a separate ragioni di credito in un nuovo ed unitario credito, per il quale sarebbe operativo un unitario termine prescrizionale allora da riportare alla generale previsione della sua durata decennale, conseguenza dell’irretrattabilità della ragione creditoria dovuta all’inerzia del debitore nell’impugnarla;

l’Agenzia delle Entrate – Riscossione argomenta poi ampiamente in base al D.Lgs. n. 112 del 1999, artt. 19 e 20 – qualificate come norme riferibili a tutte le esazioni e non solo a quelle dei crediti non tributari – per il caso di scoperta di sopravvenienze utilmente aggredibili in capo al debitore entro il termine prescrizionale decennale; ed invoca come rispondente ad un criterio di efficacia, economicità e ragionevolezza l’uniformazione dei termini prescrizionali in dipendenza del carattere cumulativo ed unitario della riscossione nei confronti del debitore per tutti i carichi iscritti a ruolo e dell’irrazionalità della pretesa dall’agente di riscossione di frazionare la azione avendo riguardo al regime di prescrizione dei singoli crediti: sicchè, divenuta irretrattabile la pretesa con la notifica della cartella di pagamento e la mancata reazione a quest’ultima, il termine di prescrizione sarebbe unico, riferibile al diritto alla riscossione, come unica è l’azione affidata all’agente della riscossione;

la complessa argomentazione non coglie nel segno e non è idonea a scalfire la conclusione, cui è pervenuta – in base a diverso percorso ermeneutico – Cass. Sez. U. 17/11/20:16, n. 23397, dell’identità del termine prescrizionale dei crediti oggetto di riscossione a mezzo ruolo e di quello originario dei singoli crediti;

va, al riguardo, data continuità alla giurisprudenza di legittimità anche sul punto consolidatasi (Cass. ord. 30/10/2019, n. 27876; Cass. ord. 17/04/2019, nn. 10797 e 10799; Cass. ord. 16/04/2019, n. 10595; Cass. 03/04/2019, n. 9293; Cass. 08/03/2019, n. 6888; Cass. 06/12/2018, n. 31658; 04/12/2018, n. 31352), dalla quale non si scorge alcuna valida ragione di discostarsi;

infatti e in primo luogo, va esclusa qualunque novazione: non si individuano tratti di novità nella disciplina del credito iscritto a ruolo tali da far ritenere l’estinzione del credito originario e la costituzione di un nuovo credito avente titolo nel ruolo, poichè il legislatore individua i crediti per cui si procede come “credito” iscritto a ruolo a meri fini descrittivi, che non attestano alcun effetto giuridico, mentre il preteso effetto di novazione ex lege non rinviene alcun riscontro in una diretta – o, comunque, inequivoca disposizione normativa;

e tanto meno potrebbe farsi discendere un effetto di novazione dell’obbligazione originaria dai principi di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, perchè tali principi si prestano, all’opposto, a sorreggere la ratio acceleratoria specificamente sottesa alla fissazione originaria del termine breve di prescrizione;

in secondo luogo, neppure rilevano gli argomenti fondati sul D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, comma 6 nella parte in cui prevede il riaffidamento della riscossione del credito “a condizione che non sia decorso il termine di prescrizione decennale” o su altre norme relative alla riscossione e di analogo tenore: infatti, anche a voler ammettere non solo l’applicabilità della procedura di discarico alla riscossione dei crediti non fiscali ma pure la sua rilevanza esterna ai rapporti tra ente impositore ed agente della riscossione, resterebbe preclusivo il rilievo (cfr. Cass. Sez. U. 23397/16, in motivazione, punti 19.6 e 19.7) che la norma fa riferimento sì al termine di prescrizione decennale, ma con espressione ellittica, unicamente poichè trattasi del termine che si applica ordinariamente per la riscossione delle imposte, senza alcuna possibile relazione con l’art. 2935 c.c. e, a maggior ragione, senza alcun effetto innovativo o novativo derivante dall’iscrizione a ruolo dei crediti;

il primo motivo è, pertanto, infondato;

col secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate – Riscossione lamenta “violazione da parte del Tribunale di Torino delle norme di cui all’art. 91 c.p.c. – art. 92 c.p.c., comma 2 in tema di ripartizione delle spese di lite in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”: sul punto rilevando come lo stesso tribunale avesse dato atto di un contrasto giurisprudenziale e la giurisprudenza precedente dovesse ritenersi in prevalenza nel senso della durata decennale e non quinquennale del termine prescrizionale, sicchè andava disposta la compensazione delle spese;

il motivo è inammissibile, risultando incensurabile in sede di legittimità la mancata compensazione da parte del giudice del merito (per tutte: Cass. Sez. U, 15/07/2005, n. 14989; e pure in caso di contrasto giurisprudenziale, circostanza che, anzi, di per sè non giustificherebbe la compensazione stessa: Cass. 27/01/2016, n. 1521), in disparte la considerazione che la stessa pronuncia delle Sezioni Unite presupposta dalla ricorrente esclude esservi stato, in concreto, un vero e proprio contrasto e, meno che mad, la preponderanza dell’opzione ermeneutica per la durata quinquennale del termine prescrizionale (Cass. Sez. U. 23397/16, cit., paragrafi da 8 a 17);

il ricorso va pertanto – infondato il primo motivo ed inammissibile il secondo – rigettato, con condanna della ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità;

infine, poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

PQM

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2020

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