Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8121 del 22/04/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 8121 Anno 2016
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: CIRILLO ETTORE

SENTENZA

sul ricorso 20432-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– «ricorrente –

contro

2016
235

Auzft~gat agagi

kittet~dAti
GIVI HOLDING SPA in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

Data pubblicazione: 22/04/2016

GERMANICO 146, presso lo studio dell’avvocato ERNESTO
MOCCI, rappresentate e difeso dagli avvocati EUGENIO
BRIGUGLIO, EMILIO ZECCA giusta delega a margine;

controricorrente 1=j4enta1e contro
AGENZIA DELLE ENTRATE;
intimato,

avverso la sentenza n. 47/2008 della COMM.TRIB.REG.
di MILANO, depositata il 15/07/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/01/2016 dal Consigliere Dott. ETTORE
CIRILLO;
udito per il ricorrente l’Avvocato CAPOLUPO che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso principale,
rigetto ricorso incidentale;
udito per il controricorrente l’Avvocato BRIGUGLIO
che si riporta agli scritti;
udito il P.M. in persona del

Sostituto Procuratore

Generale Dott. LUIGI CUOMO che ha concluso per

n r

l’accoglimento del ricorso principale raccoglimento 0

incidentale.

RITENUTO IN FATTO
1. Il presente giudizio di legittimità fa parte di un vasto contenzioso fiscale
riguardante riprese a imposizione diretta e sul valore aggiunto nei confronti della holding GIVI del Gruppo Versace per gli anni d’imposta 1999,
2000, 2001 e 2002. Le varie vertenze, pur presentando in comune gran
parte dei profili controversi, sono diversamente declinate In ragione dei
differenti esiti dei separati giudizi di merito.

2008 la C.t.r. della Lombardia, per l’anno d’imposta 1999, riconosceva
quali spese di rappresentanza parzialmente deducibili i costi per l’acquisto
di capi griffati per personale avente contatti col pubblico; riteneva la non
inerenza dei costi per la fornitura di capi griffati ai dipendenti degli uffici
amministrativi; affermava la natura pubblicitaria delle altre spese contestate, ivi comprese quelle per quadri e arredi artistici. Il fisco propone
ricorso principale con quattro motivi; la contribuente resiste con controricorso, ricorso incidentale (affidato a cinque motivi) e memoria illustrativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
A. Eccezioni di giudicato esterno.
Preliminarmente, con memoria e produzione integrativa e discussione
orale, la contribuente eccepisce, il giudicato favorevole che si sarebbe

formato rispetto alla decisione della C.t.r.-Lombardia sull’anno d’imposta
2001. Più in dettaglio con le ultime difese precisa che, per effetto della
definitività della decisione delle C.t.r sull’anno d’imposta 2001, si sarebbe
formato giudicato esterno favorevole alla contribuente (a) sui costi annotati nel conto «spese promozionali di gruppo» e «spese promozionali di
terzi», erroneamente ritenute dal fisco parzialmente deducibili perché di
mera rappresentanza; (b) sui costi annotati nel conto «divise dipendenti
-gruppo» e «altre divise gruppo», erroneamente ritenute dal fisco per una
parte limitatamente deducibili perché di mera rappresentanza e per un’altra parte indeducibili perché non inerenti. Da ultimo, in sede di discussione, accenna agiudicati esterni che si sarebbero formati su parti non
impugnate dal fisco delle decisioni sugli anni d’imposta 2000 e 2002. A
sua volta la difesa erariale, sempre in sede di discussione ma in via subordinata, eccepisce il giudicato esterno a sé favorevole che si sarebbe
formato sull’ammortamento ordinario di quadri e arredi artistici.
I rilievi sono infondati perché la sentenza del giudice tributario con la
quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato con riferimento
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2. Per quanto qui strettamente rileva, con sentenza n. 47-12 del 15 luglio

alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi solo per
quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che,
estendendosi per loro natura ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente (Cass. 6953/2015) perché rigorosamente correlati ad un interesse protetto che riveste il carattere della durevolezza (Cass. 11226/2007 e 15582/2010), mentre non
può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo

zialmente mutevoli (Cass.

20029/2011). Giova rilevare che, se da

una o più fonti scaturiscano diversi periodi di imposta, il presupposto
dell’Imposizione va calibrato in relazione alle poste attive e passive, specificate di volta in volta, differenti anno per anno: e ciò in quanto, per
ciascun periodo di imposta, gli elementi di fatto che originano l’imposizione si atteggiano normalmente in maniera diversa (Cass., sez. un.,
14294/2007).
Nel nostro caso, peraltro, gli invocati giudicati esterni affrontano questioni
su deducibilità e ammortamento di costi e non vi è specifico rilievo, né
risulta altrimenti evincibile, che l’odierno giudizio abbia riguardo esattamente e soltanto gli stessi beni dei cui costi – e della relativa deducibilità
– i giudicati medesimi si occupano (Cass. 25668/2013). Anzi, dal contenuto anche delle ultime difese private, si evince che gli importi controversi
sono diversi nelle varie annualità, mentre manca qualsivoglia riferimento
a specifiche voci di magazzino e/o d’inventario.
In sostanza manca l’elemento indefettibile della medesimezza – ovverosia
di una stessa situazione di fatto, di uno stesso rapporto giuridico (Cass.,
s.u., 26482/2007), di uno stesso titolo negoziale (Cass. 244433/2013),
di uno stesso rapporto di durata (Cass. 27784/2009; conf. 9512/2009) –

per potere legittimare l’ultrattività del giudicato tributario, dal quale è comunque escluso ogni fattore di mera interpretazione giuridica (Cass.
23723/2013).
Inoltre, riguardo alle riprese in materia di IVA, si osserva che esse sono
soggette a norme comunitarie imperative, la cui applicazione armonizzata non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato
nazionale e dalla eventuale sua proiezione anche oltre il periodo

di

imposta che ne costituisce specifico oggetto (C. giust., 3.9.2009, C-2/08;
Cass. 16996/2012).

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ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto anche solo poten-

B. Ammortamento delle spese per quadri e arredi artistici (ricorso principale; motivi 1-2; artt. 7 proc. trib., 112 cod.
proc. civ.; art. 36 proc. trib.).

Si premette che l’ammortamento è processo tecnico contabile diretto a
calcolare il consumo subito dai beni strumentali destinati all’esercizio
dell’impresa i cui costi vanno ripartiti in quote pluriennali. Esso può effettuarsi con beni suscettibili di deperimento e consumo dopo un certo nu-

nali allo scopo per il quale sono stati acquistati. Dal reddito d’impresa sono
infatti detraibili le quote di ammortamento dei beni utilizzabili per un limitato periodo di tempo, perché soggetti a logorio fisico o economico.
Tant’è che la disciplina fiscale dei diversi coefficienti di ammortamento
tiene espressamente conto dell’effettivo tasso di usura al quale sono soggetti i beni strumentali in relazione all’impiego cui vengono singolarmente
destinati. Pertanto, considerato che i dipinti acquistati per abbellire le pareti di un esercizio non perdono il loro pregio nel tempo, mentre forniscono l’utilità cui sono mirati, ma semmai lo Incrementano, i relativi costi

d’acquisto non possono essere inclusi fra quelli pluriennali di produzione
del reddito, ma vanno piuttosto considerati tra gli investimenti patrimoniali della società (Cass. 22021/2006, in fattispecie alberghiera).
A tali principi si attiene l’amministrazione nel disattendere l’ammortamento fiscale messo in atto dalla contribuente, che invece sostiene trattarsi di veicoli dell’immagine aziendale atteso che non si tratterebbe di
opere d’arte bensì di quadri, mobili e suppellettili in qualche modo riconducibili all’immagine aziendale riproducendo variamente la figura della
Medusa, elemento che contraddistingue la riconoscibilità del Gruppo Versace e dei suìlmarchi.
La C.t.r. nella sentenza impugnata respinge la tesi del fisco e classifica
d’ufficio i costi sostenuti per gli acquisti di quadri e arredi artistici nell’ambito delle spese di rappresentanza.
Tale riqualificazione è censurata dal fisco per extrapetizione nel primo
motivo. Afferma che di spese di rappresentanza non si parla né nella prospettazione impositiva del fisco, che quale attore in senso sostanziale
identifica la causa petendi, né nella prospettazione difensiva della contribuente, che quale attore in senso processuale definisce il perimetro della
sua impugnazione di merito. Il giudice d’appello, dinanzi a una pretesa
impositiva che nega l’ammortamento di tali beni e dinanzi a una impugnazione di merito sull’inerenza e l’ammortamento dei beni strumentali,
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mero di anni, sì da dover essere sostituiti quando non risultino più funzio-

introduce d’ufficio non solo un profilo giuridico diverso da quello dibattuto
dalla parti (causa petendi), ma soprattutto elementi di fatto (es. intento
promozionale etc.) richiedenti accertamenti del tutto diversi (Cass.
10910/2015). Il primo motivo deve, dunque, essere accolto con assorbimento del secondo, logicamente e giuridicamente subordinato.
C. Spese per la cessione gratuita di abiti griffati a VIP (ricorso
principale; motivi 3-4; art. 74 Tuir)

fini delle II.DD. e con IVA detraibile; a tal proposito enfatizza la funzione
di propaganda indiretta (o diretta implicita) derivante dall’utilizzo dell’abbigliamento Versace da parte di persone notissime al grande pubblico. Il
fisco, invece, classifica tali costi come spese di rappresentanza, solo parzialmente deducibili ai fini delle II.DD. con IVA non detraibile; in proposito
valorizza l’assenza di funzione immediatamente promozionale delle vendite e l’utilizzo ai fini dell’accrescimento dell’immagine, del decoro e
dell’importanza del Gruppo Versace. La sentenza d’appello accoglie la tesi
della contribuente.
La tesi dell’amministrazione è fondata e comporta l’accoglimento del terzo
e del quarto motivo di ricorso principale.
Questa sezione ha ripetutamente affermato (Cass. 21270/2008,
17602/2008, 9567/2007) che costituiscono spese di rappresentanza
quelle affrontate per iniziative volte ad accrescere il prestigio e
l’immagine dell’impresa ed a potenziarne le possibilità di sviluppo, mentre vanno qualificate come spese pubblicitarie o di propaganda quelle
erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente
anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi
e servizi, o comunque dell’attività svolta. In definitiva, si ritiene che
debbano farsi rientrare nelle spese di rappresentanza quelle effettuate
senza che vi sia una diretta aspettativa di ritorno commerciale, e che
vadano, invece, considerate spese di pubblicità o propaganda quelle altre
sostenute per ottenere un incremento, più o meno immediato, della
vendita di quanto realizzato nei vari cicli produttivi ed in certi contesti,
anche temporali (Cass. 7803/2000). Il criterio discretivo va, dunque,
individuato nella diversità, anche strategica, degli obiettivi che, per
le spese di rappresentanza, può farsi coincidere con la crescita d’immagine ed il maggior prestigio nonché con il potenziamento delle possibilità di sviluppo della società; laddove, per le spese di pubblicità o
propaganda, di regola, consiste in una diretta finalità promozionale e di

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La contribuente classifica tali costi come spese di pubblicità, deducibili ai

incremento commerciale, normalmente, concernente la produzione realizzata In un determinato contesto (Cass. 3433/2017; conf. da ultimo
21977/2015).
Non a caso nella giurisprudenza comunitaria, ai fini dell’IVA, si afferma
che la prestazione pubblicitaria comporta la trasmissione di un messaggio
destinato a informare il pubblico della esistenza e della qualità di un prodotto o del servizio di cui trattasi allo scopo di incrementare le vendite (C.

Analogamente in dottrina si rileva che le spese di rappresentanza derivano dalla necessità di attuare comportamenti idonei a mantenere alto
sul mercato il nome dell’impresa, con ciò, in sostanza, perseguendosi lo
stesso fine delle spese di pubblicità e propaganda, ma con la differenza
che le spese di rappresentanza non sono finalizzate alla promozione
della commercializzazione di un prodotto, alla conquista di un mercato
o alla diffusione di una specifica immagine commerciale, ma, in buona
sostanza, sono spese per le quali non ci si attende uno specifico ritorno
sul versante economico, ma si riferiscono solo all’immagine – anche in
forma sfumata – dell’impresa, riferimento che può essere – come nella
maggior parte dei casi è – tacito, manifestandosi in comportamenti atti a
porre l’accento su decoro e importanza.
La cessione gratuita a VIP di capi d’abbigliamento griffati, pacificamente
effettuata al di fuori di ogni patto contrattuale e di ogni consequenziale
obbligo giuridico d’indossarli in manifestazioni pubbliche, resta sicuramente estraneo alla fattispecie legale della pubblicità o propaganda di cui
all’art. 74 TUIR mancando l’obiettività di un collegamento immediato con
la promozione dì un prodotto o di una produzione e con l’aspettativa diretta di un maggior ricavo. Inoltre, non solo manca ogni dovere – se non

quello morale – d’indossare gli indumenti griffati in situazioni di pubblica
visibilità, ma, a ben vedere, può mancare persino l’immediata percezione
e quindi il diretto riferimento del capo alla griffe per il grande pubblico, se
il tutto non sia accompagnato da ben diverso e ficcante messaggio integrativo. Ciò vale in disparte la gratuità stessa della cessione che per taluna giurisprudenza di legittimità assume connotazione rilevante come
spesa di mera rappresentanza (Cass. 10910/2015 e giur. ivi cit.).
D. Spese per la fornitura di capi griffati ai dipendenti (ricorso incidentale, motivi 2-5; art. 74 Tuir; artt. 62-75 Tuir).
Il fisco ritiene che tali spese non siano deducibili per difetto d’inerenza
riguardo ai capi forniti a dipendenti amministrativi o consegnati a indirizzi
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giust. 17.1993, C-68/92, C-69/92, C-73/92).

non riferibili alla sede aziendale; e siano invece solo parzialmente deducibili quali spese rappresentanza riguardi ai capi forniti ai dipendenti degli
showroom; di contro la contribuente ne sostiene la deducibilità in generale
quali spese per prestazioni di lavoro ai sensi dell’art. 62 (ora 95) TUIR. La
C.t.r. accoglie la tesi del fisco. Invece è la tesi della contribuente, oggetto
del secondo e del quinto motivo di ricorso incidentale, ad essere fondata.
L’art. 62 (ora 95) TUIR stabilisce che le spese per prestazioni di lavoro

anche quelle sostenute in denaro o in natura a titolo di liberalità a favore
dei lavoratori. L’art. 162 del CCNL, richiamato nelle difese con specifico
riferimento alla localizzazione nell’incarto processuale, stabilisce che
«quando viene fatto obbligo al personale di indossare speciali divise la
spesa relativa è a carico del datore di lavoro». Il regolamento aziendale,
richiamato nel ricorso incidentale (pag. 57 e 63), impone ai dipendenti
d’indossare, durante le ore di servizio e durante le manifestazioni di moda,
solo abiti contraddistinti dal marchio Gianni Versace, che dunque assumono una peculiare “divisa” nell’ambito di specifico di una compagine
operante nel settore della moda. Dal punto di vista dell’imposizione diretta, dunque, questi oneri gestionali sono ad ogni effetto spese per prestazioni di lavoro perfettamente inerenti all’attività del Gruppo Versace,
vista la loro destinazione al personale dipendente, e quindi sono integralmente deducibili nella determinazione del reddito d’esercizio.
Va chiarito che i motivi di censura della contribuente sono correttamente
calibrati nel ricorso é sull’art. 360 n.3 cod. proc. civ. attesa l’integrazione
dell’ad_ 62 TUIR con la disposizione extrafiscale dell’art. 162 CCNL e
l’equiparazione delle norme collettive a quelle di diritto introdotta dalla
novella del 2006 (Cass. 19507/2014). I motivi rispondono inoltre al modello dell’autosufficienza “virtuosa” delineato delle sezioni unite (sent.
22276/2011) e dal recente protocollo con il CNF. Sarà compito del giudice
di rinvio indagare se sia adeguatamente provato che i capi consegnati a
domicilio riguardino dipendenti e se le consegne riguardino effettivamente
abiti e complementi d’abbigliamento e non altri articoli di moda.
L’accoglimento del secondo e del quinto motivo comporta il riesame integrale della questione e dà luogo ad assorbimento degli altri motivi di ricorso incidentale giuridicamente correlati e logicamente subordinati per
meri vizi motivazionali.
E. Conclusioni.

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dipendente deducibili nella determinazione del reddito comprendono

Una volta accolti i ricorsi nei sensi sopra indicati, la sentenza d’appello
deve esseyassata in relazione con rinvio, anche per le spese, al giudice
competente.
Sarà compito del giudice di rinvio anche delibare, se del caso, la questione
degli effetti dello ius superveniens (d.lgs. 158/2015) sulla determinazione
delle sanzioni eventualmente a carico della contribuente (v. memoria,
par.2).

La Corte accoglie il primo, il terzo e il quarto motivo di ricorso principale
e dichiara assorbito il secondo; accoglie il secondo e il quinto motivo di
ricorso incidentale e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza d’appello
e rinvia, anche per le spese, alla C.t.r.-Lombardia in diversa composizione.
Cosi deciso in Roma, il 25 gennaio 2016.

P.Q.M.

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