Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8112 del 23/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 23/03/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 23/03/2021), n.8112

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28471-2019 proposto da:

AZ CORPORATION SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dagli avvocati TERESA PAPOLA, MARIA GRAZIA

D’ANGELO;

– ricorrente –

contro

P.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SESTO RUFO,

23, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI MOSCARINI, rappresentata

e difesa dall’avvocato EVO TALONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 165/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 21/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARGHERITA

MARIA LEONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

La Corte di appello di L’Aquila con la sentenza n. 165/2019, per quel che in questa sede rileva, aveva rigettato gli appelli proposti da A.Z. Broker srl e Company 2000 srl nonchè da A.Z.Corporation srl in liquidazione avverso le due diverse decisioni con le quali il Tribunale di Chieti aveva respinto le opposizioni proposte dalle predette società avverso il decreto ingiuntivo n. 723 del 2016 ottenuto da P.I. per il pagamento della complessiva somma di Euro 51.184,96.

La Corte territoriale aveva premesso che il decreto ingiuntivo in questione traeva origine dalla sentenza n. 457/2014 del Tribunale di Chieti poi confermata dalla Corte di appello (n. 1136/2015), con la quale era dichiarato illegittimo il licenziamento intimato a P.I., condannate le società alla reintegrazione e condannate le stesse al pagamento delle retribuzioni maturate dal di del licenziamento a quello della effettiva reintegrazione. Esponeva altresì che nelle more del giudizio i giudici di legittimità rigettavano il ricorso delle società avverso la sentenza in merito al licenziamento, che la stessa, pertanto, passava in giudicato, e che la lavoratrice esercitava il diritto di opzione rispetto alla reintegrazione.

Il Giudice d’appello valutava quindi che non fosse presente un problema di bis in idem tra due diversi titoli, quali la sentenza di condanna al pagamento delle retribuzioni sino alla reintegrazione e il decreto ingiuntivo in questione, poichè quest’ultimo era comunque relativo a titoli di pagamento ulteriori (indennità per l’esercitata opzione, tfr) e comunque perchè anche la condanna al pagamento delle retribuzioni maturate dopo l’illegittimo licenziamento, sebbene già espressa nella sentenza, non era stata quantificata nel suo complesso ammontare ma specificata solo nel criterio mensile di riferimento per la determinazione del quantum.

Avverso tale decisione AZ Corporation in liquidazione proponeva ricorso affidato ad un solo motivo cui resisteva con controricorso P.I..

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Entrambe le parti depositavano successiva memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1) Con unico motivo è dedotta la violazione della L. n. 319 del 1980, art. 8, art. 11; la violazione del principio ne bis in idem; la violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 477 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Parte ricorrente rileva che la corte aquilana ha errato nel non considerare che l’indennità per l’illegittimo licenziamento era stata quantificata già dalla sentenza dichiarativa della suddetta illegittimità e che pertanto il successivo decreto ingiuntivo, almeno su tale parte, costituiva un secondo titolo duplicativo.

Il motivo, con riguardo alla prima violazione denunciata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è inammissibile poichè non chiarisce in che modo le disposizioni richiamate (L. n. 319 del 1980, art. 8, art. 11; art. 477 c.p.c.) siano connesse rispetto alla statuizione impugnata e in che termini siano state violate.

Quanto alla violazione del principio del ne bis in idem deve osservarsi che il primo titolo costituito dalla sentenza conteneva la condanna al pagamento e il criterio di riferimento utile per il calcolo, (retribuzione mensile) ma era carente dell’ulteriore elemento temporale per la sua determinazione, con la conseguenza che, intervenuta nel frattempo l’opzione esercitata dalla lavoratrice e quindi un elemento che non era contenuto nell’originario titolo, era da escludersi ogni ipotesi di duplicazione e di violazione del principio del richiamato principio. L’assenza dell’elemento temporale finale e la conseguente indeterminatezza del credito, anche incisa dalle ulteriori circostanze intervenute, non avrebbe invero consentito la messa in esecuzione della condanna contenuta in sentenza.

Inammissibile è anche l’ulteriore profilo di censura inerente l’omesso esame della medesima circostanza (indennità risarcitoria già contenuta nella originaria sentenza sul licenziamento). Sul vizio in questione questa Corte ha chiarito che “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia” (Cass. n. 23238/2017).

La decisività del “fatto” omesso assume nel vizio considerato dalla disposizione richiamata rilevanza assoluta poichè determina lo stretto nesso di causalità tra il fatto in questione e la differente decisione (non solo eventuale ma certa).

Tale condizione deve dunque essere chiaramente allegata dalla parte che invochi il vizio, onerata di rappresentare non soltanto l’omissione compiuta ma la sua assoluta determinazione a modificare l’esito del giudizio.

Sulla base di tali premesse deve quindi escludersi l’omissione denunciata poichè la circostanza relativa alla condanna ed al suo contenuto, già presente nella originaria sentenza dichiarativa del licenziamento, era stata oggetto di specifico esame della corte territoriale che ha espresso la sua valutazione, ampiamente motivando sul punto.

Il ricorso deve pertanto ritenersi infondato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore della controricorrente nella misura di cui al dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 4000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2021

 

 

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