Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8109 del 03/04/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 8109 Anno 2013
Presidente: UCCELLA FULVIO
Relatore: CARLUCCIO GIUSEPPA

SENTENZA
sul ricorso 19797-2007 proposto da:
MAP PRESTIGIACOMO MODE S.R.L. 01413800812, in persona
del Presidente del Consiglio d’Amministrazione e
legale

rappresentante

elettivamente domiciliata

FILIPPO

PRESTIGIACOMO,

in ROMA, VIA LUCULLO 3,

presso lo studio dell’avvocato ADRAGNA NICOLA,
2013
339

rappresentata e difesa dall’avvocato BOSCO BIAGIO
giusta delega in atti;
– ricorrente contro

DE BLASI FRANCESCO DBLFNC51R04L331N,

DE BLASI

Data pubblicazione: 03/04/2013

ANTONIETTA

DBLNNT48D44L331S,

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA A. DEPRETIS 86, presso lo
studio dell’avvocato CAVASOLA PIETRO, rappresentati e
difesi dall’avvocato DE FELICE FRANCESCO PAOLO ELIO
giusta delega in atti;

avverso la sentenza n. 227/2005 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 25/05/2006, R.G.N.
768/2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/02/2013 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA
CARLUCCIO;
udito l’Avvocato BIAGIO BOSCO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso
per l’inammissibilità in subordine rigetto;

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– controricorrenti –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. I locatori Francesco e Antonietta De Blasi convennero in giudizio la
MAP Prestigiacomo mode srl, chiedendo la condanna al pagamento dei
canoni scaduti, e a scadere, relativi alla locazione di un immobile a uso
commerciale, stipulata con contratto del 1992, che si era rinnovato per
sei anni a partire dal 10 gennaio 1999, avendo la società conduttrice
comunicato la disdetta senza il rispetto dei termini.

La Corte di appello di Palermo, adita dalla società, rigettò
l’impugnazione (sentenza del 25 maggio 2006).
2.

Avverso la suddetta sentenza, la società propone ricorso per

cassazione con sei motivi, corredati da quesiti.
I De Blasi resistono con unico controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. In generale, il ricorso presenta carenze in ordine all’esposizione
sommaria dei fatti, richiesta dall’art. 366 n. 3, cod. proc. civ., a pena di
inammissibilità.
Ed infatti, mentre racconta gli antefatti della causa, nulla dice sulla
azione proposta, né sulla decisione del primo e secondo giudice; afferma
solamente che nei giudizi di merito non furono ammessi i mezzi istruttori
e si sofferma sul distinto profilo della provvisoria esecuzione.
2. In particolare, due dei motivi di ricorso (primo e terzo) ripropongono
motivi di appello, senza prendere in considerazione, per censurarle, le
argomentazioni utilizzate dalla Corte di merito; con conseguente
inammissibilità.
2.1. Tanto accade con il primo motivo, con cui si deduce violazione degli
artt. 83, 163 e 164 cod. proc. civ. e la nullità dell’atto di citazione di
primo grado, rispetto ai quali la Corte di merito aveva argomentato che
la copia della citazione notificata conteneva le indicazioni necessarie per
identificare i difensori, muniti di mandato, riprodotto, risultando
sottoscritta da uno di loro ed essendo la sigla apposta a fianco del
timbro recante il nome per esteso.
2.2. Lo stesso accade con il terzo motivo, con il quale si deduce la
violazione dell’art. 39 cod. proc. civ., per non essere stata dichiarata la
litispendenza per via della contemporanea presenza, dinanzi allo stesso

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Il Tribunale di Trapani accolse la domanda.

ufficio, di altri processi tra le stesse parti, con lo stesso petitum e la
stessa causa petendi.
In riferimento a tale censura la Corte di merito aveva rilevato che non
sussiste litispendenza per processi pendenti dinanzi allo stesso ufficio
giudiziario e non già davanti a giudici diversi.
3. Con il secondo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione degli
artt. 447 bis, 416, 136 e 162 cod. proc. civ. e la nullità dell’atto

piuttosto che con il rito del lavoro, oltre alla violazione del diritto di
difesa.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Nello stesso ricorso si ammette di aver avuto termine, come aveva
rilevato la Corte di merito per rigettare la lesione del diritto di difesa, ma
si sostiene di non aver ricevuto comunicazione dell’ordinanza. Invece,
nella sentenza impugnata si dà atto che la comunicazione dell’ordinanza
«risulta dall’esame del fascicolo».
Tanto è sufficiente per ritenere che, eventualmente, si sarebbe potuto
prospettare, nella sede idonea, un vizio revocatorio per errore di fatto e,
certamente non un vizio processuale.
4. Con il quarto motivo, si deduce violazione e falsa applicazione delle
norme contrattuali (art. 1 del contratto), per aver la corte ritenuto
tardiva la disdetta, e conseguente il rinnovo per sei anni del contratto,
con condanna al pagamento dei canoni.
Nella parte esplicativa, si lamenta che non è stato dato rilievo alla
circostanza che i locatori erano stati informati già a metà dell’anno
1997, precedentemente alla disdetta formale, della intenzione di inviare
la disdetta.
Si fa riferimento alla corrispondenza intercorsa e al fatto che per la
conferma di tale circostanza era stata chiesta prova con un teste e
interrogatorio formale.
4.1. Il motivo è inammissibile per plurime ragioni.
Oltre alla mancata invocazione delle norme del codice civile che regolano
l’interpretazione dei contratti, anche ad ammettere che, sulla base del
contratto – neanche riprodotto per la parte di interesse, con violazione
dell’art. 366, n. 6 cod. proc. civ. – fosse ipotizzabile una disdetta

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introduttivo del giudizio di primo grado, introdotto con il rito ordinario

informale, si sarebbe astrattamente dovuto impugnare la decisione per
difetto di motivazione su un punto essenziale, dopo aver indicato e
riportato la corrispondenza intercorsa.
Per quanto riguarda la censura riferita alla prova per testi non ammessa,
solo nello svolgimento del processo si riferisce che i giudizi di merito
sono stati definiti senza ammettere i mezzi di prova. Ma nulla si dice in
ordine a quando era stata chiesta, se e perché il giudice di primo grado

5. Con il quinto motivo, subordinato, si deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 1230 e 1231 cod. civ. per aver la corte ritenuto
nuovo il contratto del 1992, mentre invece avrebbe dovuto riconoscere
l’avvenuta rideterminazione del canone rispetto al precedente contratto
(stipulato nel 1982), nel quale la società era succeduta al precedente
conduttore per aver acquistato l’azienda commerciale; con la
conseguenza che il vecchio contratto avrebbe operato sino al 1994
(essendo intervenuta la rideterminazione del canone quando lo stesso
non era ancora scaduto, nonostante la diversa affermazione contenuta
nel secondo contratto per mero errore sulla scadenza legale del primo) e
sarebbe stata tempestiva la disdetta rispetto alla scadenza del 2000.
5.1. Il motivo è inammissibile.
Anche con questo motivo si prescinde del tutto dalle argomentazioni
della sentenza di appello e si fa piuttosto riferimento alla sentenza di
primo grado; inoltre, in violazione dell’art. 366 n. 6, cod. proc. civ.,
neanche viene indicato dove si trova negli atti processuali, né è
riprodotto il contratto in argomento.
6. Con il sesto motivo, si deduce violazione e falsa applicazione dell’art.
1463 cod. civ. e omessa motivazione, per non avere la Corte di merito
dichiarato la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta,
atteso che – svolgendosi l’attività commerciale anche in locali di un altro
locatore ed essendo cessato il rapporto con quest’ultimo – era
impossibile continuare a svolgere tale attività in locali non aventi le
caratteristiche idonee rispetto alle normative urbanistiche ed
amministrative. Nella parte esplicativa, ci si limita a dire che i giudici
non hanno tenuto conto di quanto rappresentato e che il giudice di

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l’aveva rigettata, neanche si ipotizza una omessa pronuncia sul punto.

appello non ha espresso alcuna motivazione per ritenere infondata la
doglianza.
6.1. Il motivo è inammissibile per genericità; non essendo, peraltro,
neanche dedotta l’omessa pronuncia.
7. In conclusione, il ricorso è inammissibile. Le spese, liquidate sulla
base dei parametri vigenti di cui al d.m. n. 140 del 2012, seguono la
soccombenza.

LA CORTE DI CASSAZIONE
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al
pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese processuali del
giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00
per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2013

Il consigliere estensore

P.Q.M.

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