Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8113 del 23/04/2020

Cassazione civile sez. III, 23/04/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 23/04/2020), n.8113

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 07508/2018 proposto da:

L.G., elettivamente domiciliato in Roma alla via

Montagne Rocciose, n. 69, presso lo studio dell’avvocato Ordine

Andrea, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.P.S., elettivamente domiciliato in Roma alla via

Circonvallazione Ostiense n. 228, presso lo studio dell’avvocato

Preite Francesco che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 05508/2017 della CORTE d’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/12/2019 da Dott. Cristiano Valle, osserva.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 05508 del 28/08/2017 ha, per quanto ancora rileva in questa sede, riformato la sentenza del Tribunale di Viterbo e sulla base di una scrittura privata, del 20 dicembre 2001, intercorsa tra L.G. e P.P.S. ha condannato il primo al pagamento della somma di Euro sessantunomila novecentosettantotto a titolo di ristoro del recesso anticipato da un contratto di locazione avente ad oggetto immobili, siti in (OMISSIS), destinati in parte ad esercizio commerciale (bar), oltre interessi dal 31 marzo 2002 ed al maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, come analiticamente disposto in sentenza, dalla stessa data a quella di pubblicazione del provvedimento, oltre spese di lite e di consulenza tecnica di ufficio.

La Corte di Appello ha rinnovato l’istruttoria, ammettendo prova testimoniale, non ammessa in primo grado, con il padre della P.P. e ha ritenuto inattendibile la perizia calligrafica espletata in primo grado, procedendo a nuova indagine peritale.

L.G. ricorre per cassazione, con atto affidato a quattro motivi.

Resiste, con controricorso, P.P.S..

Nessuna delle parti ha depositato memoria.

Il P.G. non ha presentato conclusioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso censura la sentenza d’appello per violazione e (o) falsa applicazione degli artt. 2702,2719,2724 c.c., artt. 214,215,216,223 e 224 c.c., affermando che la Corte territoriale aveva illegittimamente fondato il proprio convincimento sulla copia di una scrittura privata, prontamente disconosciuta in primo grado dal L..

Il secondo motivo afferma nullità del procedimento per violazione degli artt. 115 e 116 c.c., in quanto la Corte d’appello ha malamente valutato le prove.

Il terzo mezzo deduce violazione procedimentale per avere la Corte di appello pronunciato oltre i limiti della domanda, riconoscendo interessi e rivalutazione monetaria.

Il quarto mezzo censura la sentenza d’appello per violazione e (o) falsa applicazione degli artt. 1325,1418 c.c. e art. 329 c.c..

I motivi di ricorso, in totale quattro, non censurano adeguatamente la ragione del decidere.

Avuto riguardo al primo motivo di ricorso la sentenza in scrutinio compie un articolato ragionamento, che si snoda alle pagg. 4 e 5, per affermare la preferenza accordata alla consulenza grafica disposta in grado di appello e, sul punto, le censure mosse dal primo mezzo appaiono del tutto inconsistenti e sfornite di specificità, anche perchè si soffermano sulla circostanza, che nel complesso rimane oscura, della mancata produzione in giudizio della scrittura privata originale, che, viceversa, è stata, quantomeno, come risulta dal testo della sentenza d’appello, esibita dalla parte odierna controricorrente in primo grado.

Sul potere per il giudice di appello di disporre rinnovazione della consulenza d’ufficio la sentenza in scrutinio è coerente con l’orientamento di legittimità (Cass. n. 14338 del 09/08/2012 Rv. 623494-01 e Cass. n. 15945 del 27/06/2017 Rv. 644977-01): “Il divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova e nuovi documenti nel giudizio di appello, previsto dall’art. 345 c.p.c., comma 3, che deriva dal carattere tendenzialmente chiuso delle fasi di impugnazione, non opera quando il giudice eserciti il proprio potere di disporre o rinnovare le indagini tecniche attraverso l’affidamento di una consulenza tecnica d’ufficio”.

Il primo motivo si incentra, inoltre, sull’assunzione della testimonianza di P.F.: il mezzo, sul punto, difetta di specificità, in quanto non consta che la difesa del L. abbia tempestivamente, in fase di appello, fatto rilevare l’incapacità a testimoniare dello stesso, in quanto padre di P.P.S..

Il secondo motivo è del tutto privo di specificità: non sono analiticamente denunciate le violazioni della legge processuale (oppure sostanziale a seconda della natura che si ritiene hanno le norme sulle prove) nelle quali sarebbe incorso il giudice di appello. Inadeguato appare anche il riferimento all’art. 115 c.p.c., di cui al secondo motivo di ricorso: perchè si configuri effettivamente un motivo censurante la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c., è necessario che venga denunciato, nell’attività argomentativa ed illustrativa del motivo, che il giudice non ha posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè che abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che, per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove”. Ne segue che il motivo così dedotto è privo di fondamento per ciò solo (Sez. U. n. 16598 del 2016 e Cass. n. 11892 del 2016 Rv. 640192-01).

Il terzo motivo è del pari inammissibile: dal testo della sentenza d’appello, alla pag. 2, alla fine del primo periodo che inizia e si conclude in detta pagina, risulta che sin dal grado di giudizio dinanzi al tribunale la domanda di P.P.S. era comprensiva, e quindi, estesa, agli interessi ed alla rivalutazione monetaria. L’effetto devolutivo dell’appello ha comportato, pertanto, la totale riproposizione del detto capo di domanda dinanzi al giudice dell’impugnazione di merito. Parte ricorrente omette, inoltre, di indicare in quale atto processuale la controparte avrebbe rinunciato ai detti accessori del credito principale domandato (si veda, tra le numerose, Cass. n. 00413 del 11/01/2017 Rv. 642692-01): “In tema di appello, la presunzione di rinuncia alle domande ed eccezioni non accolte in primo grado, sancita dall’art. 346 c.p.c., non è impedita da un richiamo, del tutto generico, agli atti di quel grado, così da tradursi in una mera formula di stile, ma, ove ciò non sia accaduto e l’appellato abbia soltanto omesso di riproporre espressamente una determinata domanda, occorre tenere conto dell’intero contenuto delle sue difese e della posizione da lui complessivamente assunta, sicchè quando questi, con qualsiasi forma, abbia evidenziato la sua volontà di mantenere comunque ferma la propria domanda, sollecitando il giudice di secondo grado a decidere in merito, va escluso che vi abbia rinunciato”.

Il quarto mezzo è parimenti carente di specificità, limitandosi a denunciare la nullità della pattuizione intercorsa tra L.G. e P.P.S. e risultante dalla scrittura privata del 20 dicembre 2001: la Corte territoriale ha, sul punto, rilevato che la pattuizione si muoveva nell’ambito della liceità, in quanto (pag. 5): “l’accordo non presenta motivi di invalidità, non risulta contrario a norme imperative nè di ordine pubblico, non presenta causa o motivi illeciti e costituisce espressione della facoltà concessa alle parti di determinare liberamente il contenuto dei contratti, nei limiti consentiti”.

La Corte territoriale ha dissipato anche i dubbi avanzati dal L. in punto di titolarità del credito e di legittimazione ad agire, affermando, e sul punto non vi è adeguata censura, che P.P.S. era riconosciuta creditrice, nella scrittura privata del 20 dicembre 2001, sebbene questa riguardasse la società Borgo di Paradosso, società in accomandita semplice (della quale, peraltro, P.P.S. era, circostanza anche questa incontestata e che comunque l’avrebbe legittimata a chiedere l’adempimento del patto scritto, socia accomandataria e quindi amministratrice).

Il ricorso è, pertanto, dichiarato inammissibile.

Le spese di lite seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate come da dispositivo, in relazione al valore della controversia.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti, consistenti nell’integrale rigetto dell’impugnazione, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 5.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15% oltre CA ed IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2020

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