Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8125 del 02/04/2010

Cassazione civile sez. I, 02/04/2010, (ud. 05/11/2009, dep. 02/04/2010), n.8125

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.B. (c.f. (OMISSIS)), G.T. (c.f.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

RONCIGLIONE 3, presso l’avvocato GULLOTTA FABIO, che li rappresenta e

difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21, presso l’AVVOCATURA

COMUNALE DI ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato MARZOLO

RICCARDO, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 340/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/01/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

05/11/2009 dal Consigliere Dott. DI PALMA Salvatore;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato F. GULLOTTA che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria che ha concluso per il rigetto del 7

motivo, accoglimento del 5 e 6 motivo con assorbimento del 1^, 2^ –

3^ – 4^ motivo.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con citazione del 15 maggio 1998, B. e G.T. convennero il Comune di Roma dinanzi al Tribunale di Roma e – premesso che il Comune, in data 29 ottobre 1990, aveva occupato alcune aree di loro proprieta’ ai fini dell’attuazione del piano di zona (OMISSIS), e che, alla scadenza del periodo di occupazione legittima, avvenuta in data (OMISSIS), dette aree risultavano irreversibilmente trasformate per la realizzazione della predetta opera pubblica, senza che fosse stato emanato il decreto di espropriazione chiesero la condanna del convenuto al risarcimento dei danni, ai sensi del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, comma 1 bis, (comma aggiunto dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 65), convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359.

In contraddittorio con il Comune di Roma – il quale, costituitosi, chiese tra l’altro la reiezione della domanda -, il Tribunale adito, disposta ed espletata consulenza tecnica d’ufficio, con la sentenza n. 42282/02 dell’8 novembre 2002, condanno’ il Comune convenuto al risarcimento del danno richiesto nella misura di Euro 1.194.000,00, per la perdita della proprieta’ delle aree, e dichiaro’ inammissibile la domanda di indennita’ per l’occupazione legittima, in quanto proposta dagli attori soltanto in sede della precisazione delle conclusioni, osservando peraltro che, in ogni caso, competente a conoscere tale domanda in unico grado era la corte d’appello.

2. – Avverso tale sentenza B. e G.T., con citazione del 19 maggio 2003, proposero appello dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, censurando la decisione impugnata, perche’ il Tribunale:

a) aveva erroneamente escluso il diritto al risarcimento completo, in contrasto con le pronunce della Corte E.D.U.;

b) aveva determinato il risarcimento senza tener conto ne’ delle osservazioni del consulente tecnico di parte, ne’ della perdita di valore delle parti relitte dell’area irreversibilmente trasformata;

c) aveva erroneamente dichiarato inammissibile la domanda di indennita’ per il periodo di occupazione legittima;

d) aveva erroneamente respinto la domanda di anatocismo.

Con distinta citazione notificata al Comune di Roma nella medesima data del 19 maggio 2003, gli attori chiesero altresi’ la condanna del convenuto al pagamento dell’indennita’ per il periodo di occupazione legittima.

In contraddittorio con il Comune di Roma – il quale, costituitosi in entrambi i giudizi, chiese la reiezione sia dell’appello, sia della domanda indennitaria -, la Corte adita, riunite le impugnazioni, con la sentenza n. 340/06 del 23 gennaio 2006, tra l’altro, rigetto’ sia l’appello, sia la domanda di indennita’ per l’occupazione legittima.

In particolare, la Corte:

A) ha ritenuto non in contrasto con la evocata C.E.D.U. la liquidazione del danno operata ai sensi del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, comma 1 bis, richiamando testualmente al riguardo la motivazione della sentenza della Corte di cassazione n. 1196 del 2004 e precisando che l’orientamento ivi espresso e’ stato piu’ volte ribadito con successive sentenze del Giudice di legittimita’;

B) ha ritenuto infondato il motivo d’appello avente ad oggetto l’omessa considerazione, da parte dei Giudici di primo grado, delle osservazione del consulente tecnico di parte -, sia perche’ assolutamente generico, sia perche’, contrariamente a quanto ritenuto da tale consulente, il valore delle porzioni delle aree relitte non poteva considerarsi nullo, avuto riguardo alla loro estensione (mq.

2073,75) ed al fatto che il danno relativo non e’ equiparabile a quello derivante dalla perdita della proprieta’, sia perche’ la dedotta erroneita’ delle fonti consultate dal consulente tecnico d’ufficio doveva considerarsi generica ed apodittica;

C) ha ritenuto infondato il motivo d’appello avente ad oggetto la dichiarata inammissibilita’ della domanda di indennita’ per l’occupazione legittima -, sia perche’ tale domanda, come formulata nel giudizio di primo grado (“… pagamento della somma che risultera’ dovuta all’esito della CTU sul valore venale dei terreni”), non poteva considerarsi comprensiva della richiesta di pagamento di detta indennita’, sia perche’, nello stesso atto di citazione introduttivo del giudizio “si dava atto che l’indennita’ di occupazione era gia’ stata corrisposta”;

D) ha ritenuto infondato il motivo d’appello concernente la domanda di anatocismo, perche’ l’applicazione di tale istituto non e’ estensibile ai debiti di valore, quale quello di specie;

E) infine, ha respinto la domanda di indennita’ per l’occupazione legittima, perche’ gli attori avevano gia’ percepito tale indennita’, come essi stessi avevano dichiarato nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, osservando inoltre: “Ne’ valore alcuno puo’ avere la riserva contenuta nell’atto di quietanza, sia perche’ riferita al perfezionamento della cessione del bene (e quindi alla cessione del diritto dominicale che non incide sull’entita’ dell’indennizzo), sia perche’ con l’intervenuta accettazione era gia’ definitivamente stabilito il dovuto per tale titolo, sul quale …

non incide la conclusione (con decreto di esproprio, con acquisizione per accessione invertita o, del tutto, con retrocessione di tutta l’area occupata) della vicenda ablatoria e non necessitando tale accettazione di alcun ulteriore atto formale”.

3. – Avverso tale sentenza B. e G.T. hanno proposto ricorso per Cassazione, deducendo sei motivi di censura, illustrati con memoria.

Resiste, con controricorso, il Comune di Roma.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (con cui deducono: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1 del Protocolli 1 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali”), i ricorrenti criticano la sentenza impugnata, sostenendo che, in contrasto sia con l’art. 1 del menzionato Protocollo sia con la giurisprudenza della CEDU, i Giudici a quibus non hanno riconosciuto l’integrale risarcimento del danno.

1.1. – Il motivo e’ fondato.

Nella specie, il risarcimento del danno da occupazione acquisitiva e’ stato pacificamente liquidato ai sensi del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, comma 1 bis, (comma aggiunto dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 65), convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359.

E’ noto che – a seguito della dichiarazione di illegittimita’ costituzionale, da parte della Corte costituzionale con la sentenza n. 349 del 2007, di detto D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 1 bis in quanto non prevede “un ristoro integrale del danno subito per effetto dell’occupazione acquisitiva da parte della pubblica amministrazione, corrispondente al valore di mercato del bene occupato” (n. 8 del Considerato in diritto) – la liquidazione del danno va fatta, anche nei giudizi pendenti, sulla base appunto del valore di mercato del bene occupato (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 591 del 2008).

1.2. – Con la memoria, i ricorrenti sollevano una duplice eccezione di illegittimita’ costituzionale:

a) la prima investe la L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89 nonche’ il D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, commi 1 e 2, e art. 55 per assunta violazione degli artt. 2, 3, 10, 11, 24, 28, 42, 97 e 113 Cost., in quanto, nel caso di cessione volontaria del bene, mentre al cittadino assoggettato alla procedura espropriativa legittima viene riconosciuta una maggiorazione dell’indennita’ di espropriazione del dieci per cento, il cittadino che subisce l’occupazione acquisitiva, al quale e’ quindi preclusa la cessione volontaria, non puo’ beneficiare di detto “premio”;

b) la seconda investe la stessa L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89, e la L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11 per assunta violazione dei medesimi parametri costituzionali evocati con la prima eccezione, in quanto il principio indennitaria – risarcitorio introdotto dal menzionato art. 2, comma 89, non prevede che la liquidazione dell’indennita’ e dell’indennizzo debbano ritenersi al netto delle ritenute fiscali.

Ambedue le eccezioni di incostituzionalita’ sono manifestamente irrilevanti, perche’ questa Corte non deve fare applicazione di alcuna delle norme censurate – ne’ tantomeno della norma impositiva di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11 -, dovendo invece applicare esclusivamente, in riferimento al primo motivo del ricorso, la disciplina normativa risultante a seguito della predetta sentenza di incostituzionalita’ e, in particolare, la ratio decidendi della stessa sentenza, dianzi testualmente specificata (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 3189 del 2008); cio’, a prescindere dalla considerazione – quanto alla prima eccezione di illegittimita’ costituzionale – che il valore venale dell’area illecitamente acquisita dalla pubblica amministrazione costituisce comunque la misura massima del risarcimento spettante al proprietario.

1.3. – All’accoglimento del primo motivo consegue l’assorbimento del secondo e del terzo motivo, che attengono alla critica della sentenza impugnata, nella parte in cui ha stimato – secondo il criterio dichiarato costituzionalmente illegittimo – il valore sia dell’area effettivamente occupata sia delle aree relitte.

2. – Con il quarto (con cui deducono: “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla richiesta di indennizzo per il periodo di godimento intercorso tra l’inizio del l’occupazione e lo scadere del termine per l’emissione del decreto di esproprio”) e con il quinto motivo (con cui deducono: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1362 c.c., e all’art. 1363 c.c. e segg. in relazione alla quietanza del 20/02/1998 – Indennizzo per il periodo di godimento intercorso tra l’inizio dell’occupazione e lo scadere del termine per l’emissione del decreto di esproprio”) – i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro connessione -, i ricorrenti criticano la sentenza impugnata, anche sotto il profilo della sua motivazione (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lett. C ed E), sia ribadendo che la domanda di cui all’atto introduttivo del giudizio di primo grado doveva interpretarsi come comprensiva anche della indennita’ per l’occupazione legittima, sia sostenendo che la stessa domanda sarebbe stata respinta dai Giudici a quibus in base ad una erronea interpretazione dell’atto di quietanza e senza tener conto del contenuto della nota inviata dagli stessi ricorrenti al Comune di Roma in data 19 maggio 1997, con la quale si faceva riserva di “ogni azione in ordine ai danni derivanti dal protrarsi dell’occupazione e della perdita del diritto di proprieta’ per intervenuta realizzazione dell’opera pubblica, se per quella data non si sara’ perfezionata la cessione volontaria dei suddetti terreni”.

2.1. – Il quarto motivo e’ inammissibile, mentre il quinto e’ infondato.

2.1.1. – Il quarto motivo e’ inammissibile, perche’, a prescindere da ogni altra pur possibile considerazione, la Corte romana ha deciso – nel merito, come doveva (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 25013 del 2006) – sulla domanda di indennita’ per l’occupazione legittima, con la conseguenza che i ricorrenti non hanno (piu’) alcun interesse ad una decisione circa la questione dell’ammissibilita’ della stessa domanda nel giudizio di primo grado.

2.1.2. – Il quinto motivo e’ infondato, sia perche’ la censura di erronea interpretazione del contenuto della “riserva”, di cui all’atto di quietanza dell’indennita’ per l’occupazione legittima ed alla nota dei ricorrenti al Comune di Roma in data 19 maggio 1997, e’ manifestamente inappropriata in riferimento al criterio ermeneutico della “comune intenzione delle parti”, trattandosi con ogni evidenza di atti unilaterali dei soli ricorrenti, sia perche’ – come emerge chiaramente dalla motivazione della sentenza impugnata – detta “riserva”, formulata in pendenza del procedimento per la cessione volontaria dell’area e ribadita nella predetta nota, si riferiva chiaramente all’esercizio dell’azione risarcitoria per l’eventuale realizzazione dell’occupazione acquisitiva: in tale nota, infatti, si legge che i ricorrenti “… si riservano ogni azione in ordine ai danni derivanti dal protrarsi dell’occupazione e dalla perdita del diritto di proprieta’ per intervenuta realizzazione dell’opera pubblica, se per quella data non si sara’ perfezionata la cessione volontaria dei suddetti terreni”.

3. – Con il sesto motivo (con cui deducono: “Falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1283 c.c. – Mancato accoglimento della richiesta di condanna alla liquidazione degli interessi anatocistici”) – formulato come “motivo di ricorso condizionato” -, i ricorrenti criticano la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lett. D) anche sotto il profilo della sua motivazione, sostenendo che, nella specie, spetterebbero gli interessi anatocistici “sulle somme che saranno riconosciute a titolo di indennizzo per il godimento delle aree da parte del Comune di Roma dal giorno dell’occupazione al giorno di scadenza del termine per l’emissione del decreto di esproprio, siccome pacificamente debito di valuta”.

3.1. – Il motivo e’ infondato, perche’ alla reiezione della censura formulata con il quinto motivo – in tema di spettanza dell’indennita’ per il periodo di occupazione legittima – consegue necessariamente la reiezione anche del motivo in esame, come testualmente formulato.

4. – La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata in riferimento al motivo accolto e la relativa causa deve essere rinviata alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, la quale provvedere anche a pronunciare sulle spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti il secondo ed il terzo; dichiara inammissibile il quarto motivo e respinge gli altri.

Cassa la sentenza impugnata in riferimento al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 3 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2010

 

 

 

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