Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8123 del 22/04/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 8123 Anno 2016
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: CIRILLO ETTORE

SENTENZA

sul ricorso 10665-2010 proposto da:
GIVI HOLDING SPA in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
GERMANICO 146, presso lo studio dell’avvocato ERNESTO
MOCCI, rappresentato e difeso dall’avvocato EUGENIO
BRIGUGLIO giusta delega a margine;
– ricorrente –

2016
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contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE, AGENZIA

DELLE ENTRATE UFFICIO DI MILANO l;
– intimati –

avverso la sentenza n. 96/2009 della COMM.TRIB.REG.

Data pubblicazione: 22/04/2016

di MILANO, depositata il 15/10/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/01/2016 dal Consigliere Dott. ETTORE
CIRILLO;
udito per il ricorrente l’Avvocato BRIGUGLIO che ha
chiesto l’accoglimento;

Generale Dott. LUIGI CUOMO che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

RITENUTO IN FATTO
Il presente giudizio di legittimità fa parte di un vasto contenzioso fiscale
riguardante riprese a imposizione diretta e sul valore aggiunto nei confronti della holding GIVI del Gruppo Versace per gli anni d’imposta 1999,
2000, 2001 e 2002. Le varie vertenze, pur presentando in comune gran
parte dei profili controversi, sono diversamente declinate in ragione dei
differenti esiti dei separati giudizi di merito.

2009 la C.t.r. della Lombardia, per l’anno d’imposta 2000, confermava la
sentenza di primo grado laddove qualificava come spese di rappresentanza i costi sostenuti per la cessione gratuita di abiti griffati a persone
note al grande pubblico e quelli per l’acquisto di capi griffati per personale
avente contatti col pubblico; riteneva la non inerenza dei costi per la fornitura di capi griffati ai dipendenti degli uffici amministrativi; considerava
suscettibili di ammortamento fiscale gli acquisti di quadri e arredi artistici.
Riguardo alle sanzioni osservava che non operava l’esimente dell’incertezza normativa, stante la chiarezza delle disposizioni di riferimento.
La contribuente propone ricorso per cassazione, affidato a tredici motivi,
e deposita memoria illustrativa. Il fisco non si difende.

CONSIDERATO IN DIRITTO
A. Eccezioni di giudicato esterno.
Preliminarmente, con memoria e produzione integrativa, la contribuente
eccepisce, il giudicato favorevole che si sarebbe formato rispetto alla decisione della C.t.r.-Lombardia sull’anno d’imposta 2001. Più in dettaglio
con le ultime difese precisa che, per effetto della definitività della decisione delle C.t.r. sull’anno d’imposta 2001, si sarebbe formato giudicato
esterno favorevole alla contribuente (a) sui costi annotati nel conto
«spese promozionali di gruppo» e «spese promozionali di terzi», erroneamente ritenute dal fisco parzialmente deducibili perché di mera rappresentanza; (b) sui costi annotati nel conto «divise dipendenti -gruppo» e
«altre divise gruppo», erroneamente ritenute dal fisco per una parte limitatamente deducibili perché di mera rappresentanza e per un’altra parte
indeducibili perché non inerenti.
I rilievi sono infondati perché la sentenza del giudice tributario con la
quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato con riferimento
alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi solo per
quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che,

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i—

Per quanto qui strettamente rileva, con sentenza n. 96-34 del 15 ottobre

estendendosi per loro natura ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente (Cass. 6953/2015) perché rigorosamente correlati ad un interesse protetto che riveste il carattere della durevolezza (Cass. 11226/2007 e 15582/2010), mentre non
può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo
ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto anche solo potenzialmente mutevoli (Cass. 20029/2011). Giova rilevare che, se da

dell’imposizione va calibrato in relazione alle poste attive e passive, specificate di volta in volta, differenti anno per anno: e ciò in quanto, per
ciascun periodo di imposta, gli elementi di fatto che originano l’imposizione si atteggiano normalmente in maniera diversa (Cass., sez. un.,
14294/2007). Nel nostro caso, peraltro, gli invocati giudicati esterni affrontano questione sulla deducibilità di costi e non vi è specifico rilievo,
nè risulta altrimenti evincibile, che l’odierno giudizio abbia riguardo esattamente e soltanto gli stessi beni dei cui costi – e della relativa cieducibilità
– i giudicati medesimi si ocettrano (Cass. 25668/2013). Anzi, dal contenuto delle ultime difese, si evince che gli importi controversi sono diversi
nelle varie annualità, mentre manca qualsivoglia riferimento a specifiche
voci di magazzino e/o d’inventarlo.
In sostanza manca l’elemento indefettibile della medesimezza – ovverosia
di una stessa situazione di fatto, di uno stesso rapporto giuridico (Cass.,
s.u., 26482/2007), di uno stesso titolo negoziale (Cass. 244433/2013),
di uno stesso rapporto di durata (Cass. 27784/2009; conf. 9512/2009) per potere legittimare l’ultrattività del giudicato tributario, dal quale è comunque escluso ogni fattore di mera interpretazione giuridica (Cass.
23723/2013).
Inoltre, riguardo alle riprese in materia di IVA, si osserva che esse sono
soggette a norme comunitarie imperative, la cui applicazione armonizzata non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato
nazionale e dalla eventuale sua proiezione anche oltre il periodo di
imposta che ne costituisce specifico oggetto (C. giust., 19.2009, C-7/0B;
Cass. 16996/2012).
B. Spese per la cessione gratuita di abiti griffati a VIP (motivo
1; art. 74 Tuir)
La contribuente classifica tali costi come spese di pubblicità, deducibili ai
fini delle II.DD. e con IVA detraibile; a tal proposito enfatizza la funzione

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una o più fonti scaturiscono diversi periodi di imposta, il presupposto

di propaganda indiretta (o diretta implicita) derivante dall’utilizzo dell’abbigliamento Versace da parte di persone notissime al grande pubblico. Il
fisco, invece, classifica tali costi come spese di rappresentanza, solo parzialmente deducibili ai fini delle II.DD. con IVA non detraibile. In proposito
valorizza l’assenza di funzione immediatamente promozionale delle vendite e l’utilizzo ai fini dell’accrescimento dell’immagine, del decoro e
dell’importanza del Gruppo Versace. La sentenza d’appello accoglie la tesi

primo motivo.
Questa sezione ha ripetutamente affermato (Cass. 21270/2008,
17602/2008, 9567/2007) che costituiscono spese di rappresentanza
quelle affrontate per iniziative volte ad accrescere il prestigio e
l’immagine dell’impresa ed a potenziarne le possibilità di sviluppo, mentre vanno qualificate come spese pubblicitarie o di propaganda quelle
erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente
anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi
e servizi, o comunque dell’attività svolta. In definitiva, si ritiene che
debbano farsi rientrare nelle spese di rappresentanza quelle effettuate
senza che vi sia una diretta aspettativa di ritorno commerciale, e che
vadano, invece, considerate spese di pubblicità o propaganda quelle altre
sostenute per ottenere un incremento, più o meno immediato, della
vendita di quanto realizzato nei vari cicli produttivi ed in certi contesti,
anche temporali (Cass. 7803/2000). Il criterio discretivo va, dunque,
individuato nella diversità, anche strategica, degli obiettivi che, per
le spese di rappresentanza, può farsi coincidere con la crescita d’immagine ed il maggior prestigio nonché con il potenziamento delle possibilità di sviluppo della società; laddove, per le spese di pubblicità o
propaganda, di regola, consiste in una diretta finalità promozionale e di
incremento commerciale, normalmente, concernente la produzione realizzata in un determinato contesto (Cass. 3433/2012; conf. da ultimo
21977/2015).
Non a caso nella giurisprudenza comunitaria, ai fini dell’IVA, si afferma
che la prestazione pubblicitaria comporta la trasmissione di un messaggio
destinato a informare il pubblico della esistenza e della qualità di un prodotto o del servizio di cui trattasi allo scopo di incrementare le vendite (C.
giust. 17.1993, C-68/92, C-69/92, C-73/92).
Analogamente in dottrina si rileva che le spese di rappresentanza derivano dalla necessità di attuare comportamenti idonei a mantenere alto

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del fisco. La tesi dell’amministrazione è esatta e comporta il rigetto del

sul mercato il nome dell’impresa, con ciò, in sostanza, perseguendosi lo
stesso fine delle spese di pubblicità e propaganda, ma con la differenza
che le spese di rappresentanza non sono finalizzate alla promozione
della commercializzazione di un prodotto, alla conquista di un mercato
o alla diffusione di una specifica immagine commerciale, ma, in buona
sostanza, sono spese per le quali non ci si attende uno specifico ritorno
sul versante economico, ma si riferiscono solo all’immagine – anche in

maggior parte dei casi è – tacito, manifestandosi in comportamenti atti a
porre l’accento su decoro e importanza.
La cessione gratuita a VIP di capi d’abbigliamento griffati, pacificamente
effettuata al di fuori di ogni patto contrattuale e di ogni consequenziale
obbligo giuridico d’indossarli in manifestazioni pubbliche, resta sicuramente estraneo alla fattispecie legale della pubblicità o propaganda di cui
all’art. 74 TUIR mancando l’obiettività di un collegamento immediato con
la promozione di un prodotto o di una produzione e con l’aspettativa diretta di un maggior ricavo. Inoltre, non solo manca ogni dovere – se non
quello morale – d’indossare gli indumenti griffati in situazioni di pubblica
visibilità, ma, a ben vedere, può mancare persino l’immediata percezione
e quindi il diretto riferimento del capo alla griffe per il grande pubblico, se
il tutto non sia accompagnato da ben diverso e ficcante messaggio integrativo. Ciò vale in disparte la gratuità stessa della cessione che per taluna giurisprudenza di legittimità assume connotazione rilevante come
spesa di mera rappresentanza (Cass. 10910/2015 e giur. ivi cit.).
C. Spese per la fornitura di capi griffati ai dipendenti (motivo 8; art. 360 n.5 cod. proc. civ.).
Il fisco ritiene che tali spese non siano deducibili per difetto d’inerenza
riguardo ai capi forniti a dipendenti amministrativi o consegnati a indirizzi
non riferibili alla sede aziendale; e siano invece solo parzialmente deducibili quali spesiicappresentanza riguardai capi forniti ai dipendenti degli
showroom; di contro la contribuente ne sostiene la deducibilità in generale
quali spese per prestazioni di lavoro ai sensi del l’ari. 62 (ora 95) TUIR. La
C.t.r. accoglie la tesi del fisco. Invece è la tesi della contribuente ad essere
fondata.
L’art. 62 (ora 95) TUIR stabilisce che le spese per prestazioni di lavoro
dipendente deducibili nella determinazione del reddito comprendono anche quelle sostenute in denaro o in natura a titolo di liberalità a favore
dei lavoratori. L’art. 162 del CCNL, richiamato nelle difese, stabilisce che
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forma sfumata – dell’impresa, riferimento che può essere – come nella

«quando viene fatto obbligo al personale di indossare speciali divise la
spesa relativa è a carico del datore di lavoro». Il regolamento aziendale,
inoltre, impone ai dipendenti d’indossare, durante le ore di servizio e
durante le manifestazioni di moda, solo abiti contraddistinti dal marchio
Gianni Versace, che dunque assumono una peculiare “divisa” nell’ambito

a specifico di una compagine operante nel settore della moda. Dal punto
di vista dell’imposizione diretta, dunque, questi oneri gestIonali sono ad

tività del Gruppo Versace, vista la loro destinazione al personale dipendente, e quindi sono integralmente deducibili nella determinazione del
reddito d’esercizio.
Sarà compito del giudice di rinvio, in luogo dell’inadempiente giudice d’appello, indagare se sia effettivamente provato che i capi consegnati a domicilio riguardino dipendenti e se le consegne riguardino realmente abiti
e complementi d’abbigliamento e non altri articoli di moda.
D. Detraibilità dell’IVA per spese di rappresentanza (motivi
6-7; artt. 112 e 360 n.4 cod. proc. civ.).
Nel sesto e nel settimo motivo di ricorso la contribuente si duole
dell’omessa pronuncia della C.t.r. sulla contestazione della ritenuta indetraibilità dell’imposta assolta sulle spese qualificate di rappresentanza. Richiama, inoltre, le argomentazioni svolte circa l’incompatibilità comunitaria della indetraibilità disposta dal decreto IVA all’art. 19-bisl, lett. h). I
rilievi di omessa pronuncia sono fondati, mancando graficamente ogni
disamina sul punto specifico.
E. Motivi assorbiti.
L’accoglimento del sesto, settimo e ottavo motivo di ricorso comporta ampio riesame della vertenza e dà luogo ad assorbimento degli altri mezzi
giuridicamente correlati e/o logicamente subordinati, ovverosia il secondo
e il terzo (superati dal vizio motivazionale pienamente riconosciuto sub
par. C), il quarto e il quinto (riguardo ai recuperi a tassazione delle spese
ritenute di rappresentanza e alle maggiori quote di costi deducibili per
effetto di accertamenti notificati per i periodi d’imposta precedenti e successivi), il nono, il decimo e l’undicesimo (con i quali si censura la sentenza d’appello sia per nullità, laddove ometterebbe di esaminare la
disapplicazione delle sanzioni per asserita incertezza normativa, sia per
cumulativa violazione di norme di diritto, laddove trascurerebbe la
previsione dell’art. 8 proc. trib., sia per vizi di omessa insufficiente e con-

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ogni effetto spese per prestazioni di lavoro perfettamente inerenti all’at-

traddittoria motivazione), il dodicesimo e il tredicesimo (con i quali si censura l’affermazione della sentenza d’appello secondo cui il perfezionamento della dichiarazione integrativa non sarebbe adeguatamente provato, per extrapetizione, sostenendosi di aver segnalato nel ricorso Introduttivo e riproposto nel gravame l’errore dell’atto impositivo che parla
dell’integrazione ma non la computa assieme alla franchigia, come previsto invece dall’art. 8 comma 6 della legge 289/2002; si prospetta, inoltre,

d’aver ampiamente documentato in giudizio il perfezionamento della dichiarazione integrativa stessa).

F. Conclusioni.
Una volta accolto parzialmente il ricorso nei sensi sopra indicati, la sentenza d’appello deve essere cassata in relazione, con rinvio al giudice
competente anche per le spese.
Sarà compito del giudice di rinvio anche delibare, se del caso, la questione
degli effetti dello ius superveniens (d.lgs. 158/2015) sulla determinazione
delle sanzioni eventualmente a carico della contribuente (v. memoria,
par.2).

P.Q.M.
La Corte accoglie il sesto, il settimo e l’ottavo motivo di ricorso, rigetta il
primo e dichiara assorbiti gli altri; cassa in relazione la sentenza d’appello
e rinvia, anche per le spese, alla C.t.r.-Lombardia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2016.

la stessa censura come violazione di legge precisandosi, comunque,

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