Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8114 del 23/04/2020

Cassazione civile sez. III, 23/04/2020, (ud. 10/12/2019, dep. 23/04/2020), n.8114

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 00817/2018 proposto da:

Comune di Carpino, in persona del Sindaco in carica, elettivamente

domiciliato in Roma, alla piazza S. Croce in Gerusalemme, n. 1,

presso l’avvocato Gianfranco Giangualano, che rappresentato e difeso

dall’avvocato Antonio Maccarone;

– ricorrente –

contro

D.V.F., elettivamente domiciliato in Roma, alla via

Appia Nuova, n. 251, presso l’avvocato Maria Saracino, rappresentato

e difeso dall’avvocato Rosario Follieri;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 01163/2017 della CORTE d’APPELLO di BARI,

depositata il 29/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/12/2019 dal Consigliere Dott. Cristiano Valle, osserva.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Comune di Carpino impugna nei confronti di Francesco D.V. la sentenza n. 01163 del 29/08/2017 della Corte di Appello di Bari che ha confermato, con diversa motivazione, la sentenza del Tribunale di Lucera, resa tra lo stesso Comune ed il D.V. di rigetto della domanda di revocazione proposta avverso il Decreto Ingiuntivo chiesto e ottenuto (n. 297 del 1991 del Tribunale di Lucera) dal D.V. nei suoi confronti.

Il Comune di Carpino deduce che detto decreto, nei cui confronti il D.V. aveva proposto opposizione accolta, con declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, aveva acquistato definitiva efficacia esecutiva perchè, cassata la sentenza (Sez. U. n. 7900 del 20/05/2003) della Corte di Appello di Bari, di conferma del difetto di giurisdizione del giudice ordinario, il giudizio non era più stato riassunto e si era quindi estinto; che in ragione di ciò il presidente del Tribunale di Lucera aveva dichiarato con proprio decreto la definitiva esecutività del decreto ingiuntivo, in forza del quale il D.V. aveva intimato precetto di pagamento al Comune; che il decreto ingiuntivo contrastava con la sentenza n. 179 del 2003 del Tribunale di Lucera, passata in giudicato sul punto, in quanto impugnata solo in ordine alla compensazione delle spese, che aveva rigettato la pretesa del D.V. di pagamento delle medesime somme portate dal monitorio.

Resiste con controricorso D.V.F..

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Il P.G. non ha depositato conclusioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso del Comune è articolato su due motivi, di cui il primo formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione agli artt. 393,653 e 112 c.p.c., ed afferma che: essendo stato il decreto ingiuntivo n. 297 del 1991, ottenuto dal D.V. nei confronti del Comune di Carpino, revocato dalla sentenza del Tribunale di Lucera n. 403 del 1997 per difetto di giurisdizione del giudice ordinario, confermata dalla Corte di Appello di Bari n. 857 del 2000, a seguito della pronuncia delle Sez. U. n. 7900 del 2003 la mancata riassunzione della causa aveva comportato l’estinzione dell’intero procedimento, cosicchè il decreto ingiuntivo era stato espunto dall’ordinamento.

Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 395 c.p.c., n. 5 e art. 112 c.p.c., ed assume che essendovi stata sullo stesso decreto ingiuntivo la formazione di due distinti giudicati la sentenza intervenuta per seconda, ossia quella che in seguito a giudizio di cognizione ordinario ha affermato che il Comune di Carpino nulla deve al D.V. (sentenza n. 705 del 2003 del Tribunale di Lucera, confermata dalla sentenza n. 228 del 2009 della Corte di Appello di Bari), deve prevalere sul monitorio.

Le critiche mosse con i due motivi di ricorso, che possono essere congiuntamente esaminati, stante la loro stretta connessione, appaiono complessivamente inconferenti, laddove, da un lato, si chiede di revocare il decreto ingiuntivo, dall’altro si sostiene che questo più non esiste, essendo stato travolto dalla estinzione e palesano un difetto di autosufficienza e di correlazione con la ragione decisoria del giudice di appello e, quindi peccano di decisività.

Il primo motivo è, inoltre, sostanzialmente reiterativo del motivo di appello principale del Comune di Carpino.

Il percorso argomentativo del ricorso, con le soprariportate censure, non scalfisce l’impianto motivazione della sentenza gravata, imperniato sulla giurisprudenza nomofilaittica di questa Corte (Sez. U n. 04071 del 22/02/2010 Rv. 611575-01): “In tema di effetti del giudizio di rinvio sul giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, qualora alla pronunzia sul decreto sia seguita l’opposizione con il suo accoglimento (totale o parziale), e successivamente la sentenza di merito sia stata a sua volta cassata con rinvio, nel caso in cui il processo non sia stato riassunto nel termine prescritto non trova applicazione il disposto dell’art. 653 c.p.c., secondo cui a seguito dell’estinzione del processo di opposizione il decreto che non ne sia munito acquista efficacia esecutiva, ma il disposto dell’art. 393 c.p.c., alla stregua del quale alla mancata riassunzione consegue l’estinzione dell’intero procedimento e, quindi, anche l’inefficacia del decreto ingiuntivo opposto. Tuttavia, nel diverso caso in cui l’estinzione del giudizio di rinvio sia successiva ad una pronuncia di cassazione di una decisione di rigetto, in primo grado o in appello, dell’opposizione proposta avverso un decreto ingiuntivo, a tale estinzione consegue il passaggio in giudicato del decreto opposto, secondo quanto prevede il citato art. 653 c.p.c., comma 1, che, limitatamente a questa ipotesi, prevale sul menzionato art. 393 c.p.c.”.

La sentenza in scrutinio nel rigettare l’appello principale del Comune di Carpino e dichiarare assorbito l’incidentale afferma, richiamando la sopra riportata giurisprudenza regolatrice, che l’estinzione del giudizio di rinvio, a causa della mancata riassunzione del giudizio dopo la pronuncia delle Sez. U. (n. 7900 del 2003) aveva travolto l’intero processo e quindi anche il Decreto Ingiuntivo.

Ne conseguiva che l’erronea apposizione della dichiarazione di esecutività al monitorio da parte del Presidente del Tribunale di Lucera doveva essere fatta valere mediante opposizione all’esecuzione, da parte del Comune, piuttosto che con la revocazione ex art. 395, n. 5, di cui non ricorrevano i presupposti, essendo il decreto ingiuntivo antecedente (in quanto risalente al 1991) alla sentenza (del 2003) passata in giudicato con cui sarebbe in contrasto ed ivi far valere l’intervenuta estinzione del decreto ingiuntivo. L’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 5, richiamato in tema di impugnazione del decreto ingiuntivo dall’art. 656 c.p.c., fa riferimento all’ipotesi che la sentenza revocanda (ossia, nel caso di specie, il decreto ingiuntivo) sia contraria ad altra precedente (Cass. n. 545 del 06/03/1970 Rv. 345615-01: “Perchè possa esperirsi il rimedio della revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 5 (sentenza contraria), basta che il giudicato nascente da una sentenza precedente si formi prima della data di pubblicazione della nuova sentenza e non occorre, invece, che preesista al momento della deliberazione”), e non ad altra successiva (come, invece, accaduto nella fattispecie in scrutinio).

Il ricorso è, pertanto, rigettato.

Le spese di lite restano regolate dal principio della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15% oltre CA ed IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, il 10 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2020

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