Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8124 del 08/04/2011

Cassazione civile sez. I, 08/04/2011, (ud. 02/03/2011, dep. 08/04/2011), n.8124

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 2482/2010 proposto da:

A.A. ((OMISSIS)), + ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO 18, presso lo

studio dell’avvocato FRISANI L. Pietro, che li rappresenta e difende

giuste procure speciali in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro in

carica pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende, ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. 952/2009 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositato il 30/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/03/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

è presente il P.G. in persona de Dott. PIERFELICE PRATIS.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p. 1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore: “1.- Con decreto depositato il 30.6.2009 la Corte di appello di Firenze ha rigettato – a causa della mancata presentazione di istanza di prelievo (depositata solo sei mesi circa prima della sentenza) e ritenendo applicabile la disciplina introdotta dal D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 – le domande di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, in relazione alla durata irragionevole di un processo amministrativo svoltosi dinanzi al TAR Lazio dal 2000 al 2007 – proposte nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze da A.V., + ALTRI OMESSI .

Ha osservato la Corte di appello che con il D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito con L. 6 agosto 2008, n. 133 – secondo cui la domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, non è stata presentata un’istanza ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51, comma 2 – il Legislatore ha inteso escludere la proponibilità della domanda di equa riparazione in difetto di presentazione della istanza di prelievo, unicamente in quanto questa è stata assunta quale indice dell’interesse e dell’urgenza della parte ad una decisione e quindi di una situazione soggettiva in relazione alla quale è configurabile il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo. E’ rimesso alla discrezionalità del legislatore escludere presunzioni (nella fattispecie la presunzione in forza della quale dalla eccessiva durata del processo si inferisce l’esistenza di un danno) o stabilirle (presunzioni legali). Con il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, appunto, il legislatore avrebbe introdotto una presunzione legale assoluta di inesistenza del danno in difetto di istanza di prelievo e ciò spiegherebbe l’improponibilità al fine di evitare un inutile giudizio. Corollario di ciò sarebbe che il periodo di ragionevole durata non può che essere fatto decorrere dalla presentazione della istanza di prelievo e l’inapplicabilità della presunzione di danno di cui alla sentenza delle Sezioni unite n. 28507 del 2005.

Contro il detto decreto gli attori hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha notificato il controricorso ma ha chiesto di poter partecipare all’udienza.

2.1.- Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione di legge e formulano il seguente quesito: se la Corte territoriale sia incorsa in violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 in relazione all’art. 11 preleggi ed alla L. n. 133 del 2008, art. 54 nel decreto impugnato, ritenendo applicabile retroattivamente l’art. 54 citato al procedimento presupposto promosso innanzi al TAR Lazio nel 2000 e definito con sentenza del 2007, escludendo conseguentemente la sussistenza della violazione dei termine di ragionevole durata in considerazione della presentazione di istanza di prelievo soltanto pochi mesi prima del deposito della sentenza.

2.2.- Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, in relazione all’art. 6, par. 1 CEDU e all’art. 2056 c.c., e formulano il seguente quesito: se la Corte territoriale sia incorsa in violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, in relazione all’art. 6 par. 1 CEDU ed all’art. 2056 c.c., escludendo la sussistenza della violazione del termine di ragionevole durata e conseguentemente il danno morale da ritardo in considerazione della presentazione di istanza di prelievo soltanto pochi mesi prima del deposito della sentenza del procedimento presupposto, precisando altresì se detta decisione contrasti con l’interpretazione ormai consolidata secondo cui il danno non patrimoniale rappresenta conseguenza normale dell’irragionevole durata del processo.

3. – Il ricorso appare manifestamente fondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale (Sez. 1^, n. 25421 del 2008; Sez. 1^, n. 3500 del 2009), la disciplina introdotta dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito nella L. 6 agosto 2008, n. 133, in virtù del quale la domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, non è stata presentata un’istanza ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51, comma 2, è inapplicabile ratione temporis ai giudizi di equa riparazione relativi a processi presupposti introdotti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008.

In difetto di una disciplina transitoria e di esplicite previsioni contrarie, va infatti data continuità all’orientamento di questa Corte, secondo il quale il principio dell’immediata applicabilità della legge processuale concerne soltanto gli atti processuali successivi all’entrata in vigore della legge stessa, come ha affermato anche la Corte costituzionale (sentenza n. 155 del 1990), quindi non incide su quelli anteriormente compiuti, i cui effetti, in virtù del principio tempus regit actum, restano regolati dalla legge sotto il cui imperio sono stati posti in essere (Cass. n. 6099 del 2000).

Tanto vuoi dire che, in applicazione delle regole stabilite dall’art. 11 preleggi, comma 1, e dall’art. 15 preleggi, concernenti la successione delle leggi (anche processuali) nel tempo, quando il giudice procede ad un esame retrospettivo delle attività svolte, ne stabilisce la validità applicando la legge che vigeva al tempo in cui l’atto è stato compiuto (con riferimento alle condizioni di proponibilità della domanda, tra le molte, Cass. n. 9467 del 1987;

n. 4676 del 1985), essendo la retroattività della legge processuale un effetto che può essere previsto dal legislatore con norme transitorie, ma che non può essere liberamente ritenuto dall’interprete. Una indebita applicazione retroattiva della legge processuale si ha dunque quando si pretenda sia di applicare la legge sopravvenuta ad atti posti in essere anteriormente all’entrata in vigore della legge nuova, sia di associare a quegli atti effetti che non avevano in base alla legge del tempo in cui sono stati posti in essere (Cass. n. 20414 del 2006).

Una diversa interpretazione sarebbe indubbiamente in contrasto con la giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo, la quale ha già rilevato che l’esistenza di un onere di presentare l’istanza di prelievo potrebbe essere accettabile in diritto nazionale soltanto a partire dal 25 giugno 2008, data di entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008, ed esclusivamente allo scopo di lamentarsi, di una fase ulteriore e con il mezzo di un ricorso Pinto, della durata irragionevole della procedura. Di conseguenza, una pratica d’interpretazione ed applicazione dell’art. 54, comma 2, del suddetto decreto legge che avesse per effetto di rendere improponibili i ricorsi Pinto relativi alla durata di un processo amministrativo concluso entro il 25 giugno 2008, in ragione esclusivamente della mancanza di una richiesta di fissazione di udienza, potrebbe essere tale da esentare i ricorrenti interessati dal dovere di depositare il ricorso Pinto (Cour europeenne des droits de l’homme (deuxieme section), 2 giugno 2009, Daddi c. Italia).

Sussistono, pertanto, i presupposti per trattare il ricorso in Camera di consiglio”.

p. 2.- Il Collegio condivide e fa proprie le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono all’accoglimento dei ricorsi.

Pertanto, il decreto impugnato deve essere cassato e, in applicazione del principio di cui all’art. 111 Cost., la Corte può decidere la causa nel merito alla luce dei criteri di ragionevole durata stabiliti dalla Corte europea (anni tre per un grado di giudizio: v.

per tutte Sez. 1^, n. 18221/2009), con la conseguenza che per il ritardo pari a circa quattro anni deve essere liquidata a ciascun ricorrente, a titolo di danno non patrimoniale, la somma di Euro 3.250,00, oltre interessi dalla domanda.

Le spese processuali – liquidate in dispositivo – vanno poste a carico dell’Amministrazione soccombente.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li accoglie nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere a ciascuna parte ricorrente la somma di Euro 3.250,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio:

che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 4.434,00 per diritti e Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario; e per il giudizio di legittimità in Euro 965,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2011

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