Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8126 del 22/03/2019

Cassazione civile sez. trib., 22/03/2019, (ud. 03/10/2018, dep. 22/03/2019), n.8126

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI Maria Giulia – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 3769/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, (C.F. (OMISSIS)), in persona del direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello

Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma via

dei Portoghesi 12.

– ricorrente –

contro

G.A., (C.F. (OMISSIS)), rappresentato e difeso dall’avv.

Michele Gelsomino, elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’avv. Angela Mensitiere, in Roma viale Parioli 76.

– controricorrente –

e contro

Equitalia Polis s.p.a., (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, (OMISSIS) s.r.l. (C.F. (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore.

– intimati –

Avverso la sentenza n. 50/46/2011 della Commissione Tributaria

Regionale della Campania, depositata il 25 gennaio 2011.

Sentita la relazione svolta all’udienza del 3 ottobre 2018 dal

Consigliere Giuseppe Fichera.

Udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Sorrentino

Federico, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

G.A., in proprio e quale amministratore di fatto della (OMISSIS) s.r.l. – già dichiarata fallita -, impugnò la cartella di pagamento emessa da Equitalia Polis s.p.a., per IVA, anno 1991, dovuta dalla detta società.

In primo grado l’impugnazione fu respinta sul presupposto che il ricorrente fosse carente di interesse al ricorso, poichè l’efficacia della sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, la quale aveva accertato il suo ruolo di amministratore di fatto della fallita, risultava sospesa dalla Corte d’appello di Napoli, innanzi alla quale pendeva ancora il relativo giudizio di secondo grado.

G.A., sempre in proprio e quale amministratore di fatto della (OMISSIS) s.r.l., propose allora appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, che con sentenza depositata il 29 novembre 2010 accolse integralmente il gravame, compensando le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Avverso la detta sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste con controricorso G.A., mentre non hanno spiegato difese la Equitalia Polis s.p.a. e (OMISSIS) s.r.l..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, deve respingersi l’eccezione formulata dal controricorrente di tardività dell’odierno ricorso, in quanto l’art. 327 c.p.c., nel testo come novellato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, – che prevede la riduzione a sei mesi del c.d. termine lungo per impugnare -, trova applicazione soltanto per i giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore della detta riforma (per espressa previsione della detta L. n. 69 del 2009, art. 58); dunque per il presente giudizio, avviato con ricorso notificato dal contribuente il giorno 11.12.2008, trova ancora applicazione l’originario termine di un anno, ordinariamente soggetto peraltro alla sospensione feriale – all’epoca dei fatti – di quarantasei giorni.

Nè può sostenersi che anche il c.d. termine lungo di un anno sarebbe decorso al momento della consegna del plico contenente il ricorso all’agente postale (16.1.2012), considerato che, a partire dalla pubblicazione della sentenza qui impugnata (29.11.2010) e tenendo conto della ridetta sospensione feriale (46 giorni), il termine ultimo per la proposizione del ricorso scadeva il 14.1.2012, giornata che, essendo pacificamente di sabato, ai sensi dell’art. 155 c.p.c., comma 5, – come novellato dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263-, ha determinato la proroga della scadenza al successivo di non festivo, id est al 16.1.2012.

2. Con il primo motivo lamenta la ricorrente violazione dell’art. 112 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, poichè la commissione tributaria regionale ha accolto l’appello semplicemente accertando la legittimazione attiva dell’appellante, nonostante l’appellante non avesse ribadito in appello le censure avverso l’atto impugnato formulate in primo grado.

2.1. Il motivo non ha fondamento.

Com’è noto, secondo le regole generali nel giudizio ordinario l’appellante che impugni la sentenza con la quale il giudice di primo grado non si sia espressamente pronunciato su una domanda dallo stesso formulata, avendola ritenuta assorbita dalla decisione su una questione pregiudiziale di rito, non ha l’onere di formulare uno specifico motivo di gravame sul merito della domanda medesima, ma soltanto quello di riproporla nel rispetto dell’art. 346 c.p.c., (Cass. 31/05/2018, n. 13768; Cass. 19/07/2017 n. 17749; Cass. 08/11/2005, n. 21641).

Parimenti, deve ritenersi ne processo tributario che ove il giudice di primo abbia respinto il ricorso, per una questione pregiudiziale, quale l’accertata carenza di una delle condizioni dell’azione (l’interesse al ricorso ex art. 100 c.p.c.), senza soffermarsi sui singoli motivi di impugnazione, è sufficiente riproporre i detti motivi in sede di appello senza ulteriori censure alla pronuncia impugnata.

Ora, risulta dagli atti che nell’appello proposto dal contribuente, oltre ad affermare la propria legittimazione attiva, ha chiesto che la commissione tributaria regionale “voglia ritenere meritevole di accoglimento quanto richiesto con il ricorso proposto innanzi alla CTP in data 11.12.2008”; dunque è all’evidenza come nell’atto di appello siano stati riproposti i medesimi motivi di impugnazione già formulati in primo grado, senza manifestare alcuna rinuncia agli stessi.

3. Con il secondo motivo eccepisce l’Agenzia delle Entrate la violazione dell’art. 100 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., nonchè vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avendo il giudice di merito affermato “l’interesse ad agire” del G., nonostante la sua qualità di amministratore di fatto della fallita fosse stata accertata da una sentenza del tribunale la cui efficacia era stata sospesa dalla corte d’appello, che l’aveva poi integralmente riformata, respingendo ogni pretesa del fallimento nei confronti del predetto.

3.1. Il motivo è fondato, per le ragioni di cui si dirà.

Com’è noto, l’interesse ad agire – quale condizione dell’azione ex art. 100 c.p.c. – richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, poichè il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per la parte, senza che sia precisato il risultato utile e concreto che essa intenda in tal modo conseguire (Cass. 04/05/2012, n. 6749; Cass. 27/01/2011, n. 2051; Cass. 28/06/2010, n. 15355; Cass. 28/11/2008, n. 28405).

Nella vicenda che ci occupa il ricorrente G. ha impugnato gli atti impositivi alla società poi dichiarata fallita, assumendo di esserne stato amministratore “di fatto” e, in tale veste, quindi, da un lato, di essere processualmente legittimato ad agire in nome e per conto della medesima società e, dall’altro, di avere un interesse personale concreto ed attuale a proporre il medesimo ricorso.

Ora, occorre chiarire che in tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche ex art. 75 c.p.c., comma 3, di norma la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore non ha l’onere di dimostrare tale sua qualità, neppure nel caso in cui l’ente si sia costituito in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante e l’organo che ha conferito il potere di rappresentanza processuale derivi tale potestà dall’atto costitutivo o dallo statuto, poichè i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale e, quindi, spetta a loro fornire la prova negativa. Solo nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a chi agisce l’onere di riscontrare l’esistenza di tale potere (Cass. s.u. 01/10/2007, n. 20596; vedi, anche più di recente, Cass. 30/09/2014, n. 20563).

Dunque, nel caso in cui colui che agisce assuma di essere legale rappresentante di una società di capitali, non in quanto investito da una nomina formale di fonte statutaria o assembleare, bensì quale suo amministratore di fatto, con poteri gestori analoghi all’amministratore di diritto, non v’è chi non veda come sia onere del medesimo dimostrare – ai fini dell’accertamento della sua capacità processuale – siffatto ruolo gestorio all’interno dell’ente collettivo, non potendo di certo invocare nè norme statutarie e neppure, com’è ovvio, le risultanze del registro delle imprese.

Orbene, nel caso che ci occupa, l’originario ricorrente, per dimostrare la sua legittimazione processuale quale legale rappresentante della fallita e, altresì, il suo interesse personale al ricorso – quale amministratore e, dunque, in thesi nella condizione di potere essere chiamato a rispondere per le obbligazioni tributarie rimaste inadempiute D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ex art. 36 -, ha semplicemente allegato l’esistenza di una sentenza resa in prime cure dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, la quale, nel condannarlo al risarcimento del danno in favore della curatela del fallimento della (OMISSIS) s.r.l., ne avrebbe necessariamente accertato, incidentalmente, la sua condizione di amministratore di fatto di quest’ultima; tale sentenza, tuttavia, per come è incontroverso in lite, venne poi integralmente riformata dalla Corte d’appello di Napoli, che respinse ogni domanda di condanna nei confronti del G. proposta su iniziative degli organi della procedura concorsuale.

3.2. Ha errato, allora, la commissione tributaria regionale nel ritenere che la capacità processuale del G. a rappresentare la società fallita e, contestualmente, il suo interesse personale al ricorso, potessero trarsi semplicemente sulla base dell’esistenza di una sentenza (che aveva, sia pure incidentalmente, accertato il suo status di amministratore di fatto), resa in primo grado e tuttavia in seguito oggetto di integrale riforma in appello.

E invero, poichè, per un verso, l’interesse al ricorso ex art. 100 c.p.c., deve rivestire carattere di attualità al momento della decisione e quindi sussistere per tutta la durata del processo e, per altro verso, la capacità a rappresentare una società – che pure deve esistere solo al momento del rilascio della procura alle liti -, quando non si possa presumere attraverso le risultanze del registro delle imprese, deve comunque risultare da un accertamento dotato dei caratteri di stabilità, è necessario un nuovo esame del caso per verificare se, effettivamente, a prescindere dalla sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere riformata, l’originario ricorrente G.A. fosse munito di poteri gestori nell’ambito della (OMISSIS) s.r.l. prima dell’apertura della procedura concorsuale.

4. In definitiva, respinto il primo motivo del ricorso e accolto il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, per un nuovo esame e per statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2019

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