Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8122 del 23/04/2020

Cassazione civile sez. III, 23/04/2020, (ud. 16/12/2019, dep. 23/04/2020), n.8122

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3686-2017 proposto da:

S.L., C.M., S.G., domiciliati ex

lege in ROMA, presse la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato VINCENZO DI LORENZO;

– ricorrenti –

contro

A.L., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ANTONUCCI FAUSTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 457/2016 del TRIBUNALE di CHIETI, depositata

il 07/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/12/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. G. e S.L., nonchè C.M., in qualità di eredi di C.E., ricorrono, affidandosi a due motivi, per la cassazione della sentenza del Tribunale di Chieti che aveva confermato la pronuncia del giudice di pace con la quale era stato revocato il decreto ingiuntivo emesso in loro favore – e contro A.L. – per la restituzione della somma oggetto della condanna risarcitoria pronunciata in sede penale dal Tribunale di Chieti, poi riformata dalla Corte d’appello di L’Aquila che li aveva assolti dal reato loro ascritto per mancanza di querela.

1.1. Per ciò che interessa in questa sede, il Tribunale ha respinto l’appello degli odierni ricorrenti fondando la propria decisione sulla circostanza che l’assegno postale di Euro 600,00, emesso in esecuzione della sentenza penale di primo grado con riserva di ripetizione all’esito del gravame, non risultava incassato dall’ A., e che, pertanto, la somma era rimasta nella loro disponibilità senza essere effettivamente percepita dal destinatario dell’ingiunzione di pagamento.

2. Ha resistito la parte intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2909 c.c. e di ogni altro principio in materia di giudicato: lamentano che il Tribunale aveva confermato la pronuncia del giudice di pace con diversa motivazione senza,nè considerare ne motivatamente contraddire, la statuizione secondo cui l’assegno in contestazione era stato incassato.

1.1. Assumono che su tale statuizione, contenuta espressamente nella sentenza del giudice di pace riportata nel ricorso, si era formato il giudicato interno, non superabile con la diversa motivazione resa dal giudice d’appello.

1.3. Il motivo è inammissibile.

Infatti, la statuizione del giudice di pace secondo cui “tale assegno, tra l’altro, veniva dallo stesso incassato nei termini di validità” (cfr. pag. 3 secondo cpv della sentenza trascritta all’interno del motivo in esame) risulta oggetto di censura da parte dell’ A.: nelle conclusioni da lui rassegnate in appello (cfr. punto 3) viene, infatti, richiesto, sia pur all’interno di un fraseggio caratterizzato da una sintassi complicata, che venga “accertata l’inesistenza del diritto per cui è stato richiesto il decreto ingiuntivo dagli imputati in sede civile in pendenza del giudizio penale per le medesime questioni civili, mancato incasso dell’assegno e mancato titolo per la richiesta restituzione, maggiorata delle spese ed interessi”.

1.4. La censura proposta, pertanto, non coglie nel segno e mostra una mancata comprensione della ratio decidendi della pronuncia impugnata che, tenendo conto delle difese legittimamente riproposte dalla parte appellata ex art. 346 c.p.c., ha modificato la motivazione della sentenza di primo grado, ritenendo più corretta una diversa valutazione delle emergenze processuali in relazione ad una questione sulla quale non si era affatto formato il “giudicato”.

1.5. Tali valutazioni si risolvono, in buona sostanza, in un diverso percorso argomentativo che ha per oggetto una questione di fatto della quale non può essere richiesta in questa sede un nuovo esame.

2. Con il secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, i ricorrenti lamentano, ancora, l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia.

2.1. Assumono che il Tribunale non aveva considerato il documento prodotto (doc. d. fascicolo primo grado, proveniente dall’ufficio postale (OMISSIS)) dal quale risultava che l’assegno postale originariamente emesso era stato riscosso dal destinatario in data (OMISSIS), e, quindi, prima della scadenza fissata: poichè ciò era stato confermato dalla statuzione del giudice di pace e l’ A. non aveva mai contestato l’avvenuto incasso, la decisione del Tribunale risultava comunque eccentrica rispetto alle risultanze processuali.

2.2. Il motivo, intrinsecamente connesso al primo, è anch’esso inammissibile. Il Collegio osserva, infatti, che esclusa l’immodificabilità della statuizione concernente l’avvenuto incasso in ragione delle eccezioni legittimamente riproposte dalla parte appellata, il Tribunale ha valutato la documentazione prodotta (dagli stessi appellanti: cfr. doc d. fascicolo primo grado sopra richiamato) dando maggiore rilievo a quanto attestato in relazione allo stato dell’assegno, risultante “estinto”, rispetto alle date indicate nello stesso documento: in relazione a ciò risulta, dunque, priva di positivo riscontro la censura di omesso esame di un fatto decisivo per la controversia, in quanto il documento oggetto di rilievo è stato espressamente esaminato dal giudice d’appello che lo ha interpretato in relazione alla attestazione contrastante con l’avvenuto incasso (vista la dichiarazione di “assegno estinto”) alla quale ha assegnato un rilievo maggiore rispetto alle date in esso riportate.

2.3. E, tanto premesso, anche tale critica prospetta una questione di fatto, contrapponendo una diversa tesi difensiva alla argomentata statuizione del Tribunale che, in relazione a tale profilo, non può trovare ingresso in sede di legittimità.

3. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte,

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 600,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione terza civile, il 16 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2020

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